2 L’Analisi del Rischio
2.2 Quadro normativo
2.2.2 Direttiva Europea 2013/30/EU
Data la frammentazione del quadro normativo precedente e la necessità di una legislazione che armonizzi obblighi e obiettivi di sicurezza degli Stati membri, nel 2013 è stata emanata la direttiva Europea in merito alla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi [3]. Essa persegue l’obiettivo di prevenzione degli incidenti gravi e di limitazione delle loro conseguenze al fine di garantire la protezione dell’ambiente marino, la sicurezza delle persone e la continuità di produzione. I principali aspetti introdotti dalla direttiva sono:
• Definizione e designazione dei soggetti interessati
• Modalità di rilascio o trasferimento delle licenze
• Descrizione dei documenti da presentare
• Partecipazione del pubblico, trasparenza e condivisione delle informazioni
• Piani interni ed esterni di emergenza
La direttiva contiene la descrizione dei soggetti interessati e delle loro interazioni secondo una struttura gerarchica di responsabilità, poteri e obblighi. Gli Stati membri, nel compito di garantire un controllo efficace delle operazioni in mare, designano un’autorità competente che, attraverso relazioni, verifiche e ispezioni, verifica le capacità tecniche e finanziare dell’operatore, colui il quale svolge le attività o possiede lo stabilimento. In aggiunta, viene definita una figura intermediaria denominata verificatore indipendente IVB6 (Independent Verification Body), un ente esterno e indipendente che verifica la correttezza delle procedure e delle attività. L’inizio e il proseguimento di tali attività sono difatti subordinate all’ottenimento della licenza, avvenuta qualora l’operatore dimostri attraverso opportuna documentazione di aver intrapreso tutte le misure adeguate e che le
5 Strumento per la pianificazione urbanistica che regola l’attività edificatoria di un Comune o un insieme di Comuni.
6 Ente esterno e qualificato con il compito di verificare la conformità e l’adeguatezza di misure di controllo, gestione e riduzione del rischio in riferimento alla direttiva.
33 operazioni in mare siano effettuate sulla base di una gestione del rischio sistematica. In particolare, gli operatori sono tenuti a presentare all’autorità competente la così detta
“relazione sui grandi rischi” (RGR) (Art.11) [3], i cui contenuti corrispondono con gli obiettivi perseguiti dall’analisi quantitativa del rischio: individuazione completa di tutti gli scenari incidentali gravi, valutazione della loro probabilità, delle conseguenze e quindi del rischio attraverso l’applicazione delle migliori tecniche del settore. Tra queste, le più utilizzate dalle Company petrolifere sono appunto le metodologie di analisi quantitativa QRA e FERA, che oltretutto vengono definite in regolamenti nazionali e altre linee guida autorevoli, tra cui l’HSE UK (Health and Safety Executive) [5]. Attraverso tali tecniche infatti, l’operatore è in grado di garantire la sicurezza per le persone e per l’asset mantenendo il rischio ad un livello accettabile e adempiendo gli obblighi normativi.
Un'altra motivazione risiede nella definizione di accettabile citata in direttiva:
“«accettabile»: in relazione a un rischio, un livello di rischio la cui ulteriore riduzione richiederebbe tempi, costi o sforzi assolutamente sproporzionati rispetto ai vantaggi di tale riduzione. Nel valutare se i tempi, i costi o gli sforzi sarebbero assolutamente sproporzionati rispetto ai vantaggi di un’ulteriore riduzione del rischio, si tiene conto dei livelli di rischio delle migliori pratiche compatibili con l’attività “(Art.2) [3]. Nelle tecniche di analisi del rischio, la definizione di accettabile si traduce in una regione di rischio denominata ALARA/ALARP (As Low As Reasonably Achievable/ Practible):
Figura 4 Regioni di accettabilità del rischio.
