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Dall’analisi effettuata sono emersi vari elementi per stabilire un profilo parziale dell’infermiere in istituto. Le modalità di lavoro variano molto a dipendenza dell’organizzazione interna dell’istituto, nella prima intervista vi è un infermiere per ogni piano, dove vive la quotidianità dell’utente al pari di un educatore, mentre nelle altre lavora trasversalmente su tutti i piani e accoglie le segnalazioni dagli educatori. Vorrei specificare che nella prima intervista, l’infermiere mi informa che il mansionario è molto simile a quello dell’educatore, quindi in parte i suoi interventi sono sul piano educativo, e in base alle specificità e le richieste della struttura ha saputo integrare “educativo e sanitario”.

Nella teoria sull’identità dell’infermiere, si è visto che un curante deve comprendere a fondo le dimensioni fondamentali della qualità di vita dell’utente e saper valutare quanto peso abbiano questi aspetti.(Accademia Svizzera delle Scienze Mediche, 2008) Per gli infermieri intervistati dei criteri fondamentali comuni per una buona qualità di vita sono la salute, autodeterminarsi, saper comunicare i propri bisogni, instaurare relazioni interpersonali e l’indipendenza. Questi concetti coprono un buona parte, ma non totalmente, i determinanti fondamentali di una buona qualità di vita.

Riprendendo il concetto di umanizzazione della cura visto nel quadro teorico, è indispensabile rispettare l’utente come persona con vissuti, esperienze, sogni e desideri (Goussot, 2009). Gli infermieri generalmente hanno risposto che vedono la disabilità come un limite o uno svantaggio a livello fisico, cognitivo o comportamentale, che limita la possibilità di esprimere in maniera efficace i propri bisogni o di essere autonomo su vari livelli della propria vita. Nonostante ciò si interrogano molto sul proprio operato e sulle proprie emozioni al fine di migliorare le prestazioni date e la relazione umana. Infatti in tutti gli istituti è presente la possibilità di una supervisione di gruppo, dove si crea lo spazio per esprimere i disagi o i dubbi sia per quando riguarda interventi attuati, sia per la relazione con l’utenza o per la relazione in équipe. Molti infermieri hanno asserito di non essere al centro della rete, poiché si tratta di strutture che rappresentano la casa dell’utente, e in funzione del concetto di normalizzazione l’aspetto sanitario non è dominante. Come visto precedentemente in letteratura, secondo Goussot, vi sono persone disabili che cadono nell’assistenzialismo perdendo una motivazione per esistere, poiché si rispecchiano negli occhi della figura curante. (2009) Io trovo che il fatto che la figura dell’infermiere, sia parte di una grande rete e dunque non assuma un ruolo centrale, sia di stimolo ad una propria rappresentazione come persona sana, per quel che potrebbe rappresentare la presenza fissa all’utenza. Detto in parole semplici l’immaginario potrebbe essere “sono una persona malata, perché mi cura un’infermiera” per il significato attribuito al ruolo. Ho potuto notare che in differenti istituti, l’infermiera per questa ragione non partecipa alla quotidianità dell’utente, però in funzione dell’organizzazione del suo tempo può partecipare ad attività, come alle uscite o ad alcuni momenti particolari.

A livello di comunicazione bisogna cogliere l’esperienza soggettiva dell’utente attraverso osservazioni oggettivabili. (Accademia Svizzera delle Scienze Mediche, 2008) Tutti gli infermieri asseriscono che la conoscenza profonda dell’utente è indispensabile per non fraintendere gesti o parole ed instaurare una buona relazione di fiducia. Per poter distinguere un grido di dolore da un grido di gioia, e da altra parte per non compiere gesti fraintesi dall’utente. La conoscenza è indispensabile per mandare messaggi all’utente nella modalità in cui lui la recepisce. È emerso dalle interviste che può succedere di essere fraintesi dall’utente, per esempio con un non verbale che per l’infermiere poteva sembrare vicinanza mentre per l’utente era invadenza. Spesso gli infermieri si appoggiano sulla figura dell’educatore, la quale ha molte volte una conoscenza maggiore dell’utenza. Questo aspetto varia molto anche dagli anni di lavoro e di esperienza e dalla presenza o meno dell’infermiere nella quotidianità.

