4.1. La nascita della società dell’informazione
La diffusione delle tecnologie ICT nell’attività della Pubblica Amministrazione è un fenomeno che si riscontra in tutti i Paesi del mondo, anche se con diverse modalità e tempistiche, ed è una diretta conseguenza della rivoluzione digitale che più in generale sta attraversando la nostra società.57 È attraverso lo spazio cibernetico che sempre più si realizzano le fondamentali libertà di informazione, espressione ed associazione del cittadino, e viene perseguita la trasparenza e l’efficienza dei servizi della Pubblica
56 Al riguardo, ancora (Powell, 2001), pp. 6-16
57 Come rilevato in: Maddalena M. L., La digitalizzazione della vita dell’amministrazione e del processo, Testo della relazione tenuta al 62° Convegno di Studi amministrativi su L’Italia che cambia: dalla riforma dei contratti pubblici alla riforma della Pubblica Amministrazione, Varenna, 22, 23 e 24
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Amministrazione. Questa nuova dimensione virtuale infatti, fa sorgere un’esigenza di innovazione finalizzata al buon funzionamento dello Stato, che si rivolge alle istituzioni rappresentative ed alle strutture burocratiche dell’apparato statale.58
Con lungimiranza, il rapporto Bangemann59 del 1994, dal titolo “L'Europa e la società dell'informazione globale”, esponendo delle “Raccomandazioni al Consiglio Europeo”, definiva la digital revolution come una “nuova rivoluzione industriale
basata sull’informazione”, grazie alla quale “sarà possibile memorizzare, reperire e comunicare dati, senza limiti di distanza, tempo e volume”. Se quindi già dal 1994 si era consapevoli dell’importanza che avrebbe avuto l’impatto della digital revolution sulla nostra società, più complesso è stato poi gestire queste nuove questioni dal punto di vista giuridico. Infatti i radicali mutamenti conseguenti alla rapida evoluzione delle tecnologie ICT, hanno comportato la necessità per il diritto di affrontare alcuni complessi problemi, a causa dell’impossibilità di individuare punti di riferimento nella disciplina di istituti assolutamente nuovi (come ad esempio il documento informatico, la firma digitale, l’accesso alle banche dati pubbliche, il cloud computing), ovvero anche per le caratteristiche del tutto peculiari che vengono ad assumere alcune tradizionali questioni di rilevanza giuridica nel nuovo contesto della digital revolution (come ad esempio il diritto all’informazione ed il corrispondente diritto alla riservatezza, nonché la sempre più estesa categoria dei diritti di partecipazione e comunicazione del cittadino di fronte alla Pubblica Amministrazione).60
Un ruolo importante nello studio dell’impatto delle nuove tecnologie sul diritto in Italia, è assunto dall’Istituto di Teoria e Tecniche dell’Informazione Giuridica (ITTIG).61 L’Istituto infatti, svolge ricerche per la semplificazione della Pubblica Amministrazione, finalizzate in particolare alla progettazione di sistemi informatici pubblici facilmente accessibili, che mettano a disposizione dati aperti e rilevanti per specifiche categorie di cittadini, agevolando in questo modo lo sviluppo di una nuova
58 Come sostenuto da Fameli E., La tutela dei diritti dei cittadini tra globalizzazione e innovazione,
Informatica e diritto, Vol. XV, n. 2/2006, pp. 31-73
59 Il rapporto Bangemann è disponibile al link: https://www.privacy.it/archivio/cesinf.html 60 Così ancora (Fameli, 2006), p. 39
61 L’ITTIG è un organo del Consiglio Nazionale delle Ricerche; è stato costituito in attuazione del
riordino del CNR, con Decreto del Presidente del CNR del 12 ottobre 2001 ed è operativo dal 1 giugno 2002. Deriva dalla fusione di due preesistenti organi del CNR: l’Istituto per la Documentazione Giuridica (IDG), con sede a Firenze, ed il Centro di Studio sul Diritto Romano e Sistemi Giuridici (CSDRSG), con sede a Roma.
