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L'attenzione verso il genere Yersinia spp nasce dal fatto che negli ultimi decenni, si è registrato un aumento dei casi di yersiniosi in diversi paesi europei, collocando la malattia al terzo posto tra le zoonosi maggiormente notificate. La situazione italiana presenta lacune, sia dal punto di vista della notifica obbligatoria dei casi riscontrati nel paese, sia dal punto di vista della ricerca in laboratorio del batterio. Infatti, il genere Yersinia non rientra nei criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari, in base ai criteri dettati dal Reg. CE N° 2073/2005, e in nessun piano nazionale o sovranazionale. In letteratura inoltre, scarseggiano i lavori che permettono una quantificazione del batterio nelle diverse derrate alimentari. Non sono, quindi, disponibili dei reali tassi di incidenza nel nostro paese; e poiché la maggior parte di casi di yersiniosi si verifica sporadicamente senza un'origine apparente, l'epidemiologia dell'infezione da Yersinia enterocolitica è complessa e non del tutto compresa (Fredriksson-Ahomaa et. al 2003).

Il mondo animale è un serbatoio importante per ceppi di Yersinia spp. Diversi animali portano sierotipi unici del batterio che sono coinvolti nelle infezioni umane. Numerosi studi sono stati effettuati per isolare ceppi di Yersinia da diversi animali. Tuttavia, la maggior parte dei ceppi isolati da fonte animale, differisce sia biochimicamente, sia sierologicamente da ceppi isolati da individui umani affetti da yersiniosi. I suini sono stati implicati come un importante serbatoio di sierotipi di Yersinia coinvolti nelle infezioni umane. L'incidenza di Yersinia nei maiali varia, oltre che da paese a paese, anche all'interno della stessa nazione. I ceppi di Yersinia enterocolitica che appartengono ai sierotipi associati con le malattie umane, sono stati isolati frequentemente da tonsille, lingue e materiale fecale di maiali da macello. Il tasso di isolamento del microrganismo dalle tonsille e

lingue dei maiali è generalmente maggiore del tasso presente nelle feci. In diversi paesi, Yersinia enterocolitica appartenente al biosierotipo 4/O: 3, ha dimostrato di essere quello predominante in suini asintomatici. L'alta prevalenza dei ceppi O: 3 nei suini dimostra, che probabilmente, esiste un certo livello di specificità per questo ospite animale (Schaake J., et al 2014).

La stretta relazione genetica tra i ceppi isolati nei suini e quelli isolati a livello umano, è stata ampiamente dimostrata tramite parecchi metodi basati sul DNA.

Le tonsille di suini infettati dal microrganismo possono facilmente contaminare la carcassa, le frattaglie e l'ambiente durante i processi di macellazione. Tramite metodi di biologia molecolare è stato provato che la carne e le frattaglie di suino, contaminate da Yersinia, sono un importante veicolo di trasmissione per i ceppi patogeni ( Bari Md. L., et al 2011).

Pur essendo la carne suina cruda una delle principali fonti di infezione per l'uomo di Yersinia enterocolitica, nel nostro caso, le analisi sui campioni di carne di maiale hanno dato esito negativo. L'animale da macello rappresenta, nella catena di produzione degli alimenti, il maggior serbatoio di microrganismi, soprattutto di specie patogene o patogene facoltative. Questi esercitano un'intensa azione infettante sulle carcasse degli animali macellati, che possono servire come possibile veicolo del germe, e quindi, contaminare i prodotti finiti. Inoltre, se si considera che numerose tossinfezioni derivano più da errori di manipolazione durante e dopo la preparazione, che dall'alimento stesso, si può comprendere il ruolo di Yersinia enterocolitica come agente a rischio sanitario (Allegra A.M., et al 2003).

