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3. MATERIALE E METODI

4.4 DISCUSSIONE

L’ipotermia terapeutica è ormai entrata a far parte della pratica clinica. A partire da due grandi studi del 200220,21 l’interesse per l’ipotermia, soprattutto come mezzo di

neuroprotezione, è andato via via aumentando, portando all’identificazione dei meccanismi alla base del ruolo terapeutico del raffreddamento. Mentre però il ruolo dell’ipotermia in ambito intraoperatorio cardiochirurgico è una realtà consolidata da tempo,15 solo da pochi anni è stato standardizzato l’utilizzo dell’ipotermia moderata dopo arresto cardiaco e successiva rianimazione cardiopolmonare,25 seppur per pazienti ancora selezionati con livelli di evidenza diversi per pazienti rianimati da un arresto con ritmo defibrillabile e pazienti rianimati da ritmi non defibrillabili. Dal punto di vista neurologico i vantaggi sono innumerevoli: la riduzione del metabolismo, la riduzione degli effetti negativi del calcio intracellulare, la riduzione del rilascio di neurotrasmettitori eccitatori, la riduzione dell’infiammazione, la riduzione della produzione di radicali liberi, la riduzione della permeabilità vascolare e della barriera emato-encefalica e quindi della formazione di edema. Dal punto di vista cardiologico, invece, ad effetti benefici corrispondono anche effetti potenzialmente deleteri. Diversi studi hanno confermato il ruolo cardioprotettivo dell’ipotermia mediante la riduzione del metabolismo basale, riducendo la produzione di ROS, il danno mitocondriale, il danno della membrana e la disfunzione delle pompe ioniche. È ancora discusso il ruolo dell’ipotermia nella riduzione dell’area infartuata ma sembra che questo ruolo protettivo sia effettivamente presente. Inoltre, non si devono sottovalutare tutti quegli eventi fisiologicamente correlati ad uno stato ipotermico che possono però rappresentare veri e propri effetti avversi e quindi un pericolo e un danno al paziente come il brivido, l’aumento del tempo di coagulazione, l’immunosopressione, il rischio di infezione soprattutto polmonare, l’interazione con il metabolismo dei farmaci, l’iperglicemia e le disionemie.

Oltre a questi effetti negativi, sussistono una serie di problemi tecnici nell’utilizzo dell’ipotermia terapeutica e di costi per cui l’utilizzo routinario dell’ipotermia dopo arresto cardiaco rimane basso e limitato a centri di alto livello. Esiste poi il problema delle tempistiche di induzione: si calcola che attualmente tra l’arresto cardiaco e il raggiungimento della temperatura target trascorrano delle ore226 e ad ogni ora di ritardo corrisponde il 30% circa di probabilità in meno di un outcome neurologico favorevole.227 Ecco quindi la necessità di identificare una via terapeutica che sfrutti gli effetti benefici dell'ipotermia migliorandone e ampliandone l'utilizzo. La ricerca attuale è quindi rivolta alla sperimentazione di nuove metodiche e in particolare di nuovi farmaci che mimando le stesse vie o inducendo

centralmente l’ipotermia, non solo permetterebbero un miglior controllo, praticità e rapidità nell’induzione terapeutica dell’ipotermia ma preserverebbero anche il cuore dai potenziali effetti avversi.

Questo studio sperimentale si è posto l’obiettivo di valutare l’azione di un farmaco agonista dei cannabinoidi WIN 55.212-2 che induce un’ipotermia moderata agendo centralmente a livello ipotalamico80. Si è preso in considerazione proprio questo farmaco in quanto riteniamo che abbia tutte le caratteristiche per essere applicato nella pratica clinica. Dal punto di vista farmacocinetico e farmacodinamico presenta una cinetica rapida e progressiva con una breve emivita media di distribuzione (0.12 h) e una lunga emivita di eliminazione (4.93 h). 228 Presenta poi oltre ad un effetto ipotermico76 anche un concomitante effetto sedativo e analgesico, auspicabili nel tipo di paziente che si andrebbe a trattare. Avendo un meccanismo d’azione noto di tipo recettore mediato sarebbe anche possibile la sintesi di un farmaco antagonista che ne andrebbe a rendere reversibili in tempi più o meno lunghi l’effetto. Si consideri, infine, la praticità e l’utilità che avrebbe un farmaco di questo tipo se dato in emergenza subito dopo l’inizio del periodo di ischemia.

Oltre alla sperimentazione farmacologica si è deciso di sfruttare un modello sperimentale di arresto cardiaco che prevedesse anche un supporto cardiocircolatorio, quale la circolazione extracorporea, durante tutto il trattamento farmacologico. Questo è di rilevanza clinica poiché tale tipo di supporto viene attualmente preso in considerazione in pazienti vittime di uno shock cardiogeno o di un arresto cardiaco. Il dispositivo di assistenza ECMO ha, infatti, la capacità di provvedere ad un efficace supporto cardiocircolatorio nel breve termine grazie ad un sistema di bypass cardiopolmonare percutaneo. L’obiettivo al quale si sta puntando è quindi quello di offrire a questi pazienti sia un supporto emodinamico ad un cuore debilitato, o comunque in difficoltà, sia un trattamento vero e proprio in grado di prevenire gli effetti deleteri dell’ischemia cerebrale e cardiaca grazie all’utilizzo dell’ipotermia. Un modello animale così costituito è già stato testato dal nostro gruppo di ricerca, ma all’epoca non era stata ancora presa in considerazione la possibilità di analizzare i cervelli e quindi ci si è limitati ad osservare gli effetti neuroprotettivi.229

Lo scopo dello studio è di valutare i benefici e l’eventuale superiorità, dell’ipotermia indotta farmacologicamente rispetto all’ipotermia terapeutica e alla normotermia. Si é quindi eseguito uno studio biomolecolare su biopsie autoptiche del cervello, mettendo in relazione i risultati ottenuti dal gruppo trattato farmacologicamente (PH) con quelli ottenuti dal gruppo in condizioni di normotermia (NT) e dal gruppo trattato con ipotermia terapeutica attiva (HT).

Premettendo che per tutti i parametri analizzati l’ipotermia terapeutica si è dimostrata significativamente protettiva nei confronti dell’infiammazione, WIN 55.212-2 ha dato risultati paragonabili all’ipotermia convenzionale nell’espressione di IL 10 mRNA, IL 6 mRNA e MCP-1 mRNA. WIN 55.212-2 si è dimostrato invece meno efficace dell’ipotermia moderata attiva nell’indurre l’espressione di RBM 3 mRNA ma più efficace nel ridurre l’espressione di iNOS mRNA. Si può affermare, quindi, che l’ipotermia farmacologica offra una neuroprotezione in modo paragonabile all’ipotermia convenzionale per via topica.

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