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società, quella dell’informazione, la quale dovrà basarsi non solo sulla digitalizzazione e sulla trasparenza della Pubblica Amministrazione, ma soprattutto su un nuovo tipo di rapporto tra cittadini e pubbliche amministrazioni.62 Le più recenti innovazioni tecnologiche infatti, rendono possibile una maggiore interazione tra potere pubblico e cittadini. Mentre con il sistema Web 1.0 (il primo stadio di evoluzione del web), le amministrazioni potevano solamente predisporre siti istituzionali a scopo informativo, grazie ai sistemi Web 2.0 invece, i siti delle amministrazioni possono diventare veri e propri strumenti di partecipazione per gli utenti, mediante l’utilizzo di forum, chat e commenti.63 L’ITTIG ha poi sviluppato negli anni nuove tecnologie per contribuire al
superamento del caos normativo, applicando il know-how acquisito nel trattamento dei testi legislativi alla redazione dei testi amministrativi, ed introducendo regole, standard e sistemi digitali che si stanno diffondendo sempre di più nella Pubblica Amministrazione italiana.64
4.2. Le politiche di e-Governement ed il modello dell’Open Government
Dall’informatizzazione delle pubbliche amministrazioni deriva il concetto di e-
Government (governo elettronico)65, cioè la gestione digitalizzata di queste ultime, che
consente di ottimizzare il lavoro e di offrire agli utenti servizi più rapidi ed innovativi. Infatti, se in un primo momento l’e-Government veniva inteso esclusivamente come
office automation, oggi riguarda perlopiù i profili di interazione digitale tra
amministrazione e privati, riferendosi in particolare all’offerta di servizi online a cittadini ed imprese. Ormai infatti, si parla di servizi di e-government, nozione più ampia di quella di servizio pubblico, comprendendo anche servizi meramente amministrativi. Volendo dunque tracciare una definizione puntuale di e-Government, si può dire che esso costituisce quel “processo che, attraverso l’utilizzo delle tecnologie ICT, mira a trasformare le relazioni interne ed esterne della PA, ed a migliorare l’erogazione dei servizi attraverso l’incremento della partecipazione dei
62 Per un approfondimento sul ruolo dell’ITTIG, si veda (Fameli, 2006), pp. 50-73
63 Osimo D., Web 2.0 in Government: Why and How?, Rapporto dell’IPTS (Institute for Perspective Technological Studies), 2008, link: http://ipts.jrc.ec.europa.eu/publications/pub.cfm?id=1565
64 Sito web ITTIG: http://www.ittig.cnr.it/
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vari attori pubblici, migliorando così la qualità di amministrazione dei soggetti pubblici”.66
A livello internazionale e comunitario sono state molte le iniziative poste in essere al fine di favorire la crescita digitale, a partire ad esempio dallo studio dell’OCSE “Citizens as Partners. Information, Consultation and Public Participation in Policy
Making”, del 2001, che metteva in luce le possibilità connesse allo sviluppo degli
strumenti di e-Democracy, sottolineando la necessità di un maggior coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali. Sempre nell’ambito dell’attività svolta dall’OCSE, merita una menzione anche la raccomandazione “For Enhanced Access
and More Effective Use of Public Sector Information”, adottata nel 2008, nella quale
si prospettava la diffusione dei dati pubblici, individuando alcune condizioni di trasparenza per il riuso (ad esempio la gratuità o il rispetto del copyright). Tutto questo allo scopo di avvicinare i poteri pubblici ai soggetti amministrati, “in modo da favorire il passaggio da un modello organizzativo centralizzato ed autoritario, ad uno consensuale e partecipativo”67, rendendo le PA efficienti, trasparenti ed efficaci. Ed è
proprio quest’ultima triade (efficienza, trasparenza ed efficacia), in riferimento agli obiettivi della PA, ad essere richiamata anche dall’art. 298 TFUE.68
Tutto ciò ha influito sull’evoluzione del modello di amministrazione, passato dal New
Public Management (NPM) degli anni Novanta, alla Digital Era Governance (DEG)
all’inizio del nuovo millennio. Il NPM si basava sull’idea che il settore pubblico dovesse essere considerato come un’azienda, ed in quanto tale dovesse rispettare determinati indicatori di prestazione adottati nel settore privato, sulla base dei quali avrebbe dovuto valutare i servizi forniti ed i risultati raggiunti. Il cittadino, in questo modello, era visto come un consumatore o un utente.
