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Alcuni studi hanno stimato una sopravvivenza ad una neoplasia maligna insorta nell'infanzia intorno al 74-80%. Tale risultato è riconducibile ad una diagnosi sempre più precoce, all'evoluzione dei trattamenti chemioterapici, alle migliorate tecniche chirurgiche e di radioterapia e al trapianto di cellule staminali emopoietiche 22,31,69,70.

L'aumentata sopravvivenza dei pazienti affetti da neoplasia comporta un aumentato rischio di complicanze che sono conseguenza della neoplasia stessa e del suo trattamento. Le complicanze più frequenti sono rappresentate dall'insorgenza di una seconda neoplasia, dal deficit di accrescimento staturo-ponderale, dal ritardo dello sviluppo puberale, dall'infertilità, dal deficit ipofisario multiplo, dall'obesità, dai disturbi della funzione cardiaca, dal danno a carico di vari organi ed apparati, dai disturbi muscolo-scheletrici e dai disturbi neuropsichiatrici 27,38,62,71,72.

Il tessuto osseo è un organo che può essere coinvolto sia alla diagnosi di LLA che durante le fasi del suo trattamento. Le manifestazioni cliniche principali della compromissione del tessuto osseo sono rappresentate dall'insorgenza di osteoporosi e di fratture da fragilità 27,73,74. Tale complicanza può essere molto severa già nel periodo adolescenziale e nell'età giovane-adulta 71,75.

L'acquisizione della massa ossea vertebrale e femorale si realizza soprattutto durante il periodo adolescenziale. Infatti, in questo periodo della vita viene acquisito il picco di massa ossea, in entrambi i sessi, a livello di tali sedi scheletriche 76-78. Pertanto, i pazienti affetti da LLA insorta in epoca adolescenziale sono particolarmente esposti al rischio di un insufficiente accumulo di massa ossea soprattutto a carico delle vertebre

68 e del collo femorale che rappresentano i siti scheletrici maggiormente coinvolti nelle fratture da osteoporosi nell’età adulta31,71,79.

Un ridotto accumulo di massa ossea era evidente nei pazienti prepuberi esaminati nel presente studio che mostravano valori di BMD Z-score più bassi a livello delle vertebre lombari, del collo femorale e del corpo intero rispetto ai pazienti puberi. La persistenza della patologia insorta in epoca prepuberale durante gli anni dell’adolescenza potrebbe pertanto aggravare ulteriormente l'accumulo della massa ossea con un aumentato rischio di fratture da osteoporosi in età giovane adulta.

Quindi, i risultati del presente studio indicano che un mancato recupero della massa ossea durante il periodo dell'adolescenza determinerà, molto probabilmente, l'acquisizione di un ridotto picco di massa ossea soprattutto a carico delle vertebre e del collo femorale 80.

La patogenesi del ridotto picco di massa ossea nei pazienti sopravvissuti ad una neoplasia è multifattoriale. Oltre agli effetti del trattamento con danni multiorgano, la mancata acquisizione del picco di massa ossea sembra essere legata alla neoplasia stessa, alla malnutrizione durante la chemioterapia, alla ridotta attività fisica e ad un alterato metabolismo minerale ed osseo. Un ruolo cruciale è svolto dalle alterazioni endocrine ed in particolare dal deficit di gonadotropine ipofisarie e GH 27,81-83.

L'esatta prevalenza di una ridotta massa ossea nei pazienti sopravvissuti ad una neoplasia non è nota. Sebbene alcuni studi abbiano riportato la presenza di osteoporosi in questi pazienti, il numero dei soggetti esaminati è ancora piuttosto limitato e le caratteristiche dei pazienti sono spesso eterogenee soprattutto in merito alla diagnosi di osteoporosi che, in ambito pediatrico, risente della mancanza di una ben definita caratterizzazione.