I ceppi di Yersinia enterocolitica associati con le malattie umane sono stati isolati frequentemente da tonsille, lingue e materiale fecale di maiali da macello. I suini sono il principale serbatoio del sierotipo 4/O:3 considerato a bassa patogenicità, anche se l'animale non sviluppa sintomatologia. La contaminazione delle carcasse avviene tramite il contatto con tonsille o contenuto intestinale

dell'animale contaminato dal batterio, oppure, durante il processo di macellazione, in condizioni di scarsa igiene o tramite procedure non ottimali. Quindi, le tecniche di macellazione e l'igiene di tali processi possono influenzare il tasso di contaminazione delle carni (Andersen 1988).

E' da evidenziare l'elevato rischio di contaminazione dei prodotti durante l'asportazione della lingua, della faringe e nell'esecuzione della visita ispettiva post-mortem. Il poco frequente isolamento di questo microganismo in prodotti a base di carne suina, ad eccezione di quelli contenenti la lingua, può essere dovuto a metodologie di ricerca poco sensibili; studi recenti, indicano che l'utilizzo di terreni più selettivi o di tecnologie più sofisticate, aumenti la percentuale di isolamento di ceppi patogeni di Yersinia enterocolitica.

Da quanto sopra esposto, la prevenzione della contaminazione delle carcasse avviene ponendo attenzione alle seguenti fasi di macellazione:

• rimozione dell'intestino;

• escissione della lingua e delle amigdale;

• incisione dei linfonodi mandibolari o disossamento della testa.

Alcuni autori hanno appurato che l'utilizzo di bung cutter, associato alla chiusura del retto, determini una notevole diminuzione della contaminazione della carcassa da parte di Yersinia enterocolitica, rispetto all' eviscerazione manuale (Allegra A.M. et al, 2003).

Contrariamente ai risultati da noi ottenuti, molti studi dimostrano come la carne di suino sia una fonte di contaminazione di ceppi di Yersinia enterocolitica, patogeni per l'uomo. Infatti, nello studio eseguito da Roccato A. nel 2015, su 158 campioni di carne suina, si è evidenziata una positività per Yersinia enterocolitica in 69 campioni. Mentre, Fondrevez in Francia, nel suo lavoro del 2014, dopo aver analizzato 3120 campioni di carne di maiale, rilevò una prevalenza di 13,7% (414 campioni positivi) di ceppi patogeni appartenenti a Yersinia enterocolitica. In questo studio, il target di campionamento furono le tonsille, in quanto maggiormente rappresentative della contaminazione da

parte del batterio dell'animale suino, rispetto al contenuto intestinale o rispetto alle feci. La prevalenza del 13,7% di Yersinia enterocolitica patogena trovata da Fondrevez, risultò essere bassa rispetto alle altre prevalenze di altri stati europei. Infatti, in Germania si aveva una prevalenza del 22%, 34% in Svizzera, 44% nel Regno unito tra il 2003 e il 2005, del 37,4% nel 2008 in Belgio, del 93% in Spagna, e del 44 % in Belgio, del 32% in Italia tra il 2005 e l'anno 2007. (Fondrevez M., et al, 2014).

Anche Paixao R. nella sua ricerca del 2012, su 720 campioni tra tamponi di lingua e tonsille di maiale, tamponi ambientali e campioni di frammenti di maiale, individuò 442 campioni positivi alla presenza di Yersinia enterocolitica. Circa il 72,40% dei ceppi isolati appartenevano al biotipo 4/O: 3 (Paixao R. et al, 2012).

Nel nostro caso l'assenza di esito positivo delle analisi, ci fa presupporre che i processi di macellazione degli animali avvengano in maniera ottimale, che non si verifichi in alcun modo Fig. 25: Prevalenza di Yersinia enterocolitica nei Paesi europei tra il 2003 e il 2014 in campioni di carne di suino (Fondrevez M., et al, 2014).

contaminazione delle carni tramite tonsille e faringe o di materiale fecale, durante il processo di macellazione ed eviscerazione, e che non ci sia una cross-contaminazione tra gli animali durante il trasporto o durante la fase di stabulazione in allevamento.