Ben presto tuttavia, ci si rese conto che l’attività della PA non potesse essere ispirata esclusivamente a criteri di efficienza, ma che fosse imprescindibile instaurare un collegamento diretto con il cittadino, al fine di creare fiducia nelle istituzioni. La DEG dunque, promuove un nuovo ruolo della PA, adesso volta al raggiungimento dei propri obiettivi ispirandosi a criteri di economicità, e ricercando il coinvolgimento ed il
66 Guarnaccia E., Mancarella M., Il codice dell’amministrazione digitale 2018, Dike Giuridica Editrice,
giugno 2018, Roma, p. 138
67 (Guarnaccia & Mancarella, 2018), p. 139
68 Così recita il paragrafo 1 dell’art. 298 TFUE: “Nell’assolvere i loro compiti le istituzioni, organi e organismi dell’Unione si basano su un’amministrazione europea aperta, efficace ed indipendente”.
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consenso della propria comunità. Il cittadino è visto non più come un consumatore, ma come un collaboratore, una risorsa, in piena attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale.69
Paradigma fondamentale del modello disegnato dalla Digital Era Governance, oltre a quello dell’e-Government, è quello dell’Open Government. L’Open Government è un modello di origine statunitense70, esportato a livello internazionale nel 2011 attraverso l’iniziativa multilaterale dell’Open Government Partnership (OGP), che vede la partecipazione di sessantacinque Stati, i quali si impegnano a realizzare alcune iniziative cui l’Italia ha aderito presentando tre Piani d’Azione Nazionali, il primo nel 2012, il secondo nel 2014, il terzo nel 2016.71
Questo modello è stato fortemente sostenuto durante il suo mandato da Barack Obama, il quale, prima con un Memorandum rivolto al proprio staff72, poi attraverso la Open
Government Directive dell’8 dicembre 2009, ha auspicato che l’attività della propria
amministrazione si svolgesse alla luce dei principi di trasparenza, partecipazione, collaborazione.
La trasparenza dell’azione amministrativa risponde alla finalità di promuovere l’accountability dell’amministrazione attraverso la pubblicazione delle informazioni sull’attività di governo. La partecipazione dei cittadini consente a chiunque di fornire idee e conoscenze per il miglioramento delle politiche pubbliche. Infine, la
collaborazione fra i vari livelli di governo e fra Pubblica Amministrazione e privati,
rafforza l’efficacia dell’azione amministrativa.73 Al concetto di Open Government
dunque, è facile affiancare anche quello di collaborative democracy, che si riferisce al coinvolgimento dei cittadini nel processo di policy-making e nell’esecuzione e valutazione dell’agenda politica.74
69 (Guarnaccia & Mancarella, 2018), p. 143
70 In riferimento all’esperienza americana, si veda: Lubello V., L'Open Government negli Stati Uniti d'America tra il Freedom of Information Act e il bazar, Informatica e diritto, 2011, n. 1-2, pp. 371-388 71 Link: http://open.gov.it/wp-content/uploads/2017/02/2017.01.12-Terzo-Piano-Azione-Nazionale- OGP-Finale-definitivo.pdf
72 Obama B., Transparency and Open Government, Memorandum for the Heads of Executive Departments and Agencies, The White House, 21 gennaio 2009, link:
https://obamawhitehouse.archives.gov/the-press-office/transparency-and-open-government
73 Capalbi M., Open Government: un’amministrazione trasparente?, Amministrativamente, n. 2/2012,
pp. 1 ss.
