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Gli studi descritti in questo lavoro di tesi mettono in evidenza come uno dei possibili bersagli per lo sviluppo di nuovi farmaci nella Malattia di Alzheimer sia rappresentato dall’epigenoma. Infatti, molecole come gli inibitori delle istone deacetilasi si sono dimostrati capaci di oltrepassare la barriera emato- encefalica e ritardare l’insorgenza e la progressione dei sintomi in modelli animali della malattia. Nonostante i risultati siano incoraggianti, sono tuttavia necessarie ulteriori sperimentazioni prima che questi vengano applicati all’uomo.

Attualmente solo pochi composti aventi proprietà epigenetiche sono stati approvati per il trattamento di patologie umane. Questi includono l’azacitidina e la decitabina, entrambi inibitori delle DNMTs, utilizzati per il trattamento di sindromi mielodisplastiche, e tra gli HDACi il vorinostat ed il romidepsin, utilizzati per il trattamento del linfoma cutaneo a cellule T (Juo et al., 2015). Nonostante questi composti abbiano dato risultati incoraggianti nel trattamento delle malattie ematopoietiche, i risultati dei trials clinici di fase I e II per il trattamento dei tumori solidi non sono incoraggianti, in quanto la monoterapia è spesso risultata scarsamente efficace ed associata molte volte a tossicità severa (Juo et al., 2015). Al contrario, i risultati

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preliminari di studi preclinici in cui i composti epigenetici sono stati combinati tra loro (esempio inibitori di HDACs e DNMTs), oppure combinati a farmaci chemioterapici o ad immunoterapia sono incoraggianti per una possibile futura applicazione anche al trattamento dei tumori solidi, tuttavia non sono ancora chiari i dosaggi, i tempi ed i modi di somministrazione di questi composti (Juo et al., 2015).

Quanto appreso dalla ricerca nel trattamento dei tumori solidi deve essere esteso anche al potenziale trattamento di altre patologie, incluse le neurodegenerative. Infatti, nonostante molti di questi composti abbiano dato risultati incoraggianti in modelli cellulari e animali, i dati finora ottenuti non possono ancora considerarsi sufficienti per applicare farmaci epigenetici al trattamento di malattie neurodegenerative nell’ uomo. La fonte di maggiore preoccupazione è la scarsa selettività degli HDACi; questi composti infatti inibiscono molti enzimi simultaneamente e per tale motivo potrebbero portare a gravi effetti collaterali, come peraltro evidenziato dai trials nel trattamento dei tumori solidi. Da tenere in considerazione sono poi le differenze anatomiche e metaboliche tra gli animali utilizzati e l’uomo, così come le dosi, i tempi e le modalità di somministrazione che erano spesso diversi negli studi condotti su modelli animali, rendendo difficile l’individuazione della strategia più idonea da applicare agli esseri umani.

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Tutto questo suggerisce la necessità di indagini più approfondite per garantire gli effetti di questi approcci terapeutici. Inoltre dobbiamo ricordare che non tutte le HDACs sono espresse allo stesso modo nelle varie regioni cerebrali colpite da MA e pertanto che alcune di esse sembrano avere un ruolo maggiore nei processi di memoria e apprendimento compromessi dalla patologia. Pertanto, un’importante linea di ricerca sta focalizzando la sua attenzione alla comprensione dell’esatto ruolo delle varie HDACs nelle diverse patologie neurodegenerative, in modo tale da poter individuare i bersagli che permettano di mettere appunto una strategia farmacologica che sia il più possibile mirata. A tale proposito, i dati attuali suggeriscono che le HDACs di classe I siano di particolare importanza nella MA; per esempio modelli murini mancanti della HDAC2 mostrano un miglioramento della memoria, ed in linea con questi dati sono stati trovati livelli aumentati di HDAC2 nel tessuto cerebrale post-mortem di pazienti affetti da MA (Guan et al., 2009; Graff et al., 2012), suggerendo che tale enzima rappresenti un bersaglio ottimale per il trattamento con HDACi. Risultati simili sono stati ottenuti anche per la HDAC3 (McQuown et al., 2011), ma il contributo di questo enzima alla MA rimane da dimostrare, come pure quello delle HDAC1 e HDAC8 (Bahari-Javan et al., 2012). Pertanto, tra le HDACs di classe I, HDAC2 e HDAC3 potrebbero rappresentare i bersagli farmacologici più