69 I classici criteri della OMS per la diagnosi di osteoporosi o di osteopenia nel soggetto adulto non sono utilizzabili per la popolazione pediatrica 84.

In particolare, anche i parametri di riferimento pediatrico per la quantificazione della massa ossea sono diversi da quelli utilizzati nell'adulto. Mentre in quest'ultimo il parametro di riferimento è rappresentato dal T-score, cioè la differenza del valore di BMD osservato nel paziente rispetto a quello del valore del picco di massa ossea medio di una popolazione di soggetti normali, in età pediatrica il parametro di riferimento è rappresentato dallo Z-score, cioè dalla differenza tra il valore misurato nel paziente e quello di riferimento per l'età ed il sesso 84. Pertanto, i termini di "osteopenia" (valori di BMD compresi tra -1 e -2.5 T-score) e di "osteoporosi" (valori di BMD <2.5 T-score) sulla base dei dati densitometrici ottenuti con la DXA nel paziente adulto non sono applicabili nei soggetti in età pediatrica 84-86. Nel bambino e nell'adolescente e nei

soggetti, sia maschi che femmine, di età inferiore ai 50 anni, secondo i criteri della International Society of Bone Densitometry (ISCD) i valori di BMD sono da considerarsi nella norma se compresi tra -1 e 1 Z-score, ai limiti bassi della norma se compresi tra -1 e -2 Z-score e ridotti al di sotto della norma se ≤ -2 Z-score 86,87. Tali valori sono riferiti alla comparazione con l'età cronologica e non prendono in considerazione gli effetti della statura, del BMI, dello stadio puberale e della maturazione scheletrica. Nel presente studio i parametri densitometrici ossei ottenuti mediante l'esame DXA e i parametri ultrasonometrici acquisiti con la QUS falangea sono stati espressi e calcolati in base alle indicazioni della ISCD 86,87.

Le misurazioni della massa ossea mediante la metodica DXA hanno consentito di evidenziare che i pazienti in terapia di mantenimento mostravano valori ridotti di BMD a livello del corpo intero, delle vertebre lombari (corretti per l'area) e del collo

70 femorale e valori ultrasonografici ridotti, per il parametro AD-SoS, a livello delle falangi della mano rispetto ai pazienti fuori terapia. Questo suggerisce che i pazienti fuori terapia hanno probabilmente un recupero spontaneo della massa ossea dopo la sospensione del trattamento e che quest'ultimo ha un ruolo cruciale nella patogenesi della ridotta massa ossea. Inoltre, dal presente studio è emerso che i pazienti che avevano ricevuto i dosaggi più elevati di PDN (>7 mg/m2) avevano valori di BMD a livello delle vertebre lombari più bassi rispetto a quelli trattati con dosaggi inferiori.

Questi risultati indicano che la massa ossea dovrebbe essere valutata in tutti i pazienti con LLA sia in fase di mantenimento che fuori terapia. Tutti i pazienti con LLA che presentano alterazioni della massa ossea dovrebbero essere esaminati dal punto di vista endocrino e le eventuali alterazioni dovrebbero essere adeguatamente trattate. I dati della letteratura confermano i risultati osservati nel presente studio 38,47,72,88.

Una ridotta massa ossea può associarsi ad una aumentata prevalenza di fratture, come documentato in alcuni studi 89-91. Uno studio di van der Sluis et al. 62 ha riportato un rischio di frattura 6 volte più elevato nei pazienti con LLA rispetto ai controlli; tale rischio era più elevato non solo durante il trattamento ma anche nel periodo iniziale della sospensione dello stesso. Inoltre, lo studio ha messo in evidenza che era più importante l'entità del decremento dei valori di BMD rispetto al valore assoluto. La riduzione dei valori di BMD si associava ad una riduzione della statura; tale dato non era invece evidente nei pazienti esaminati nel presente studio.