Le analisi sui campioni di carne di pollo hanno dato anch' esse esito negativo. Si è voluto procedere con l'analisi dei campioni di questa matrice alimentare, in quanto in letteratura sono presenti diversi lavori sulla prevalenza di Yersinia enterocolitica in questa tipologia di carne. Il pollame comprende una porzione sostanziale della dieta umana. Infatti, il consumo di carne di pollo è notevolmente aumentato. Capita R. nel suo studio svolto nel 2002 in Spagna, tramite l'analisi di 40 carcasse di pollame refrigerate, osservò che 26 campioni erano contaminati da batteri appartenenti a Yersinia spp. (prevalenza del 65%) e 20 di esse erano contaminate da Yersinia enterocolitica, con una prevalenza del 50% (Capita R., et al 2002).

Shanmugapriya nel 2014 in India, attraverso l'analisi di 44 campioni alimentari, suddivisi in 20 campioni di pollo e 24 campioni di pesce, individuò una prevalenza di Yersinia enterocolitica del 25% su 6 campioni di carne di pollo risultati positivi alle analisi. La prevalenza risultava essere molto elevata rispetto ai report precedenti ( Shanmugapriya S., et al, 2014).

Il tasso di incidenza di Yersinia enterocolitica nella carne di pollo rilevata in letteratura è molto variabile. Alcuni autori giustificano la bassa incidenza con la scarsa capacità competitiva del batterio nei campioni di cibo. In accordo con quanto detto sopra, la presenza del batterio nelle carcasse di pollo è attribuita a una contaminazione post-cottura e a una moltiplicazione del batterio durante la fase di refrigerazione. Per questa ragione, l'igiene delle fasi di processazione della carne di pollo è un fattore molto importante per lo sviluppo e la proliferazione di Yersinia enterocolitica (Capita R., et al, 2002).

pollo dal laboratorio alimenti dell' istituto IZSLT sezione di Pisa. I 3 ceppi isolati sono risultati essere non patogeni, tramite l'esecuzione delle analisi di biologia molecolare eseguite nel corso di questo lavoro di tesi, con una prevalenza del 5,08% sul totale dei ceppi conservati in microbank. Non presentano quindi, i marker di patogenicità da noi ricercati, gene AIL e YST A. Tuttavia, due di questi ceppi isolati presentano il gene YST B, possiamo quindi ipotizzare la loro appartenenza al biotipo 1A.

Il basso numero dei campioni di carne di pollo analizzati tra Marzo e Ottobre 2015, non ci ha permesso di fare valutazioni più puntuali sulla prevalenza del microrganismo in questa matrice alimentare.

In questo lavoro di tesi sono stati analizzati anche 73 campioni di carne cruda bovina, sia di origine toscana, ma anche carne di importazione, infatti, 67 campioni sono di derivazione brasiliana. L'analisi di questa matrice alimentare ha dato, anche in questo caso, esito negativo. I risultati ottenuti sono in forte contrasto con i dati presenti in letteratura.

Infatti, nello studio condotto da Logue C.M. nel 1996 in Irlanda, tramite l'analisi di 340 campioni, si individuò una prevalenza molto alta di Yersinia spp, del 89% in campioni di carne cruda, del 49% in campioni di carne cotta e una prevalenza più bassa, del 18,8%, in prodotti di carne confezionati. Nel 9% dei campioni di carne cruda furono isolati ceppi patogeni di Yersinia enterocolitica, questo si verificò anche nel 2% dei campioni di carne cotta. I sierotipi patogeni maggiormente isolati furono O: 3 e O: 5,27 nella carne di manzo irlandese.

Il numero iniziale di Yersinia era generalmente < 2,7 log10cfu/g nella carne cruda, e <0,7

log10cfu/g nella carne cotta. L'aumento del numero delle cellule batteriche patogene durante il

periodo di refrigerazione della carne, poteva indurre l'insorgenza di sintomatologia clinica soltanto in casi di ingestione di carne contaminata cruda o poco cotta. Esisteva un pericolo simile anche nel

caso in cui le carni cotte risultassero contaminate dopo i processi di trasformazione.

