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DISCUSSIONE

Nel documento ANNO ACCADEMICO 2018/2019 (pagine 97-107)

Le tecniche di biologia molecolare innovative sviluppate dal 2005 in poi e definite di Next Generation Sequencing hanno rappresentato un passo in avanti fondamentale per lo studio dell’intero genoma in un solo esperimento (Morozova & Marra, 2008), consentendo la classificazione di numerose alterazioni del codice genetico spesso causa di patologie o predisponenti alle stesse (Reis-Filho, 2009).

Pochi sono gli studi in campo medico veterinario che applicano queste tecniche, in particolare per quanto riguarda l’utilizzo di campioni archiviati inclusi in paraffina (FFPE).

In medicina umana le tecniche di NGS sono già da anni studiate ed impiegate nella clinica e nella ricerca, in particolare in campo oncologico, ed alcuni studi hanno cominciato di recente a verificare la possibilità di utilizzo di materiale estratto da campioni paraffinati con risultati soddisfacenti (Van Allen et al., 2014).

Il primo scopo di questo lavoro è stato pertanto valutare l’efficienza dell’estrazione da campioni FFPE di DNA utilizzabile poi per eseguire il sequenziamento di tutto l’esoma nel tessuto sano e nel carcinoma mammario del gatto domestico.

Un unico lavoro attualmente riportato in letteratura in cui è stata applicata una tecnica di NGS alla specie felina ha applicato la tecnica di Whole Genome Sequencing da campioni ematici per identificare le mutazioni genetiche scatenanti l’amaurosi congenita di Leber, malattia genetica che causa cecità e di cui il gatto Persiano è un modello animale (Lyons et al., 2016).

Per quanto riguarda l’utilizzo di campioni FFPE in Medicina Veterinaria vi sono ad oggi solo alcuni studi nel cane.

In tali studi tuttavia vengono applicate tecniche di biologia molecolare classiche (e.g.PCR e RT-PCR) e non di NGS (Granato et al., 2014; Kaneko et al., 2009; Lüder Ripoli et al., 2016).

Similmente, gli unici lavori ad ora presenti riguardanti l’utilizzo di materiale estratto da FFPE nel gatto sono stati eseguiti per identificare un nuovo adenovirus felino

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tramite PCR e sequenziamento classico (Lakatos et al., 2017) e per identificare funghi patogeni presenti nei tessuti felini (Meason-Smith et al., 2017).

I risultati ottenuti durante questo lavoro di tesi riguardanti l’estrazione di acidi nucleici da tessuto felino fissato in formalina ed incluso in paraffina dimostrano come la quantità di DNA ed RNA estratta sia nella maggioranza dei casi sufficiente per permettere delle successive analisi, in particolar modo di WES per quanto riguarda il DNA.

Si è potuto notare come il DNA estratto superi a volte anche abbondantemente i 10ng riportati in letteratura come limite minimo attualmente utilizzato nell’uomo per eseguire poi la costruzione di library, l’uso di un eventuale array CGH analysis ed il sequenziamento del materiale genetico (Zhang et al., 2017).

È stato deciso di concentrarsi sul DNA poiché risulta essere più stabile e meno degradato a causa del processo di fissazione in formalina ed inclusione in paraffina (Zhang et al., 2017).

Solo due campioni sul totale degli estratti hanno raggiunto una quantità di acido nucleico inferiore ai 10 ng/µl da noi considerata come limite minimo accettabile. Essi all’istologia risultavano essere quelli con maggiore presenza di aree necrotiche nel campione.

Tutti i campioni sono stati conservati a temperatura ambiente ed il più vecchio risale al 2016.

Si ritiene pertanto che il protocollo utilizzato possa permettere ampi studi a livello genomico da campioni FFPE presenti in numerosa quantità negli archivi di diversi laboratori.

Per quanto riguarda la purezza del materiale genetico ottenuto, si può notare dalle curve del Nanodrop e dal rapporto tra assorbanza a 280 ed a 260 nm ed in quello tra 260 e 230 nm, che il materiale genetico è privo d’impurità.

