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Dinamiche familiari fra detenuti e figli minori: la Relazione al

4. L’integrazione del d.lgs n 231 del 2001 nel o col diritto penale L’analisi poc’anzi svolta è in grado di offrire una soluzione alla

3.1. Dinamiche familiari fra detenuti e figli minori: la Relazione al

Parlamento 2017 del Garante Nazionale dei diritti delle persone detenu- te o private della libertà personale

La tutela dei legami familiari e dei rapporti genitoriali è da sempre considerata un elemento fondamentale del trattamento rieducativo, così come previsto dall’ordinamento penitenziario.

Negli ultimi anni l’attenzione nei confronti della genitorialità delle persone detenute è andata crescendo e modificandosi, con l’obiettivo non solo di favorire il mantenimento della relazione genitore-figlio e la presenza di organizzazioni volontarie assume rilevanza per l’accre- scimento dell’autodeterminazione della persona che, attraverso le atti- vità di progetti strutturati, rafforza la propria identità.

In particolare, anche la figura del Garante Nazionale dei diritti del- le persone detenute o private della libertà personale ha il compito – fra gli altri – di promuovere e rafforzare la responsabilità genitoriale dei detenuti, specialmente nei confronti dei figli minori e di attivare inizia- tive di formazione del personale relative a tale questione.

La Carta dei diritti dei figli dei genitori detenuti prevede, come so- pra indicato, l’istituzione di un Tavolo permanente con compiti di monitoraggio e di promozione, di cui fa parte anche il Garante Nazio- nale per i diritti delle persone detenute o private della libertà persona- le. L’uso di sistemi di video-chiamata, previsti da un’apposita circolare del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (n. 0366755 del 2 novembre 2015), resta prerogativa di pochissimi Istituti, nonostante la positività dimostrata laddove applicata. Nella Casa circondariale femminile di Venezia-Giudecca, per esempio, alcune madri detenute sono state autorizzate a seguire via Skype i figli che facevano i compiti, con un ritorno in termini di serenità sia per le donne che per i bambi- ni: un esempio, questo, da sostenere, valorizzare e diffondere.

Ma va rilevato che nella realtà dell’esecuzione della pena, garantire il mantenimento di significativi e stabili rapporti tra genitori e figli si scontra ancora troppo spesso con le regole e l’organizzazione del si- stema che a volte si frappongono come veri e propri ostacoli. Quanto alla relazione tra le madri e i bambini di età infantile, le donne detenu- te con i loro piccoli al 31 gennaio 2017 erano 35 con 40 bambini. Di questi, 19 donne e 19 bambini erano nelle sezioni nido degli Istituti di pena, mentre 16 donne e 21 bambini negli Istituti a custodia attenuati

per detenute madri (ICAM). Il problema dei bambini negli Istituti di pena rappresenta ancora una criticità che chiede soluzioni. Va detto però che gli ICAM non sono la vera soluzione, soprattutto quando so- no posizionati in zone distanti o mal collegate o ospitano solo poche donne con bambini. Il rischio, in questo caso, è che il prezzo sia l’isolamento delle donne stesse e la separazione dalla famiglia e il diffi- cile inserimento dei bambini in un contesto con altri coetanei. Riguar- do alle sezioni “nido”, a fronte di reparti attrezzati, accoglienti e ben collegati con il territorio, sussistono ancora situazioni del tutto inido- nee. Da segnalare, invece, positivamente l’apertura a Roma, dopo una lunga attesa, della Casa di Leda, una Casa famiglia protetta per genito- ri agli arresti domiciliari o in misura alternativa. Nell’ottobre del 2015 il Comune ha infatti firmato un protocollo con il DAP e la casa sta ac- cogliendo le prime donne con bambini.

4. Decreto legislativo in attuazione all’art. 85, lett. s), della legge 23 giu-

gno 2017, n. 103 sulla Riforma dell’ordinamento penitenziario. Cenni

Sulla scia del contenuto e dei principi affermati recentemente dalla Consulta, in particolare attraverso le sentenze citate nella presente ri- cerca29, si è avviato anche il contributo per una ulteriore modifica