34 Per verificare in quale delle tre regioni ricada il rischio e per comprendere l’efficacia di eventuali misure di riduzione è opportuno effettuare un’analisi quantitativa che consenta una valutazione di carattere relativo con dei criteri di accettabilità e permetta di riconoscere la proporzionalità tra costi e benefici. Inoltre, a norma dell’Art.11, nelle informazioni da inserire nei documenti presentati all’autorità competente, è richiesta la dimostrazione che il concetto di progettazione contribuisca a ridurre i grandi rischi ad un livello accettabile (Allegato 1, paragrafo 1) [3]. Le migliori pratiche del settore, descritte dagli standard più riconosciuti come quello norvegese, il NORSOK-Z013 [6], definiscono dei criteri di riferimento per la progettazione che consistono in valori numerici o curve di rischio e che prevedono dunque un’analisi quantitativa la cui rappresentazione dei risultati non può prescindere dalla mappatura del rischio. Nello specifico, è richiesta una particolare attenzione alla valutazione dei requisisti di affidabilità e integrità di sistemi con funzioni di sicurezza (Allegato 4) [6], il cui scopo è quello di impedire o limitare le conseguenze di un incidente e quindi garantire una risposta tempestiva ed efficace alle emergenze. A tal proposito, lo strumento di mappatura del rischio permette di identificare le zone e le unità sensibili dell’impianto, che in caso di incidente vengono sottoposte ad un livello di rischio non accettabile e dunque decidere, durante le prime fasi di progettazione, il posizionamento dei sistemi di sicurezza e del personale.
La direttiva richiede inoltre la dimostrazione che siano stati utilizzati i metodi più sofisticati per garantire, a seguito di incidente grave, l’integrità strutturale delle piattaforme. Quest’ultima può essere verificata solo attraverso la rappresentazione grafica del rischio relativo a singoli scenari di incendio ed esplosione, che consente di valutare il posizionamento di barriere, come rivestimenti “fireproofing” resistenti agli incendi, pannelli “blast wall” per la sovrapressione generata da una esplosione, e di evitare il cedimento di elementi strutturali fondamentali. Con questi stessi interventi, attraverso un design d’impianto supportato da un’analisi FERA, si possiede inoltre la capacità di preservare la funzione dei sistemi di sicurezza e di evitare il coinvolgimento di altri elementi critici capaci di innescare fenomeni di escalation. Le scelte progettuali intraprese sono difatti fondamentali per assicurare un piano di risposta alle emergenze che sia efficace e tempestivo, ovvero che assicuri buone prospettive di sicurezza e di sopravvivenza delle persone (Art. 28, paragrafo 4) [6]. In caso di incidente, deve essere assicurata l’evacuazione e il salvataggio in sicurezza del personale (allegato2, paragrafo 2) [6], per cui è necessario individuare le zone sicure dell’impianto, predisporre
35 correttamente le uscite d’emergenza, i corridoi di evacuazione, le aree di soccorso e garantirne l’integrità strutturale con misure di rafforzamento.
2.2.3 D.Lgs. n. 145/2015 e linee guida del Comitato Italiano del MISE
La direttiva europea 2013/30/EU, relativa alla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi, viene incorporata nel diritto nazionale italiano nel 2015 attraverso il decreto legislativo 145/2015 [7]. Una volta dettati gli obblighi di risultato dalla direttiva Europea, il recepimento italiano stabilisce la forma, i mezzi e le misure di portata nazionale da adottare per raggiungerli. I principi generali di gestione del rischio, quali la prevenzione e la limitazione delle conseguenze di incidenti gravi, rimangono dunque imperturbati e prevedono anch’essi l’applicazione delle migliori tecniche disponibili nel settore di appartenenza. Disposizioni più dettagliate vengono invece fornite dai soggetti interessati, designati a norma del presente decreto. In particolare, è stata prevista l’istituzione del Comitato italiano per la sicurezza delle operazioni a mare, alla quale viene assegnata la responsabilità di autorità competente, con poteri di regolamentazione, vigilanza e controllo. Il suo compito principale consiste nella valutazione della relazione sui grandi rischi RGR, del sistema di gestione della sicurezza e di tutti i documenti necessari all’operatore per iniziare e condurre le operazioni. Per supportare la redazione della RGR, il Comitato fornisce delle linee guida ben precise, attraverso le quali stabilisce i criteri da adottare nella scelta della tipologia di analisi del rischio da intraprendere [8]. Nello specifico, oltre a stabilire i principi tecnici da seguire, si fa presente la necessità di una metodologia che fornisca risultati accurati, con un grado di dettaglio proporzionale alla complessità dell’impianto e alla magnitudo del potenziale rischio. Indipendentemente dalla tipologia di analisi, l’identificazione dei pericoli per persone, ambiente e asset deve essere effettuata in maniera sistematica, considerando tutti i pericoli e tutte le attività operative. In particolare, per nuovi stabilimenti vengono raccomandate le tecniche HAZID, per l’identificazione dei pericoli connessi a eventi esterni e la tecnica HAZOP, per i pericoli relativi alle deviazioni di processo.