L’assorbanza secondo la legge di Beer-Lambert è direttamente correlata alla concentrazione del materiale genetico (Huss, Festl, & Schleifer, 1983) ed a 260 nm è determinata dalla struttura dei residui aromatici delle basi azotate.

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A 280 l’assorbanza è data dalle proteine e dai composti fenolici mentre a 230 è data da contaminanti vari come sali, fenoli o residui organici.

In letteratura si usano i due rapporti, 260/280 e 260/230 per valutare la purezza degli acidi nucleici ed essa è tanto maggiore quanto più è compresa tra 1,8 e 2,1 per il primo rapporto e maggiore di 1,8 per il secondo (Glasel, 1995).

Tutti i campioni ottenuti durante il lavoro di tesi, direttamente dopo l’estrazione o in caso dopo precipitazione in etanolo, rispettano questi intervalli e possono perciò essere considerati puri ed utilizzabili per la costruzione di librerie di WES (R. Chen, Im, & Snyder, 2015).

Dall’elettroforesi su gel di agarosio effettuata sui campioni ottenuti è identificata la presenza di uno striscio e non di una banda singola che indica una notevole frammentazione dei frammenti, risultando essi distribuiti perciò in un ampio intervallo di lunghezze e conseguentemente di pesi molecolari.

Questo non influenza la costruzione delle librerie di WES ed il successivo sequenziamento poiché per la prima sono richiesti frammenti piccoli di DNA, compresi tra le 250 e le 450 paia di basi ed il protocollo stesso prevede una fase di frammentazione dell’acido nucleico perché possa risultare conforme a questa richiesta (R. Chen et al., 2015).

Risulta perciò evidente come il DNA estratto sia sufficientemente puro e nella maggior parte dei casi abbastanza concentrato da poter essere utilizzati nelle tecniche di NGS tra cui il WES.

Presso il laboratorio dove è stato svolto questo lavoro di tesi, si sta procedendo con la costruzione delle librerie di WES.

Successivamente i campioni verranno sequenziati e dopo analisi bioinformatica, i risultati daranno informazioni come ad esempio l’eventuale presenza di polimorfismi a singolo nucleotide (SNPs).

Queste informazioni sono utili per approfondire e studiare a livello genetico eventuali differenze che si riscontrano tra tessuto mammario sano, tessuto mammario tumorale primario e metastasi linfonodale.

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Essendo il gatto considerato un buon modello animale spontaneo per il tumore al seno della donna (Brunetti et al., 2013; Caliari et al., 2014; Maria et al., 2005), queste informazioni possono essere utili non solo per approfondire la conoscenza del tumore mammario felino, ma anche a supporto delle informazioni già presenti nell’ambito del tumore al seno della donna.

Il Transferrin Receptor 1 è visto da anni con molto interesse in medicina umana per il suo potenziale utilizzo come obiettivo terapeutico nella lotta contro il cancro (Daniels et al., 2012) e più in generale per contrastare le alterazioni del metabolismo del ferro che vanno a favorire la proliferazione neoplastica (Kwok & Richardson, 2002), pertanto si è pensato in questo studio di tesi d’indagare la sua espressione anche nei tessuti felini .

Tra le varie neoplasie, il tumore mammario nella donna è una di quelle in cui è dimostrata l’espressione del recettore per la transferrina ed in maniera maggiore rispetto al tessuto sano (Shindelman et al., 1981; Meenakshi Singh et al., 2011b). Attualmente in letteratura per quanto riguarda la medicina veterinaria gli articoli che prendono in esame il ruolo del TfR1 nelle neoplasie animali sono unicamente due e si concentrano sul linfoma canino (Priest et al., 2011) e sui tumori oro-nasali sempre del cane (Ploypetch et al., 2017).

In letteratura non sono ad oggi presenti articoli che vadano ad indagare la presenza ed il ruolo del TfR1 nel carcinoma mammario negli animali domestici ed in particolare nel gatto.

Il lavoro di tesi svolto ha avuto perciò come secondo obiettivo la dimostrazione dell’espressione del TfR1 nel carcinoma mammario felino sia su tessuti FFPE sia in vitro su linee cellulari.