normativa del rapporto genitoriale in carcere, attraverso la previsione nella Riforma dell’Ordinamento Penitenziario (Legge 23 giugno 2017 n. 103) di una delega al Governo, contenuta nell’art. 85, lett. s) il cui provvedimento è stato approvato in via preventiva dal Governo in data 22 dicembre 2017, ed è tornato all’esame delle Commissioni in data 16 marzo 2018, per il via libera definitivo, per un intervento – fra gli altri – sull’art. 47 ter dell’Ordinamento Penitenziario (detenzione domici- liare) il quale attualmente prevede che: “Deve essere inoltre revocata (la detenzione domiciliare comune) quando vengano a cessare le con- dizioni previste nei commi 1 e 1 bis”; mentre la proposta di modifica da approvare in via definitiva è la seguente: “Deve essere inoltre revo- cata quando vengono a cessare le condizioni previste nei commi 1 e 1

bis. Tuttavia, nell’ipotesi di revoca per il compimento del decimo anno

di età del figlio, il tribunale di sorveglianza può disporre, su richiesta

del soggetto già ammesso alla detenzione domiciliare, la proroga del beneficio o disporre l’ammissione all’assistenza all’esterno di cui all’art. 21 bis, tenuto conto del comportamento dell’interessato nel corso della misura, desunto dalle relazioni redatte dal Servizio Sociale, nonché dalla durata della misura e dell’entità della pena residua”.

In particolare l’attuale art. 15 (Modifiche in tema di detenzione do-

miciliare) del Decreto incide profondamente sull’art. 47 ter dell’Or-

dinamento Penitenziario, ed anche sull’art. 47 quinques, in quanto la previsione introduce sensibili modifiche all’istituto della custodia atte- nuata, superando il carattere sinora ostativo per le detenute che siano state condannate per i delitti di cui all’art. 4 bis, O.P.

Nella Relazione illustrativa si legge come la modifica proposta ten- da a rimuovere una evidente disparità di trattamento fra la madre in detenzione domiciliare speciale, che nell’ipotesi di compimento del decimo anno del figlio, può essere ammessa a fruire di altre misure al fine di mantenere il rapporto con il figlio, e la madre ammessa, invece alla detenzione domiciliare comune, per cui tale opportunità non è consentita, stante l’inequivoco tenore della disposizione del comma 7, art. 47 ter, la quale prevede una revoca “obbligata”.

Con la modifica proposta si potrebbe consentire al soggetto inte- ressato di avanzare istanza di proroga del beneficio per disporre della misura migliore a salvaguardare, valutando caso per caso, il rapporto genitore figlio nell’interesse prevalente del minore30.

5. La tutela del superiore interesse del minore deve rimanere principio

giuridico prevalente rispetto alla situazione giuridica dei genitori detenu- ti

Nel peculiare contesto esaminato emerge la necessità di affermare o, meglio, di riconfermare l’assoluta prevalenza di un principio giuri- dico essenziale in tema di soggetti minori, ovvero che tutte le norme e le leggi che nel tempo si sono susseguite per disciplinare la sua identi- tà, hanno avuto come perno centrale il riconoscimento del suo preva-

30 Anche se la nuova disposizione, tuttavia, non fa ancora espresso riferimento alla

figura paterna. Infatti, è utile rilevare come ci sia ancora una certa discrepanza tra pro- filo civilistico e profilo penalistico della normativa.

lente interesse da tutelare, morale e materiale, rispetto ad ogni altro interesse con il quale avrebbe potuto confliggere e tale fondamentale principio giuridico sancito in primis dalle Convenzioni internazionali, deve trovare applicazione anche nel difficile ambito socio-giuridico oggetto di tale ricerca.

Appare evidente che l’identità di un minore, sia sul piano indivi- duale, sia sul piano sociale, si costruisce anche sulla base di apparte- nenze, ovvero l’uomo che è essenzialmente uno zoon politikon, un es- sere sociale non può sviluppare la sua identità sociale senza il tramite di una relazione integrativa.

Il primo, essenziale gruppo di appartenenza è, ovviamente, la fa- miglia, ovviamente una famiglia adeguata che realizza e privilegia il processo di socializzazione del nuovo individuo, attribuisce sicurezza, affetto e cura al minore, il quale può percepire il gruppo famiglia come un forte ancoraggio che lo può aiutare ad affrontare la sua prima espe- rienza di vita, composta spesso da paure, delusioni, smarrimento, in- certezze.

Come già più volte affermato la detenzione di un familiare si riper- cuote negativamente, con modalità e gravità diverse, sui membri del nucleo familiare, ed in particolare, sui figli.

La Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia all'art. 9 stabilisce che “il bambino i cui genitori, o uno dei due, si trovano in stato di de- tenzione, deve poter mantenere con loro dei contatti appropriati”. È ormai un assunto ampiamente dimostrato che una vita familiare soddi- sfacente, e in particolare delle buone relazioni con i genitori sono ele- menti fondamentali per la crescita intellettuale e sociale dei bambini; il bambino non può crescere in modo equilibrato senza una relazione parentale fondante31.

La detenzione di un genitore rappresenta un elemento di frattura nel contesto familiare, rivelandosi spesso un fattore disadattivo a cari- co dei figli. Le modifiche apportate da questo evento all'interno del nucleo familiare, intervenendo sugli equilibri relazionali dei compo- nenti, ma anche sulle condizioni sociali ed economiche, possono costi- tuire la fonte di numerose problematiche che si riflettono sullo svilup- po del minore anche a distanza di tempo32.

31 R. SHAW, Prisoners' Children, Routledge, London, 1992, 3.

Sovente l'esperienza detentiva è solamente una delle molteplici espressioni di una preesistente situazione di disagio del nucleo, per cui le problematiche rilevate a carico dei figli non possono sempre essere ricollegate sic et simpliciter alla detenzione, ma devono essere valutate alla luce dell'influenza di altri determinanti fattori33.

In molti casi il genitore ha un vissuto di devianza piuttosto com- plesso che ha condizionato sia il nucleo familiare, sia l'educazione dei figli, ben prima della carcerazione. Dalle ricerche condotte in questo campo34 risulta evidente come nella maggior parte dei casi i genitori

che pongono in essere condotte delinquenziali, sono spesso vittime es- si stessi di contesti contrassegnati da disadattamento sociale e familia- re.

Una delle principali cause di tale disagio può essere individuata nell'appartenenza a famiglie disgregate, scarsamente coese, o inserite in gruppi socialmente emarginati, ad esempio a causa della loro condi- zione di immigrati. Sono frequenti anche le esperienze di tossicodi- pendenza, abuso di alcol o di sostanze stupefacenti, che incidono pro- fondamente sulle dinamiche interpersonali del nucleo, caratterizzate da interazioni conflittuali, a causa dell'instabilità caratteriale che que- sta condizione spesso comporta35.

Un altro parametro rilevante può essere costituito dalla precarietà lavorativa dei genitori, che si correla sia alla vicenda penale del sogget- to deviante, che al disadattamento del nucleo familiare, determinan- done lo status economico. Molto influente sul disadattamento dei figli è inoltre il “clima” familiare che si respira all'interno del nucleo, in particolare in rapporto alla relazione esistente nella coppia genitoriale. Dati tutti questi fattori che possono determinare in modo più o meno influente il disagio familiare, la detenzione rappresenta comun- que un momento di frattura, che interrompe il complesso equilibrio che sottende al funzionamento del nucleo, imponendo un nuovo asset- to e nuove dinamiche di relazione.

L'assenza improvvisa ed inaspettata del genitore può causare nel

dei genitori sui figli. (II parte: Situazioni di disadattamento in rapporto alle caratteristi- che dei genitori e del nucleo), in Rassegna Italiana di Criminologia, 1992, 298.

33 Ivi, 221. 34 Ivi, 221 e 297.

35 E. CAMPELLI, F. FACCIOLI, V. GIORDANO, T. PITCH, Donne in carcere, Feltrinel-

minore la nascita di un profondo senso di ansia, molto spesso aggrava- to dalla mancata conoscenza della verità. Alcuni studi sui figli dei de- tenuti hanno mostrato come la mancanza di una franca spiegazione ri- guardo all'accaduto, alimenta nei bambini peggiori fantasie e paure che non la realtà della situazione36; in alcuni casi si può arrivare all'e-

strema espressione del disagio attraverso le situazioni di disadattamen- to scolastico, e la messa in atto di veri e propri atteggiamenti antigiuri- dici.

Tuttavia essere detenuto non significa obbligatoriamente essere un cattivo genitore, anche se è pur vero che tale consapevolezza è riflessa nel soggetto dalla percezione dell'ambiente, e che comunque il vissuto di inadeguatezza al problema del rapporto con i figli si accentua neces- sariamente con l'ingresso in carcere37.