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Riguardo al principio di trasparenza sembra doveroso aggiungere che, nell’ottica dell’Open Government, quest’ultimo viene spesso inteso anche nel senso di open data, cioè come libera disposizione dei dati delle pubbliche amministrazioni, e conseguente sfruttamento del loro valore economico, mediante il riutilizzo.75 Infatti, per poter dare attuazione ai principi di trasparenza, partecipazione e collaborazione, è necessario anche mettere i cittadini a conoscenza degli elementi essenziali per fare delle scelte e valutare le decisioni prese dalle istituzioni. In tale ottica dunque, diviene imprescindibile la diffusione in formato aperto, l’aggiornamento ed il riutilizzo dei dati pubblici, che, a loro volta, vanno a costituire un vero e proprio patrimonio informativo.
L’open data è dunque complementare al paradigma dell’Open Government, in quanto “la disponibilità di informazioni consente forme di collaborazione e di rielaborazione della conoscenza. Di conseguenza aprire i dati alla disponibilità dei cittadini è un fattore di sviluppo, sia democratico che economico, delle società contemporanee”.76 Nel prossimo paragrafo sarà trattata l’evoluzione della normativa nazionale sulla trasparenza e sul diritto di accesso, prendendo in considerazione anche la recente riforma operata dal D.lgs. n. 97/2016, con la quale l’ordinamento giuridico italiano ha intrapreso un percorso ispirato al modello statunitense del FOIA (Freedom Of
Information Act), sottoscritto dal Presidente Lyndon B. Johnson il 4 luglio 1966.
Nel paragrafo successivo invece, saranno trattate le problematiche, ancora non del tutto risolte, connesse all’implementazione del paradigma dell’Open Government in relazione al diritto alla riservatezza dei cittadini, al processo di digitalizzazione della PA, all’e-Government, ed all’utilizzo sicuro delle più recenti tecnologie nel settore pubblico.
4.3. Open Government e diritto di accesso nella normativa italiana
In Italia si inizia a parlare di trasparenza con la Legge 7 agosto 1990, n. 241, in cui quest’ultima viene posta come principio fondamentale dell’azione amministrativa,
75 (Maddalena, 2016), p. 6
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accanto a quelli di economicità, efficacia, imparzialità e pubblicità (art. 1, comma 1 Legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificata dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15). In particolare, agli artt. 22-28 (Capo V – Accesso ai documenti amministrativi), il principio di trasparenza viene configurato come una garanzia di accesso, riservata esclusivamente a coloro che abbiano “un interesse diretto, concreto e attuale,
corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso” (art. 22, comma 1, lett. b), e subordinata ad una richiesta
motivata rivolta all’amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente (art. 25, comma 2). Si parla al riguardo di accesso procedimentale o
documentale.
Tale Legge ha segnato il passaggio dalla segretezza all’accessibilità ed alla conoscibilità dell’azione della PA, determinando un cambio di rotta, una vera e propria rivoluzione copernicana per l’ordinamento giuridico italiano. Fin dalla sua entrata in vigore infatti, tale Legge ha riconosciuto una dicotomia di garanzie strumentali alla trasparenza amministrativa, prevedendo l’accesso alle registrazioni e la pubblicità. Si passa dunque, “dal concetto di amministrazione-burocrazia, a quello di amministrazione-partecipata”.77
Prima del 1990 infatti, solamente alcune leggi prevedevano la pubblicità di atti e documenti concernenti argomenti specifici o adottati da una particolare amministrazione, come ad esempio la Legge 8 luglio 1986, n. 349, che istituì il Ministero dell’Ambiente. L’impostazione generale seguita tuttavia, era quella della riservatezza del patrimonio informativo pubblico.78
Con la Legge n. 241 del 1990 invece, “la PA ottiene il diritto di invocare il segreto solamente quando la segretezza sia finalizzata a garantire la cura di interessi, pubblici e privati, considerati meritevoli di tutela da parte del legislatore. In particolare, tali interessi devono essere riconosciuti dalla Costituzione, in quanto solamente in questo caso può trovare giustificazione il sacrificio del diritto alla conoscenza”.79
77 Lunardelli M., The Reform Of Legislative Decree No. 33/2013 In Italy: A Double Track For Transparency, Italian Journal Of Public Law, Vol. 9, Issue 1/2017, p. 154
78 (Lunardelli, 2017), p. 148 79 (Lunardelli, 2017), p. 149
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In seguito, la Legge 11 febbraio 2005, n. 15, ha riformato l’impianto complessivo della Legge n. 241/1990, riscrivendo le definizioni di cui all’art. 22 ed inserendo, come già detto, la trasparenza fra i principi fondamentali dell’azione amministrativa.