In quest’ultimo caso anche comparando la specie umana e canina con quella felina. Come dimostrato dall’esperimento d’immunofluorescenza, le linee cellulari di carcinoma mammario in tutte e tre le specie esaminate hanno dimostrato la presenza, e dunque l’espressione, a livello citoplasmatico e di membrana, del recettore

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coerentemente con la collocazione riportata dalla letteratura (Dautry-varsat et al., 1983) e dalla biologia stessa del TfR1.

La positività è stata riscontrata in tutte le linee cellulari prese in esame, quindi in due sottotipologie di HBC (Human Breast Carcinoma) ed in linee sia primarie che metastatiche feline e canine.

Si è successivamente indagata la presenza e l’espressione del TfR1 da parte dei campioni di carcinoma mammario felino FFPE.

Per far ciò è stata effettuata una colorazione immunoistochimica per evidenziare la presenza del recettore.

Una volta appurato che tutti i campioni esprimessero, se pur in maniera variabile, il recettore grazie alla colorazione marrone rilevata, si è proceduto a differenziare e quantificare quest’espressione con metodo semiquantitativo detto H score.

È stato scelto questo metodo di valutazione in quanto esso risulta uno dei più utilizzati in letteratura in ambito veterinario (Peña et al., 2014) ed anche l’unico che riporti in modo chiaro ed univoco come calcolare le somme di valori che possano descrivere l’espressione sia in termine di quantità sia d’intensità della positività. Esso infatti consiste nella somma tra la percentuale di cellule debolmente positive, la percentuale di cellule mediamente positive moltiplicata per due e la percentuale di cellule altamente positive moltiplicata per tre, dando così valori per ogni campione compresi tra 0 e 300 (P1+(2xP2)+(3xP3)) (Barnes, Dublin, Fisher, Levison, & Millis, 1993).

Gli altri due indici di valutazione più utilizzati sono il Quick score e l’Allred score. Il primo si basa sulla somma dei punteggi rispettivamente assegnati alle percentuali di cellule positive (con valori che vanno da 0 (nessuna positiva) a 5 (dal 66 al 100% positive) ed all’intensità delle stesse classificata da 0 (assente) a 3 (forte) (Detre, Saccani Jotti, & Dowsett, 1995).

Il secondo si basa sulla somma tra un punteggio assegnato in base alla percentuale di cellule positive presenti nel campione (con 0 = nessuna cellula positiva e 4 = dal 76

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al 100% di cellule positive) ed uno assegnato per l’intensità della positività (con 0 = assente e 3 = forte) (Allred, Harvey, Berardo, & Clark, 1998).

Né il Quick score né l’Allred score presentano una metodologia univoca di considerare la percentuale di cellule positive con però differente intensità di colorazione nel conteggio del punteggio da assegnare al campione (Beffagna et al., 2016).

Il limite dei due metodi valutativi appena citati, unito al fatto che l’Allred score sia basato su una valutazione funzionale poi alla quantificazione dell’espressione del recettore per gli estrogeni nella donna al fine d’impostare una conseguente terapia (Allred et al., 1998), ha fatto si che la scelta sullo scoring system da adottare in questo studio ricadesse sull’H score.

I risultati ottenuti con questo sistema d’assegnazione del punteggio mostrano una differenza statisticamente significativa tra tessuto mammario felino sano e sia tessuto mammario neoplastico sia metastasi linfonodali di carcinoma mammario. Non vi sono invece differenze statisticamente significative tra l’espressione nel tessuto mammario neoplastico e le metastasi linfonodali.

Il risultato appare coerente con i lavori presenti in letteratura riguardanti il cancro al seno nella medicina umana dove l’espressione del recettore da parte delle cellule neoplastiche a livello mammario appare più alta rispetto alla controparte sana (Shindelman et al., 1981; Meenakshi Singh et al., 2011b).

Si è eseguita un’analisi anche con il programma Image J per evitare le possibili influenze dovute alla valutazione in parte soggettiva dell’intensità del colore delle cellule esprimenti il TfR1 e rivelato dal cromogeno DAB (Meyerholz, Tintle, & Beck, 2018).