Allo stesso modo l’infermiere è molto a contatto con i famigliari e deve trovare strategie comunicative con ogni tipo di famiglia, inoltre deve saper trattare separatamente la loro qualità di vita. (Accademia Svizzera delle Scienze Mediche, 2008) Negli istituti tutti gli infermieri sono portavoce della salute, devono informare, accogliere e spiegare al famigliare i cambiamenti e la situazione dell’utente. Fungono da intermediari e mediatori tra specialisti e i famigliari. Si cerca di coinvolgere la famiglia, come risorsa, nel processo decisionale e negli obiettivi di vita, a volte risulta difficile stabilire obiettivi comuni in base ai valori e alle caratteristiche dei famigliari. Come ulteriore sfida il progetto di cura dev’essere condiviso da ogni componente dell’equipe interdisciplinare, il quale porta la sua cultura di riferimento, i “suoi occhiali”, quindi la sua scala di priorità. Il progetto dovrebbe essere condiviso in primo luogo dall’utente, però si è visto che in alcune situazioni risulta molto difficile.

Riprendendo la mia domanda di ricerca, ora vorrei rispondere partendo dagli interventi in collaborazione con l’equipe interdisciplinare, analizzando il suo rapporto con le varie figure e che interventi attuano congiuntamente.

A livello interdisciplinare l’infermiere, come previsto, collabora intensamente con le figure della rete. In primo luogo con gli educatori. Spesso sono gli educatori, i quali passano molto tempo con l’utente a riferire le varie problematiche di genere sanitario all’infermiere. In seguito l’infermiere accoglie e valuta come agire. La terapia farmacologica è gestita da entrambi, spesso controllata dall’infermiere e somministrata dagli educatori. Ho potuto notare che l’infermiere si assume spontaneamente il ruolo di insegnante per la sua specificità sanitaria-assistenziale. Per esempio spiega come allenare un’osservazione clinica, eseguire una descrizione oggettiva, o ad eseguire alcune procedure in maniera più protocollata, come può essere un’igiene, una pulizia dentaria o una valutazione del dolore. Nello specifico, questo può aiutare nella comunicazione tra le due figure per avere un registro linguistico comune. In cambio l’educatore suggerisce all’infermiere tipologie di interventi di tipo relazionale con una base educativa, di modo che si possa lavorare tutti nella stessa direzione in funzione degli obiettivi. In alcuni istituti gli obiettivi vengono formulati insieme, mentre in altri vengono formulati solo dagli educatori. A volte le visioni sono differenti tra le due figure, tutti gli infermieri hanno esplicitato il tema dell’invecchiamento nella persona disabile, dove i bisogni cambiano e si hanno difficoltà a stabilire obiettivi concordati da entrambi i professionisti. Però ho potuto notare come entrambe le figure prendano “qualcosa” dall’altra e sono molto simili e complementari pur mantenendo le proprie peculiarità e competenze. L’infermiere ha scambi su tutto l’arco del giorno con gli educatori e come strumento di scambio di informazioni vengono fatte riunioni settimanali in tutti gli istituti.

La seconda figura molto vicina all’infermiere è il medico. L’infermiere in tutti gli istituti si occupa di coordinare le visite mediche tra generici e specialisti. Anche durante le visite mediche, tutti gli infermieri hanno asserito che è molto meglio che siano presenti loro piuttosto che l’educatore per via del linguaggio comune e delle competenze ed è più funzionale la discussione. Infatti quando si presenta una visita medica esterna, a meno che non sia una visita di routine come dal ginecologo o oculista, l’accompagnamento lo svolge sempre l’infermiere. L’infermiere è anche il responsabile di mantenere la cartella sanitaria aggiornata, e informa i medici ad ogni novità e viceversa informa gli educatori e i famigliari ad ogni cambio di terapia o nuovo sviluppo.

Con fisioterapisti, ergoterapisti, logoterapisti e dietisti non hanno rapporto paragonabile tra le varie strutture. Questo dipende dalla loro presenza o meno nella struttura, poiché a volte sono figure esterne, a volte sono lavoratori fissi. In due istituti hanno creato il “gruppo cure” con fisioterapisti e ergoterapisti dove settimanalmente si discute di problematiche prettamente sanitarie. Con l’ergoterapista ed eventualmente la dietista l’infermiera affronta soprattutto il tema della disfagia. Mentre con il fisioterapista tutto ciò che riguarda il movimento e i mezzi ausiliari.

Per rispondere alla seconda parte della mia domanda di ricerca, vorrei confrontare gli interventi tra i vari infermieri.