Il Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD, D.lgs. n. 82/2005) poi, ha posto la trasparenza fra le sue finalità principali (art. 12), risultando, il suo tessuto normativo, permeato dai riferimenti a quest’ultima; basti pensare ad esempio all’art. 50 (Disponibilità dei dati delle pubbliche amministrazioni), alla disciplina dei siti Internet delle pubbliche amministrazioni (artt. 53-54), o all’accesso telematico a dati, documenti, procedimenti (art. 52) e servizi (art. 64-bis).
Un passaggio particolarmente rilevante è stato in seguito compiuto con il D.lgs. n. 150/2009 (c.d. riforma Brunetta), che introduce il concetto di total disclosure, ossia di accessibilità totale delle informazioni, al fine di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento ed imparzialità (art. 11 D.lgs. n. 150/2009, poi abrogato dal D.lgs. n. 33/2013). Tale tipo di accessibilità veniva garantita tramite una serie di obblighi di pubblicazione di informazioni sui siti web delle PA, ed arricchì il concetto di trasparenza amministrativa di un nuovo significato, fino a quel momento inedito: alla tradizionale nozione di trasparenza procedimentale, posta a tutela degli interessi del cittadino all’interno del procedimento amministrativo, si affiancava un concetto di trasparenza direttamente collegato all’organizzazione ed alla struttura delle amministrazioni.80
Il D.lgs. n. 33/2013 (c.d. Decreto Trasparenza), in attuazione della L. n. 190/2012, (c.d. Legge Anticorruzione), ha successivamente fornito una solida base al principio di trasparenza, rafforzandolo come canone interpretativo, e collocandolo in posizione strumentale all’attuazione di una serie di principi costituzionali. In particolare, all’art. 1 del D.lgs. n. 33/2013 si afferma che la trasparenza integra il diritto ad una buona amministrazione e concorre alla realizzazione dell’amministrazione aperta, inserendo per la prima volta in un testo normativo un riferimento diretto all’Open Government. Inoltre all’art. 5 viene introdotto l’istituto dell’accesso civico, il quale consiste nel diritto di richiedere l’accesso a documenti, informazioni e dati oggetto di pubblicazione obbligatoria, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione da parte dell’amministrazione di riferimento, senza alcuna limitazione quanto alla
80 (Lunardelli, 2017), p. 157
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legittimazione soggettiva, senza necessità di motivazione, e gratuitamente; l’amministrazione è tenuta a provvedere entro 30 giorni dalla richiesta.
Mentre la riforma Brunetta aveva collegato il concetto di total disclousure limitatamente alle informazioni concernenti l’organizzazione ed il personale delle amministrazioni, il Decreto Trasparenza ha aggiunto una serie considerevole di obblighi di pubblicazione collegati allo svolgimento dell’attività amministrativa.81 La
ratio di tali obblighi di pubblicazione, esplicitamente richiamata dal Decreto
Trasparenza, era quella della prevenzione della corruzione e della maladministration nel settore pubblico, favorendo una diffusione delle informazioni che assicurasse il controllo da parte dei cittadini su tutti i poteri esercitati dalle amministrazioni, e che fungesse da deterrente contro ogni abuso o violazione della legge.82 Tale ratio, pur essendo presente già all’interno della riforma Brunetta, è divenuta predominante solamente con il Decreto Trasparenza.
Tuttavia non si prevedeva ancora un diritto generale all’informazione, in quanto il
right to know veniva tutelato esclusivamente nella misura in cui coincideva con gli
obblighi di pubblicazione della Pubblica Amministrazione, che facevano scattare il diritto di accesso civico ai sensi del D.lgs. n. 33/2013. Al di fuori dei casi di pubblicazione obbligatoria quindi, la trasparenza restava una scelta discrezionale dell’amministrazione, e l’unico strumento utilizzabile era il diritto d’accesso previsto dagli artt. 22-28 della Legge n. 241/1990, condizionato però ai limiti di cui abbiamo già detto.