Il plug-in dell’applicativo utilizzato permette di separare le lunghezze d’onda dei tre colori principali (operazione definita deconvoluzione dei colori) che compongono l’immagine nelle comuni fotocamere RGB (red, green and blue) per poter isolare solo quella corrispondente al marrone del DAB ed analizzare conseguentemente solo i pixel che presentino un colore di quel tipo specifico (Ruifrok & Johnston, 2001).

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Viene poi isolata dal programma, tramite il plug-in IHC profiler la visuale in DAB ed eseguito il conteggio dei pixel negativi e positivi con le varie intensità (Varghese, Bukhari, Malhotra, & De, 2014b).

In letteratura è già stato riportato l’utilizzo di questo specifico plug-in in supporto all’analisi dell’espressione del TfR1 nel linfoma canino (Priest et al., 2011) e nel secondo l’espressione del recettore da parte dei melanomi e carcinomi squamosi canini della zona oro-nasale (Ploypetch et al., 2017).

Le neoplasie già citate però, essendo tipicamente solide ed omogenee, non hanno presentato delle difficoltà come la lettura da parte del programma di pixel categorizzati come negativi ma appartenenti a lume duttale e stroma.

Questi limiti hanno portato ad escludere le analisi eseguite con questa metodica dallo studio.

Oltre all’indagine immunoistochimica è stata eseguita un’indagine molecolare tramite real time PCR per valutare le differenze di espressione del TfR1 tra varie linee cellulari di cane, donna e gatto, sia primarie che metastatiche e le stesse sono state confrontate grazie all’applicazione del metodo del delta delta Ct (Livak & Schmittgen, 2001).

Le linee CYPm e CF-33 hanno dimostrato un’espressione del recettore rispetto alle CYPp ed alle CMT-Da quantificabile intorno all’1,5 volte maggiore.

Nella donna la linea MDA-MB231, che deriva da una neoplasia triplo-negativa, ha dimostrato un’espressione del TfR1 circa doppia rispetto all’MCF-7, che deriva da una neoplasia positiva al recettore estrogenico.

Appare quindi evidente una tendenza alla maggior espressione del recettore nelle linee cellulari con maggior tendenza alla malignità ed all’invasività tissutale con annessa tendenza a metastatizzare.

Nel caso delle linee canine infatti appare evidente una maggior espressione nelle linee cellulari metastatiche rispetto a linee di tumore primario, mentre nella donna appare palese la maggior espressione nella linea cellulare modello del tumore mammario triplo negativo della donna (la tipologia di neoplasia più aggressiva e con

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la prognosi peggiore) rispetto alla linea esprimente i recettori per estrogeni e progesterone.

Ciò appare in accordo con la letteratura presente in medicina umana dove è stato riscontrato che la presenza del recettore tende ad aumentare progressivamente all’aumentare della malignità ed invasività del carcinoma mammario (Meenakshi Singh et al., 2011a) e dove all’aumentare dello stesso si ha una contemporanea diminuzione del recettore per gli estrogeni (Tonik et al., 1986).

Una simile valutazione non è stata possibile nelle linee cellulari del gatto, poiché i cicli di amplificazione dei geni housekeeping scelti inizialmente (ßactina e GAPDH) erano superiori al 35° e perciò da ritenere non attendibili come da convenzione largamente accettata dalla comunità scientifica.

Per gene housekeeping o gene costitutivo s’intende un gene che dovrebbe essere espresso senza sostanziali variazioni da ogni tipologia cellulare, poiché implicato in vie metaboliche o funzioni basilari per la vita di ogni tipologia di cellula (Lewin, 1975; Velculescu et al., 1999).

Per evitare ogni possibile errore, sono stati utilizzati due geni costitutivi diversi ed ampiamente documentati per il loro utilizzo in letteratura, cioè il GAPDH (Petersen, Rapaport, Henry, Huseman, & Moore, 1990) e la ßactina (J. K. Choi et al., 1991). Essi però non si sono dimostrati appropriati per eseguire le valutazioni descritte in precedenza durante il loro utilizzo come geni di referenza per le linee cellulari di carcinoma mammario di gatto.