Purtroppo il nostro ordinamento ha previsto solo recentemente, come sopra citato, strumenti idonei a superare le difficoltà che impedi- scono ai genitori detenuti di esercitare pienamente i loro ruoli e le loro funzioni, anche nella rete sociale di riferimento: la scuola, i servizi so- ciali, e tutti i soggetti coinvolti nella sua storia genitoriale38.

Questo è particolarmente accentuato per i detenuti padri, nei cui confronti la legge stessa opera una forte discriminazione. Si pensi alla possibilità di tenere il figlio minore di tre anni in carcere, mai concessa al padre, o alla detenzione domiciliare “speciale” per le detenute ma- dri istituita con la legge n. 40/2001 che ha permesso la disposizione di tale misura alternativa nei confronti dei padri solo in caso di assenza della madre, come sopra chiarito.

La paternità è una relazione fondata sulla “enunciazione” più che sull'esperienza39, e mentre la maternità si definisce dall'esperienza di-

retta, la paternità invece contribuisce a inserire il figlio in una rete

36 R. SHAW, Prisoners’ Children, op. cit., 10.

37 L. DAGA, G. BIONDI, Il problema dei figli con genitori detenuti, in E. CAFFO (a

cura di), Il rischio familiare e la tutela del bambino, Maggioli, Milano, 1988, 130. C. GHETTI, Carcere e famiglia: gli aspetti del disagio, in W. NANNI, T. VECCHIATO (a cura di), La Rete Spezzata, Feltrinelli, Milano, 2000, 187.

38 L. SACERDOTE, Il genitore dimenticato, in Carcere: salviamo gli affetti, Casa di

Reclusione di Padova, 10 maggio 2002.

39 A. BOUREGBA, Le difficoltà di assumere ruoli e funzioni familiari per i padri dete- nuti, in Carcere: salviamo gli affetti, op.cit.

strutturata di appartenenze, ma il suo legame con il figlio è immerso in una serie di relazioni dominate da reciproche identificazioni.

Nei padri detenuti questo attaccamento può essere esagerato sul piano dell'immaginario, non potendo essere vissuto nella realtà.

L’ordinamento giuridico civilistico, in particolare, riconosce espressamente il diritto del minore alla propria famiglia attraverso l’art. 1 della legge n. 149/2001, il cui principio è riconfermato nell’at- tuale art. 315 bis c.c., nella sua nuova formulazione dopo l’intervento del d. lgs. 154/2013 in materia di stato unico di filiazione, norma che contiene per la prima volta nel nostro codice civile, lo “statuto” dei di- ritti e dei doveri del figlio.

Le norme che hanno gradualmente arricchito il contesto della tute- la delle relazioni familiari sono state molto rilevanti, come la legge n. 285/1997, in materia di disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza, e la legge quadro per la rea- lizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, n. 328/2000, o ancora la legge n. 53/2000, in materia di sostegno alla ma- ternità e alla paternità per il diritto alla cura e alla formazione e il coordinamento dei tempi della città, per aggiungere inoltre, varie di- sposizioni in materia di diritto del lavoro che hanno ugualmente con- tribuito in modo rilevante a realizzare nel modo più adeguato ed effi- cace possibile la tutela dei soggetti minori e della famiglia in cui hanno diritto di crescere e di essere educati (l. n. 92/2012).

Pertanto, nella circostanza in cui la relazione familiare venga alte- rata per cause esterne, quali anche la detenzione di uno o entrambi i genitori, non viene meno unicamente il diritto alla genitorialità, ma soprattutto il diritto dei figli ad avere un rapporto continuativo con i propri genitori, ad avere o a continuare a vivere nella propria famiglia, a poter esercitare tutti quei diritti sanciti dalle leggi richiamate, a dover realizzare con evidenti difficoltà la propria crescita40.

La legge n. 62/2011 ha opportunamente fatto prevalere la tutela del rapporto fra madre detenuta e figlio minore, ma la genitorialità, quando è possibile, rimane sempre formulata dalla dualità, e deve es- sere tenuto in debita considerazione anche il legame tra il padre dete-

40 Naturalmente, sul presupposto che la famiglia in cui il minore ha il suo habitat

non sia contraria alle sue necessità, e quindi sia idonea a svolgere quel naturale compi- to di cura, prevenzione, ascolto, mantenimento ed educazione cui ogni minore ha di- ritto.

nuto e il figlio minore, aspetto che sembra aver maggiormente curato il Protocollo del 2016, infatti la questione centrale del documento è quella di mettere in evidenza “la priorità del benessere del bambino” (art. 3 della Convenzione Onu), mentre la nuova disposizione di cui alla l. 103/2017 non sembra aver modificato sostanzialmente in favore di tale principio la normativa esistente.

