Occorre, però, fare attenzione a un rischio possibile e tutt’altro che remoto: un’etica in generale (e di riflesso anche delle scienze e delle pro-fessioni) può rischiare di ridursi a rivendicazione di diritti e di doveri, a una mera elencazione che, di volta in volta, porta ad accentuare un tipo di diritto o di dovere in risposta alle particolari situazioni legate alla contingenza storica: personale e professionale.
Affinché non si cada in queste forme di dispersione del concetto di etica e della prassi etica, appare sempre più evidente l’esigenza di ap-pellarsi a un qualche principio che permetta di dare unità al pensare e all’agire dell’uomo: tale può essere considerato il “principio persona”, cui hanno richiamato i personalismi filosofici e le personologie scientifi-che. Ma il principio persona ha bisogno a sua volta di essere specificato, ecco perché si è fatto ricorso al “principio dignità”, e, più precisamente, al “principio dignità umana”.
Infatti (come san Francesco ha insegnato) tutte le creature hanno di-gnità, proprio in quanto create; tuttavia, nell’ambito delle creature, una dignità speciale va riconosciuta alla persona e la motivazione è moltepli-ce: dal punto di vista teologico, la dignità della persona si basa sul fatto che condivide con il creatore la “libertà” (Pico della Mirandola); dal punto di vista scientifico, si basa sulla specificità umana, che suscita “la meraviglia di essere uomo” (J. Eccles e D. Robinson); dal punto di vista filosofico si basa sull’essere “qualcuno e non qualcosa” (R. Spaemann) e quindi di essere “sempre fine” e mai “puro mezzo” (Kant). In breve: una persona non ha prezzo ma ha dignità.
Si tratta di una categoria, quella della dignità, che nella premodernità aveva un carattere elitario, in quanto distingueva solo alcuni (i dignitari,
appunto) come meritevoli di onore e rispetto, mentre con la moderni-tà la dignimoderni-tà acquista valore universale, connotando la persona umana in quanto tale. Possiamo precisare che tale scoperta (dell’umanesimo rinascimentale) è alla base della scoperta (del razionalismo illuminista) dei diritti umani, tanto che una filosofa (H. Arendt) ha poi definito la dignità “il diritto ad avere diritti”, e un giurista (S. Rodotà) ha recente-mente intitolato un suo libro sulla dignità Il diritto di avere diritti.
Ebbene, riteniamo che proprio la dignità umana possa costituire il principio unificatore dei diritti e dei doveri: la loro lettura, la loro inter-pretazione dovrà collocarsi entro questo orizzonte, per cui della persona – come ha sottolineato Norberto Bobbio – non ci si può servire, ma si deve servire. Questo principio unificatore, che è la dignità umana, dà unità alla persona, e dà anche unità alla professione, nel senso che que-sta va sempre commisurata a quella: la professione deve essere espressio-ne della persona sul piano lavorativo.
Ciò comporta in concreto l’esercizio del rispetto (cui hanno richia-mato R. Sennett e R. Mordacci). Quella del rispetto è una categoria da intendere in un triplice significato: come rispetto per se stessi, come rispetto per i clienti e come rispetto verso i colleghi; questi tre atteggia-menti si potrebbero denominare rispettivamente: vocazione personale, responsabilità diaconale e collaborazione dialettica. Ecco così individuate le tre categorie dotate di senso etico e deontologico: vocazione, respon-sabilità e collaborazione.
Certamente ci sarà bisogno di tradurre in modo più analitico queste tre categorie, ma senza correre il rischio della dispersione, perché le tre categorie sono espressione di un unico atteggiamento, il rispetto, conse-guente al riconoscimento della dignità, che se è e deve essere, dunque, la misura di tutte le scienze e di tutte le professioni, lo è, in particola-re, delle scienze dell’uomo e delle professioni per l’uomo, anche della scienza grafologica e della professione grafologica.
Su questa strada è da sempre incamminata la grafologia morettia-na: sia quando è stata esercitata dal suo iniziatore, sia quando è stata sviluppata dai suoi continuatori. Al riguardo piace sottolineare il clima che sempre si è respirato nell’Istituto morettiano: al suo interno, tra i collaboratori, e nelle relazioni con la clientela, nei corsi di formazione e in quelli di aggiornamento, nonché nelle diverse forme di scuola che hanno avuto spazio nell’università di Urbino; un clima sempre segnato
da una duplice connotazione: la serietà e l’onestà degli studi, delle ricer-che e delle relazioni. L’insegnamento e l’apprendimento (piace sottoli-nearlo anche in seguito alle innumerevoli testimonianze dei grafologi formati nella scuola urbinate) erano percepiti e vissuti come scuola di epistemologia e di etica, e il collegamento tra le due dimensioni avver-tito come naturale.
La lezione che padre Girolamo Moretti ha consegnato all’Istituto a lui intitolato, e lo diciamo con convinzione proprio in base all’esperien-za da esso vissuta fino a oggi, può e deve costituire la base per impostare correttamente tanto le condizioni della ricerca, quanto l’esercizio della professione: in entrambi i casi ci sono responsabilità, che devono avere come parametro la persona, la dignità della persona.
Riferimenti bibliografici
Arendt H. (2009), Le origini del totalitarismo, Torino, Einaudi.
Becchi P. (2009), Il principio dignità umana, Brescia, Italia.
Eccles J, Robinson D. (1988), La meraviglia di essere uomo, Roma, Armando.
Höffe O. (2001), Il principio dignità umana, Iride, 33, 243-250.
Jonas H. (1990), Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Torino, Einaudi.
Mordacci R. (2012), Rispetto, Milano, Raffaello Cortina.
Possenti V. (2006), Il principio-persona, Roma, Armando.
Rodotà S. (2013), Il diritto di avere diritti, Roma-Bari, Laterza.
Sennett R. (2004), Rispetto. La dignità umana in un mondo di diseguali, Bologna, Il Mulino.
Spaemann R. (2005), Persone: sulla differenza tra “qualcosa” e “qualcuno”, Roma-Bari, Laterza.
Pasquella Fresu, segretaria dell’Istituto Moretti
Alessandra Millevolte