Successivamente vengono introdotti due criteri di selezione che distinguono gli impianti in base alla tipologia di sostanza estratta:
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• Idrocarburi gassosi con componenti tossiche
• Idrocarburi gassosi senza componenti tossiche
• Idrocarburi liquidi (miscele di gas, olio e acqua)
e in base alle caratteristiche di processo a bordo, ovvero la presenza o meno di unità di trattamento:
• Con trattamento: nel caso di gas, compressori, sistemi di disidratazione e addolcimento, nel caso di olio, separatori e scambiatori di calore, nel caso di acqua, unità di trattamento acque oleose.
• Senza trattamento: esclusivamente le unità necessarie per il corretto funzionamento (testa di pozzo, singolo separatore per gravità, ecc…)
Come si evince dal diagramma riportato in fig.5, in base a tali criteri viene indicata la tipologia di analisi da intraprendere, distinguendo tre livelli di approfondimento.
Figura 5. Diagramma per la selezione della metodologia di analisi del rischio [8]
37 Come si evince dal diagramma riportato in fig.5, in base a tali criteri viene indicata la tipologia di analisi da intraprendere, distinguendo tre livelli di approfondimento:
• Analisi semplificata: nel caso in cui l’impianto estragga esclusivamente sostanze gassose non tossiche e non siano presenti al suo interno unità di trattamento, è sufficiente l’utilizzo di un’analisi qualitativa o semi-quantitativa delle frequenze di accadimento, attraverso indici o intervalli di ordini di grandezza e un’analisi qualitativa del danno.
• Analisi media: nel caso in cui, rispetto al caso precedente, siano presenti unità di trattamento, oppure l’impianto estragga olio, gas e acqua, senza un ulteriore trattamento, è richiesta invece una valutazione quantitativa delle frequenze di accadimento, che tenga in considerazione l’indisponibilità e/o l’inaffidabilità delle barriere di protezione e/o mitigazione, le dipendenze tra i guasti (CCF7), gli errori umani, gli errori di software e gli eventi esterni. Mentre per la valutazione del danno è sufficiente un’analisi qualitativa.
• Analisi dettagliata: nel caso in cui vengano trattati olio, gas e acqua oppure sia presente una concentrazione di H2S superiore a 100 ppm (IDLH) rispetto alla frazione gas/vapore che si avrebbe in caso di rilascio, è necessaria l’applicazione di diverse tecniche di analisi quantitativa per valutare tutti i rischi per le persone e per i sistemi con funzioni di sicurezza. Mentre, sarà a discrezione della Company la valutazione del rischio per i beni e la produzione (asset).
In generale, per tutte le tipologie sopra elencate, la valutazione dovrà avere natura cautelativa e in aggiunta, il documento specifica che, nel caso di impianti già esistenti, è sufficiente utilizzare un livello medio, supportato in alcune fasi da un livello dettagliato.
Entrambi i metodi prevedono comunque una valutazione quantitativa della frequenza e si differenziano esclusivamente nella metodologia di valutazione del danno che, a dimostrazione della confidenza operativa maturata negli impianti esistenti, può essere semplicemente basata sulla consultazione di dati storici e, solo in casi particolari, su degli studi specifici per il sito. In aggiunta, si ritiene che negli impianti già esistenti l’esperienza acquisita sia compensata da un potenziale incremento del rischio, determinato dal deterioramento dei sistemi e dall’utilizzo di tecnologie meno efficaci. Dunque, data la complessità impiantistica degl’impianti in esame e la presenza di diverse sostanze
7 Common Cause Failure, cause di guasto condivise da componenti e sistemi.
38 pericolose, è opportuno applicare una metodologia dettagliata sia in fase di progettazione che di esercizio e basare l’analisi su una valutazione quantitativa. Quest’ultima, secondo le linee guida del Comitato, prevede l’applicazione delle tecniche utilizzate dallo strumento di mappatura del rischio, QRA e FERA, attraverso le quali deve essere verificata la tollerabilità del rischio, inteso come valore cumulato su tutti gli scenari, a parità di effetto, intensità e area coinvolta [allegato 4 linee guida MISE]. Inoltre, nella sezione dedicata alle “rule set”, le regole generali da applicare nella valutazione del rischio, la sua mappatura viene definita il mezzo principale per la rappresentazione dei risultati dell’analisi e il successivo confronto con i criteri di accettabilità che verranno descritti in dettaglio nel paragrafo successivo. Nello specifico, la mappatura dovrà rappresentare il rischio individuale per le persone LSIR (Local Specific Individual Risk) su 24 ore, alla quota di 1.5 metri rispetto il piano del deck, mentre il rischio di escalation deve essere mappato anche alla quota zero di ciascun deck, separatamente per scenario di incendio ed esplosione.
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