Peraltro, non può essere considerato ragionevole il distinto tratta- mento basato esclusivamente sul genere di cui al comma 4 dell’art. 275 c.p.p., frutto di un mero automatismo che impedisce al giudice qual- siasi tipo di bilanciamento nel caso concreto tra le esigenze di preven- zione sociale e quelle di tutela dello sviluppo del minore.

A meno di un’interpretazione estensiva e costituzionalmente orien- tata di questa norma, tale da ritenere l’equivalenza tra i rapporti padre- figli e madre-figli, alcuno ha infatti, ritenuto costituzionalmente illegit- timo l’art. 275, c. 4, c.p.p. in riferimento agli artt. 3, 27, c. 3, 29, 30, 31, 32 e 51, nonché all’art. 117, c. 1 (come parametro interposto degli artt. 3 cc. 1 e 2, 4 e 6 c. 2 della Convenzione sui diritti del fanciullo e dell’art. 24, c. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Euro- pea) della Costituzione41 nella parte in cui non riconosce l’eguaglianza

del padre e della madre nel rapporto di cura e assistenza ai figli minori e nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare in carcere non possa essere disposta né mantenuta nei confronti del padre di pro- le di età non superiore a sei anni, anche nei casi in cui la madre non sia deceduta o non sia assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, nel caso in cui possa derivare al minore un nocumento alla sua salute psico-fisica e al suo equilibrato sviluppo.

Un’interpretazione meramente letterale, infatti, della norma com- porterebbe una irragionevole e quindi incostituzionale disparità di trattamento tra madre e padre, che lederebbe tanto i diritti di quest’ultimo (il quale vedrebbe il proprio ruolo limitato rispetto a quello della madre) che quelli del figlio minore (il quale si vedrebbe privato ingiustificatamente dell’affetto e dell’assistenza del padre in maniera significativamente maggiore rispetto a quelli della madre,

41 M. T. ZAMPOGNA, L. N. MEAZZA, La tutela del rapporto genitoriale tra i padri de- tenuti in custodia cautelare e i figli minori: profili di illegittimità costituzionale, in Giuri- sprudenza Penale, 2017, 5.

sempre ove non vi siano ragioni di tutela che invece dovrebbero esclu- dere tale relazione).

Le violazioni riguarderebbero i principi di eguaglianza e ragione- volezza (art. 3 Cost.) e gli artt. 27, c. 3, 29, 30 e 31, 32 e 51 della Costi- tuzione, ponendosi in contrasto con il divieto di trattamento contrario al senso di umanità per l’indagato/imputato, l’imperativo costituziona- le di tutela della famiglia come società naturale, con il diritto-dovere dei genitori, madre e padre senza disparità di genere, di educare i figli e con il corrispondente diritto di questi di essere educati da entrambi, per quanto possibile, nonché con l’obbligo di protezione dell’infanzia e della sua salute, come interesse sempre preminente rispetto agli altri interessi tutelabili. Oltre ai richiamati imperativi costituzionali, la norma si pone in contrasto con le già citate previsioni dell’art. 3, c. 1 della Convenzione sui diritti del fanciullo, redatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, e dell’art. 24, c. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che sono assurte a rango costituzionale dall’art. 117, c. 1 Cost..

Entrambe le disposizioni qualificano, infatti, come «superiore» l’interesse del minore, stabilendo che in tutte le decisioni relative agli stessi, adottate da autorità pubbliche o istituzioni private, detto inte- resse deve essere considerato «preminente».

Il Protocollo rinnovato nel 2016 è, senza dubbio un segnale im- portante per la società civile, rafforza una richiesta di cambio di at- teggiamento, di veduta che va posta dalla parte dei bambini e non da quello dei genitori detenuti e dei loro vincoli giuridici, soprattutto attribuisce il giusto rilievo alla posizione del padre detenuto; al con- tempo è un richiamo forte alla necessità di avviare un processo di in- tegrazione sociale e, più in generale, di profondo cambiamento cul- turale nei confronti del soggetto più vulnerabile in un simile conte- sto: sempre ed unicamente il minore.

Bibliografia

ACHILLE D., Irrecuperabilità delle capacità genitoriali e stato di adottabilità del

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