La dose infettiva minima per l'uomo non è stata accuratamente determinata, ma l'ingestione di 3,5x109 di cellule di Yersinia enterocolitica poteva indurre sindrome diarroica il giorno stesso

dell'avvenuta ingestione. Studi in vivo sui topi, dimostrarono che un livello di cellule di Yersinia enterocolitica pari a 2x109 , causava infezione a livello del fegato, della milza, causando infine la

morte. Questo suggeriva come la dose infettante del microrganismo per l'uomo potesse essere molto elevata (Logue C.M. et al, 1996).

Un altro studio, condotto in Giappone nel 1997, metteva in evidenza l'isolamento di ceppi di Yersinia spp sia in campioni di carne di manzo, che di maiale e di pollo; 38 campioni di suino, su un totale di 1278 campioni, risultarono contaminati da Yersinia enterocolitica, con una prevalenza del 3,0%, mentre nella carne di manzo e pollo la prevalenza risultava minore, pari a 0,3% (Fukushima H. et al, 1997).

In uno studio eseguito nella città di San Paolo, in Brasile, da Tassinari A.R. nel 1994, si esaminarono campioni di carne e campioni a base di carne, rilevando una prevalenza del 40%, confermando il ruolo di fonte di contaminazione dei prodotti a base di carne per l'uomo (Tassinari A.R. et al, 1994).

Lo studio precedentemente citato, è in completo contrasto con i risultati negativi da noi ottenuti sui campioni di carne di manzo, provenienti dal Brasile. Il mancato isolamento di ceppi di Yersinia enterocolitica ci fa ben sperare sul miglioramento delle condizioni igienico sanitarie in questa area geografica, sia per quanto riguarda i processi di macellazione attuati, sia per le norme igienico-sanitarie di mantenimento degli animali durante la loro vita in allevamento.

Per le matrici alimentari di cui disponiamo di un numero consistente di campioni e analisi, si è tentato di prevedere un'attesa di ritrovamento di Yersinia enterocolitica nel nostro territorio di

competenza. Essendo i nostri positivi pari a zero, l'elemento di valutazione più affidabile è l'intervallo di confidenza. Inserendo i nostri dati in un calcolatore on-line ( utilizzando un sistema di riferimento europeo: EURL Lm TECHNICAL GUIDANCE DOCUMENT for conducting shelf-life studies on Listeria monocytogenes in ready-to-eat foods Version 3 – 6 June 2014 ) otteniamo i limiti inferiore e superiore; per la carne di manzo, di cui disponiamo di 73 campioni, avremo un limite inferiore di 0,03% (3 campioni positivi ogni 10000 analizzati), ed un limite superiore del 5% (5 campioni positivi per ogni 100 analizzati), con una confidenza del 95%. Mentre, per la carne di suino, di cui disponiamo di 37 campioni, avremo un limite inferiore dello 0,07% (pari a 7 campioni positivi ogni 10000 analizzati), e un limite superiore del 9% (pari a 9 campioni su 100 analizzati), con un intervallo di confidenza del 95%.

La presenza di Yersinia enterocolitica nel latte crudo è da tempo conosciuta, il latte quindi, è uno degli alimenti di contaminazione umana più frequente. Dalle nostre analisi, su 24 campioni di latte crudo bovino, è emersa una prevalenza del 20,8%, questo è in accordo con altri studi precedenti presenti in letteratura.

Nihal Yucel nel 2005 in Turchia, similmente al nostro studio, ha evidenziato come il latte crudo o latte inadeguatamente pastorizzato possa essere coinvolto nella trasmissione di yersiniosi tra animale e uomo. L'analisi di 100 campioni di latte evidenziò la presenza di Yersinia spp in 55 campioni, un' incidenza del 55%. Di questi campioni, 25 risultarono contaminati da Yersinia enterocolitica (45,3% di incidenza). Mentre i campioni di formaggio, risultati positivi furono 14/100 con un'incidenza del 14%, soltanto 5 però risultarono positivi per Yersinia enterocolitica, con un'incidenza del 35,7% (Yucel N., Ulusoy H. 2006). Anche in altre parti del mondo, la prevalenza di Yersinia enterocolitica è alta: 10% in Danimarca (Christensen 1982), 11% in Australia ( Ibrahim, Mac Rae 1991), 36% in Marocco (Hamama et al 1992), 37 % in Italia ( Franzin et al 1984).