Infine, il D.lgs. n. 97/2016 in virtù della delega di cui all’art. 7 della L. n. 124/2015 (c.d. Legge Madia), ha modificato il D.lgs. n. 33/2013 al fine di garantire un vero e proprio right to know nei confronti delle istituzioni, intendendo adeguare la normativa italiana sulla trasparenza al modello statunitense del FOIA (Freedom of Information
Act), adottato da tempo sia a livello internazionale che europeo.
Il legislatore nazionale ha introdotto una nuova figura di accesso civico, il c.d. accesso
generalizzato, che si aggiunge al diritto di accesso già previsto nel precedente Decreto
Trasparenza, ora denominato accesso semplice.83 A differenza del diritto di accesso
81 (Lunardelli, 2017), p. 157 82 (Lunardelli, 2017), p. 167
83 Per la verità bisogna ricordare come una primitiva forma di accesso civico generalizzato fu proposta
fin dal 1984, quando la Commissione Nigro presentò uno dei primi progetti di legge sull’accesso ai documenti amministrativi. Tuttavia, in fase di emendamento, si eliminò il riconoscimento, non soggetto
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procedimentale o documentale (regolato dalla L. n. 241/1990), l’accesso generalizzato garantisce al cittadino la possibilità di richiedere dati e documenti alle pubbliche amministrazioni, senza dover dimostrare di possedere un interesse qualificato. A differenza del diritto di accesso civico semplice invece, l’accesso civico generalizzato si estende a tutti i dati ed i documenti in possesso delle pubbliche amministrazioni, fatti salvi i casi di segreto o di divieto di divulgazione previsti dall’ordinamento e nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati.
Il Consiglio di Stato al riguardo, ha opportunamente sottolineato il fatto che ad una trasparenza di tipo proattivo, realizzata tramite la pubblicazione di documenti, informazioni e dati, in seguito a tale ultima riforma si sia andata ad affiancare una trasparenza di tipo reattivo, che riesce a rispondere efficacemente alle istanze di conoscenza avanzate dagli interessati.84
In coerenza all’art. 2, comma 1 del Decreto Trasparenza, anche il nuovo accesso civico generalizzato (art. 5, comma 2) non prevede, in quanto all’oggetto, un esplicito riferimento alle informazioni, limitandosi a comprendere solamente i documenti ed i dati detenuti dalle amministrazioni e della autorità. Secondo Lunardelli tale scelta non sarebbe propriamente corretta, per tre ragioni.85 In primis, a livello teorico i concetti di informazioni e di dati, non sono del tutto coincidenti. In secundis, l’art. 5, comma 1 include le informazioni fra gli obblighi di pubblicazione il cui adempimento è esigibile da chiunque, ed anche se è vero che conviene tenere distinta la pubblicazione proattiva dal nuovo diritto di accesso civico generalizzato, tuttavia, poiché entrambi gli istituti sono finalizzati a dare concreta attuazione al principio di trasparenza amministrativa, il rischio è quello che in tal modo si creino delle discrasie. Infine, il riferimento alle
ad alcuna limitazione individuale, a “chiunque” del diritto di accesso ai documenti amministrativi, previsto all’art. 1, comma 1 del suddetto progetto di legge. Il timore all’epoca era quello di minare l’efficienza e l’efficacia dell’attività amministrativa, rischiando di provocare una paralisi dell’attività dell’amministrazione nel caso in cui le richieste di accesso da parte dei cittadini risultassero sovrabbondanti ed eccessive. Stesso timore del resto, è stato successivamente espresso anche da parte della giurisprudenza amministrativa (si vedano ad esempio: TAR Lazio – Roma, Sezione II, 13 dicembre 2011, n. 9709, oppure Consiglio di Stato, Sezione VI, 12 gennaio 2011, n. 116), come citato in (Lunardelli, 2017), p. 174.
84 Parere del Consiglio di Stato relativo allo Schema di Decreto legislativo recante “Revisione e