È stato escluso l’errore sperimentale poiché essi si sono rivelati perfettamente funzionali ed attendibili durante le qPCR in cui sono state utilizzate linee cellulari di donna e cane.

Ha preso così sempre più piede l’ipotesi che quelli convenzionalmente definiti come geni costitutivi possano, in particolar modo nel metabolismo tumorale, subire alterazioni anche nette pregiudicandone la funzione di referenza durante gli esperimenti di biologia molecolare.

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In letteratura il dibattito è aperto, in quanto in alcuni lavori è stato dimostrato come quelli che convenzionalmente sono definiti come geni housekeeping siano in realtà influenzati da innumerevoli condizioni, come l’eventuale ipossia (Zhong & Simons, 1999), il metabolismo tumorale e le relative condizioni di crescita e proliferazione spinte (Kunth, Höfler, & Atkinson, 1994) o semplicemente le modalità e condizioni stesse con cui viene effettuato l’esperimento (Thellin et al., 1999).

Con il progredire delle scoperte in ambito di genetica e regolazione dell’espressione dei geni stessi si è scoperto che quelli che venivano una volta considerati come geni aventi una semplice funzione strutturale o metabolica sono in realtà inseriti in un pathway cellulare che implica la loro influenza anche in svariate altre funzioni (Thellin et al., 1999).

Appare sempre più necessario dunque valutare e validare dei geni come costitutivi esaminando solo alcuni particolari tessuti o alcune particolari patologie per essere più precisi possibile nell’individuare tra i possibili candidati quelli che in quelle particolari condizioni metaboliche mostrano un’espressione costante e ripetibile (de Kok et al., 2005).

Supportati dalla letteratura, che attesta come in particolari condizioni o patologie (tra cui spicca in primis proprio il tumore mammario (Tilli, Castro, Tuszynski, & Carels, 2016)) sia il GAPDH (Yamada, Chen, Monstein, & Håkanson, 1997) che la ßactina (Marten, Burke, Hayden, & Straus, 1994) non siano considerati come geni costitutivi, si è optato dunque per la ricerca di nuovi geni che la letteratura riporta come più stabili per l’analisi del materiale genetico derivate da cellule di carcinoma mammario, al fine di esaminare se le considerazioni fatte dagli Autori possano essere valide anche in medicina veterinaria.

I geni così individuati sono RPS 18 (Thellin et al., 1999) e PUM1 (Tilli et al., 2016) e sono attualmente in costruzione le sequenze per i primers specifici per la specie felina da essi ottenuti.

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La mancanza di amplificazione da parte di tutti i primers disegnati per il TfR1 felino, ad eccezione del TFRC-F4, entrava in contrasto con le osservazioni raccolte durante l’esperimento d’immunofluorescenza e d’immunoistochimica.

È stata allora avanzata l’ipotesi che possa esistere un’isoforma non ancora annotata del recettore stesso, analogamente a quanto avviene con il recettore per gli estrogeni felino (Cardazzo et al., 2005), espressa solo da questa linea cellulare e nata da splicing alternativo.

Per testare quest’ipotesi è stata progettata la coppia di primers TFRC-F4, disegnata su una sequenza esonica più a valle rispetto a quella su cui erano stati disegnati i primers TFRC-F1 ed F2.

Si è riscontrata in questo caso l’amplificazione di un prodotto di PCR che è stato in seguito valutato tramite elettroforesi su gel di agarosio e tramite successivo sequenziamento, confermando il fatto che si trattasse del gene codificante per il TfR1.

Si è proceduto poi a testare il primer TFRC-F3 che secondo le previsioni, poi confermate, non si sarebbe dovuto legare dando amplificato essendo disegnato anch’esso sull’ipotetico esone eliminato durante lo splicing.

È tutt’ora in corso l’amplificazione utilizzando il primer TFRC-F4 reverse ed un primer forward disegnato a monte dell’esone ipoteticamente non presente nella forma di splicing alternativo espressa dalla linea FMCp per vedere e confermare, con successivo sequenziamento, l’ipotesi formulata.

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