Aiello nel 1984, nei suoi studi su 316 campioni di latte crudo, provenienti da aziende presenti in Sicilia, ottenne una positività al batterio in 8 campioni (prevalenza del 2,5%), derivanti sia da animali di importazione che indigeni (Aiello et al 1984).

Il latte crudo e prodotti lattiero-caseari, permettono la trasmissione di yersiniosi umana. Esiste la possibilità che il latte risulti contaminato, in quanto, sottoposto a tecniche di pastorizzazione inadeguate che impediscono la completa eliminazione dei batteri patogeni, oppure, può essere

Dato risalente al 1984 nel latte

crudo bovino

Prevalenza ottenuta nel latte crudo bovino

Tramite questo lavoro di tesi Fig. 26: Prevalenza di Yersinia enterocolitica

ottenute dal latte crudo bovino in questo lavoro di tesi confrontata con le prevalenze nel mondo dal 1982 all'anno 1992. (Yucel 2005)

Fig. 27: Prevalenza di Yersinia enterocolitica ottenute dal latte crudo bovino in questo lavoro di tesi confrontata con le prevalenze nel mondo.

Nazione enterocolitica Turchia 45,3% Danimarca 10% Australia 11% Marocco 36% Italia 37% Dati da questo 20,8% lavoro di tesi Prevalenza di Yersinia

ricontaminato successivamente, tramite manipolazione da operatore, oppure, tramite l'ambiente o tramite i contenitori in cui viene conservato prima della messa in commercio (Schiemann D.A., Toma S. 1978).

In questo lavoro di tesi, le analisi sui prodotti lattiero-caseari a base di latte crudo ovino, non hanno rilevato la presenza di Yersinia enterocolitica. La completa assenza del batterio nei prodotti fermentati, formaggi a latte crudo, ma anche prodotti a base di carne e insaccati, è dovuta probabilmente al processo di stagionatura e fermentazione, da parte dei batteri lattici, i quali sono presenti o vengono aggiunti a questi alimenti durante la fase di produzione, tramite l'utilizzo di “colture starter”. Esse danno inizio e indirizzano correttamente il processo di fermentazione, permettendo anche un aumento del numero iniziale dei batteri lattici presenti nel prodotto, i quali se presenti in numero esiguo, non sono in grado di dare inizio al processo fermentativo spontaneamente, e non riescono a contrastare l' eventuale presenza di batteri patogeni contaminanti l'alimento. Infatti, molti dei batteri lattici, utilizzati nei processi di produzione alimentare, sono in grado di produrre sostanze con azione inibitoria (come le batteriocine) nei confronti di batteri patogeni, inoltre, creano ambienti ostili, per esempio modificando il pH dell'alimento, per quei microrganismi dannosi per la salute umana (www.mednat.org/alimentazione/fermentazione_cibi_e_bevande.pdf.).

Infatti, Schiemann nel 1978, eseguì una serie di analisi su campioni di latte crudo e prodotti lattiero- caseari, come formaggi, rilevando un' incidenza di Yersinia enterocolitica nei campioni di latte crudo del 18,2%, rispetto all'incidenza nei campioni di formaggio che risultò essere circa la metà 9,2%. Inoltre, un campione di cagliata risultato positivo per Yersinia enterocolitica, conservato a 4°C, risultò poi essere negativo al batterio dopo 8 settimane. Quindi, i processi di manifattura del formaggio apparirono deleteri per la crescita di Yersinia enterocolitica, essendo il tasso di isolamento nei formaggi fermentati la metà del tasso individuato nei campioni di latte crudo. La