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adeguati nella MA. Per quanto riguarda la classe II, l’enzima più studiato in rapporto alla MA è l’HDAC6 che deacetila proteine non-istoniche quali tubulina e HSP-90 (Simões-Pires et al., 2013). Questo punto è molto importante poiché porta a chiedersi se l’effetto benefico degli HDACi sia dovuto all’azione dell’acetilazione sulle proteine istoniche o all’azione dell’acetilazione su proteine non-istoniche, quali ad esempio le tubuline. Nonostante quindi tutte queste considerazioni indichino la necessità di approfondimenti prima di poter trasferire le ricerche di laboratorio al trattamento di esseri umani, il potenziale della terapia epigenetica nel trattamento delle malattie neurodegenerative rimane elevato e uno dei più promettenti tra quelli attualmente in studio.

Oltre al potenziale offerto da composti aventi proprietà di inibire le HDACs, abbiamo discusso anche come composti in grado di agire sulla metilazione del DNA, quali ad esempio folati e altre vitamine del gruppo B, o la stessa SAM, abbiano dato risultati incoraggianti in modelli animali di MA. Tuttavia, anche in questo caso i risultati dei trials clinici nell’uomo non hanno fornito i risultati attesi. Infatti, una recentissima meta-analisi degli studi condotti per valutare se la supplementazione con vitamine del gruppo B era in grado o meno di ritardare il declino cognitivo in soggetti con decadimento cognitivo lieve (MCI = Mild Cognitive Impairment: una fase preclinica della MA) o il

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decorso della malattia in individui con MA, ha evidenziato che non vi è evidenza sufficiente di un effetto di tali vitamine sulle funzioni cognitive generali, sulle funzioni esecutive e sull’attenzione in individui con MCI. Parimenti, l’acido folico da solo o combinazioni di vitamine del gruppo B non sono state in grado di stabilizzare o rallentare il declino cognitivo, funzionale e comportamentale in soggetti con MA (Li et al. 2014). Questi studi pongono pertanto l’attenzione su quale sia la finestra temporale, nel corso della vita umana, dove un’ eventuale supplementazione potrebbe essere efficace, suggerendo anche che intervenire nelle fasi tardive, laddove il declino cognitivo o la patologia vera e propria sono già manifeste, forse non rappresenti la migliore strategia. A questo punto si apre la prospettiva di una possibile prevenzione nelle fasi più precoci della nostra vita, che tuttavia non è priva di perplessità legate al fatto che questo potrebbe avere effetti collaterali in alcuni soggetti (Coppedè, 2010). Ad esempio una somministrazione eccessiva di acido folico e/o di composti donatori di gruppi metilici potrebbe favorire la progressione di un tumore in individui con lesioni preneoplastiche, indurre modificazioni epigenetiche negli embrioni di donne in gravidanza, o mascherare condizioni patologiche in soggetti anziani, e questo è uno dei motivi per i quali in Europa si discute ancora se rendere obbligatoria o meno la fortificazione dei cibi con acido folico (Shorter

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et al., 2015). Vi sono tuttavia molti composti di origine naturale ricchi di vitamine del gruppo B, polifenoli e flavonoidi, che potrebbero garantirci un adeguato apporto di gruppi metilici ed un corretto funzionamento degli enzimi che mediano le modificazioni epigenetiche nelle cellule. Il loro corretto utilizzo nella dieta potrebbe pertanto rappresentare un’ottima strategia preventiva nei confronti di molte malattie cronico-degenerative, garantendo alle nostre cellule il corretto apporto di nutrienti per la corretta regolazione dell’espressione genica, senza esporci ai rischi di dosaggi eccessivi con molecole di sintesi (Coppedè, 2014).

In conclusione, il potenziale di composti aventi proprietà epigenetiche, sia di origine naturale che di sintesi, rimane elevato nell’ambito della prevenzione e/o della terapia di malattie degenerative quali la MA. Gli studi sono tuttavia in fase iniziale e molto è ancora da chiarire prima di poter traslare la ricerca di base alla terapia degli esseri umani.

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