Per quel che riguarda l’aspetto delle relazioni interpersonali: vi sono due infermieri che organizzano uscite sia per instaurare un momento di relazione privilegiato sia per uscire dal contesto dell’istituto a favore dell’inclusione sociale. Tutti gli infermieri, nella pratica di

ogni giorno pongono l’accento sull’importanza della conoscenza dell’utente per entrare in relazione nella maniera più efficace possibile. Utilizzando strumenti come il tono di voce, la postura e il contatto fisico (se gradito). Tutti affermando che si bilanciano molto tra i gesti affettuosi che l’utente potrebbe richiedere e il ruolo professionale. Essendo dei contesti famigliari, e percepiti come “casa” dall’utenza, il clima in tutti gli istituti è molto amichevole e gli infermieri affermano che c’è una componente molto forte di affetto nelle relazioni che si instaurano. Un esempio ricorrente è quello della richiesta dell’abbraccio, dove si può situare il fraintendimento tra le parti, o da parte di terzi. Quindi la soluzione proposta da un’infermiera è di farlo in maniera adeguata, accogliendo l’utente, e soprattutto lasciandogli l’autonomia decisionale.

A livello di inclusione sociale, gli infermieri non sono protagonisti attivi, possono partecipare se l’equipe educativa propone o organizza un’attività. Nelle interviste traspare che se sono in visita medica esterna, seguono tutto l’iter, passando dalla sala d’aspetto con altre persone, non accettando “la saletta particolare” a volte proposta, ma perseguendo un concetto di normalizzazione.

Nel cappello dello sviluppo personale, non sono molti gli interventi rilevati sono e hanno un senso diverso tra di loro. Ho inteso sviluppo personale come momento di crescita dal momento che come termine ha un’accezione molto grande. Per esempio un infermiere svolge attività ricreative manuali, mentre un’altra infermiera partecipa ad alcune messe organizzate esternamente.

Dove l’infermieri agiscono maggiormente è nell’ambito del benessere fisico. Tutti gli aspetti sanitari vengono presi a carico specificatamente da loro, eseguono osservazioni, valutazioni e interventi infermieristici a seconda del bisogno dell’utente. Tutto il personale si rivolge a loro se osservano un’eventuale problematica di origine fisica. Aiutano gli infermieri anche a livello assistenziale, come per l’igiene o le mobilizzazioni dove sono momenti privilegiati per osservare e approfondire la relazione con l’utente. Si occupano della parte relativa ai vaccini e attuano una serie di interventi preventivi basati sulla conoscenza delle caratteristiche dell’utente. Un esempio può essere in autunno proporre la terapia inalatoria per utenti con fragilità respiratorie.

Come si è visto in letteratura l’autodeterminazione è un determinante molto importante nella qualità di vita. Nel caso della disabilità, non vuol dire che tutte le scelte dell’utente vengono messe in atto, però in ogni situazione vengono riconosciute e se necessario vengono mediate e discusse. (Brown & Brown, 2005) Negli istituti questo processo è molto simile a quanto descritto. Gli infermieri spesso parlano di scelte pilotate per necessità Dove è importante che l’utente segua un particolare programma o esegua un’analisi, l’infermiere cerca di assoggettarlo affinché egli sia coinvolto nella scelta. Nel caso un utente si rifiuti, il rifiuto viene accettato e spiegato al medico e al rappresentante legale. Più nel quotidiano se un’utente si rifiuta di partecipare ad un’attività, viene accolto. Se ha un desiderio particolare che può essere nel campo delle relazioni interpersonali o nella gestione del tempo libero, l’infermiere insieme all’equipe ne discute e cerca una soluzione.

Per quando riguarda al benessere emotivo gli infermieri pongono l’accento sulla modalità di entrare in relazione bilanciando il verbale e il non verbale ed adeguandolo alla

situazione. Attuano una serie di interventi relazionali per rassicurare utenti che hanno una componente ansiosa.

Inoltre in alcune strutture dispongono di una sala di stimolazione basale, utilizzata come strumento nei casi dove si presentano agitazione o aggressività.

Riguardo al tempo libero vi sono infermieri che partecipano attivamente, mentre vi sono altri che partecipano indirettamente organizzando le proprie attività e propri interventi in funzione dell’utente affinché egli possa usufruire dei propri momenti liberi.

Riassumendo gli infermieri intervengono direttamente negli ambiti quali il benessere fisico e l’autodeterminazione, e partecipano più o meno indirettamente agli altri aspetti della qualità di vita. In altre parole, l’infermiere non copre tutti gli indicatori alla luce del fatto che è inserito nella rete dove ci sono altre figure professionali che completano e integrano con altre forme di intervento al fine di mantenere la migliore qualità di vita possibile.

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