distruzione di Yersinia enterocolitica, sia durante la fabbricazione, che nella stagionatura del formaggio, non è inaspettato, in quanto, le modifiche effettuate dai batteri lattici utilizzati nel processo di produzione, sono dannose per molti batteri. Questo antagonismo risulta, non solo dall' abbassamento del pH dalla produzione di acido lattico, ma anche da sostanze antibiotiche prodotte da alcuni batteri lattici. Il prodotto finale fermentato non è favorevole a una moltiplicazione o alla sopravvivenza di batteri gram negativi come Yersinia enterocolitica. E' improbabile che Yersinia enterocolitica sopravviva al processo di pastorizzazione, è molto più probabile che il batterio sia un contaminante post-pastorizzazione che si verifica con bassa frequenza (Schiemann D.A. 1978). L'esito negativo delle nostre analisi eseguite su formaggi a latte crudo ovino, ci fa ipotizzare che il processo di stagionatura e di fermentazione possono aver in qualche modo influito sull'eventuale sviluppo di batteri patogeni. Quindi, anche nel caso in cui Yersinia enterocolitica fosse presente nelle prime fase di maturazione del prodotto caseario, l'azione della flora lattica e le sue modificazioni apportate al prodotto, possono aver inibito lo sviluppo ulteriore del batterio, in questo modo, i protocolli di analisi non ne hanno evidenziato la presenza. Questo si può imputare, da una parte all' azione antagonista del processo fermentativo lattico, dall'altra, all'eventuale bassa discriminazione dei procedimenti di analisi, ma anche a una situazione igienico sanitaria ottimale durante i processi di mungitura degli animali e standard di produzione elevati.

Dai dati relativi al conteggio di Yersinia enterocolitica nei campioni di latte crudo bovino risultati positivi, si può considerare che quando è presente, lo è a concentrazioni relativamente basse, infatti, abbiamo riscontrato valori che variano da 0,036 a 2,1 MPN /ml, mentre in letteratura si riporta una dose infettante per l'uomo molto più alta, di almeno 108 batteri/ml per un individuo

immunocompetente (Fleming e Hunt, 2006). Generalmente, l'instaurarsi della malattia, yersiniosi, non è determinata tanto dalla presenza del batterio nell'alimento, non è una relazione causa-effetto,

l'insorgenza dello stato clinico dipende generalmente, sia dalla carica infettante del batterio presente nell'alimento, ma anche dalle condizioni di salute in cui si trova il soggetto. Infatti, un individuo immunodepresso sarà sicuramente più suscettibile all'insorgenza di yersiniosi, rispetto ad un soggetto immunocompetente.

L'età dell'ospite e il suo stato di salute e il sierotipo del batterio coinvolto nell'infezione, sono importanti nel definire l'evoluzione della malattia (Cap.1 Introduzione. Geni di patogenicità e yersiniosi). Inoltre, dai dati ottenuti dal Centro di Riferimento Regionale delle Tossinfezioni Alimentari (CeRRTA), raramente il focolaio d'infezione, seppur sporadico, è in stretta correlazione con la presenza di Yersinia enterocolitica, negli eventuali alimenti incriminati, quando è possibile la loro identificazione.

Quindi, considerata la ristrettezza dei criteri microbiologici del latte crudo bovino, sia in considerazione dei risultati da noi ottenuti, sia per il fatto che il latte crudo va consumato previa bollitura (come previsto dall'o.m. 10 Dicembre 2008 e successive modifiche), è possibile tracciare un quadro generale rassicurante sulla qualità igienico-sanitaria del latte crudo bovino prodotto e distribuito nelle province di Lucca, Massa, Livorno e Pisa di competenza dell' Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e Toscana.

In questo lavoro è stata valutata anche la presenza di differenti geni di patogenicità a livello cromosomico, che risultano essere maggiormente conservati nei diversi ceppi di Yersinia enterocolitica.

I marker di patogenicità ricercati sono tre: il gene AIL, il gene YST A e il gene YST B. Alcuni

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