E’ stato documentato che il rischio di frattura è più elevato durante la terapia e soprattutto in relazione alla somministrazione di corticosteroidi. Uno studio in pazienti

71 con LLA ha dimostrato che l'incidenza di fratture a 5 anni era del 20% in quelli trattati con PDN e del 36% nei pazienti trattati con desametazone 92.

Alcuni pazienti possono presentare una frattura come segno di esordio della malattia come è stato osservato in due pazienti del presente studio.

E’ stata stimata una prevalenza di fratture non-vertebrali alla diagnosi compresa tra il 3% e l'8% 93,94. Uno studio limitato ad indagini radiologiche del bacino, ginocchia e caviglie ha documentato una prevalenza di fratture del 10% 95. E' stata invece riportata una elevata prevalenza di fratture vertebrali alla diagnosi, fino al 16% 96

. Tuttavia, la prevalenza di fratture vertebrali alla diagnosi potrebbe essere anche superiore, secondo alcuni AA fino al 45%, in quanto le indagini radiologiche non vengono generalmente eseguite in assenza di una sintomatologia dolorosa a carico del rachide 96. Tali dati indicano che alcuni pazienti possono presentare fratture da compressione vertebrale nonostante l'assenza di sintomi.

Non sono state identificate correlazioni tra prevalenza di fratture vertebrali alla diagnosi e conteggio dei leucociti, fascia di rischio o sottotipo di LLA 96,97. La patogenesi dell'elevato rischio di fratture vertebrali al momento della diagnosi di LLA è stata attribuita all'aumentato riassorbimento osseo per un incremento dell'attività degli osteoclasti mediata dalle citochine 98,99.

La valutazione dei parametri della composizione corporea eseguita mediante apparecchiatura DXA in contemporanea alla misurazione dei parametri densitometrici ha consentito di dimostrare che i pazienti in terapia di mantenimento avevano valori di massa magra più bassi e valori di massa grassa più elevati rispetto ai pazienti fuori terapia. Inoltre, la massa grassa risultava, in termini di Z-score, più elevata nei pazienti puberi rispetto ai prepuberi. Questi dati indicano che, oltre ad una riduzione della

72 massa ossea, la terapia di mantenimento è in grado di alterare le frazioni della massa magra e della massa grassa e che i pazienti puberi sono maggiormente coinvolti nell'aumento della massa grassa.

Una diminuzione della massa magra, riconducibile ad una riduzione della componente muscolare, probabilmente rappresenta un ulteriore fattore di rischio di osteoporosi nei pazienti con LLA in quanto potrebbe alterare i meccanismi di stimolazione meccanica che il muscolo esercita fisiologicamente sul tessuto osseo100- 102

.

L'analisi dei parametri del metabolismo fosfo-calcico nei pazienti in terapia di mantenimento e in quelli fuori terapia ha dimostrato valori più elevati di PTH nei primi rispetto ai secondi. Inoltre, i valori di PTH erano più elevati ed i livelli di 25OHD più bassi nei pazienti sottoposti a terapia con PDN ad alto dosaggio (>7 mg/m2).

In particolare, sei pazienti in terapia di mantenimento mostravano una condizione di iperparatiroidismo secondario mentre tutti i pazienti fuori terapia avevano valori di PTH compresi nei limiti della norma. Nei pazienti con ipovitaminosi D, cioè con livelli circolanti di 25OHD <20 ng/ml, è emersa inoltre una correlazione inversa tra i livelli di PTH e quelli di 25OHD. Questo dato indica che l’ipovitaminosi D rappresentava il meccanismo patogenetico principale alla base degli aumentati livelli di PTH nei pazienti in terapia di mantenimento. A conferma, nei sei pazienti affetti da iperparatiroidismo secondario la terapia con vitamina D e sali di calcio determinava una normalizzazione dei valori di PTH e di 25OHD.

Dallo studio è inoltre emerso che la quasi totalità (93%) dei pazienti in terapia di mantenimento era affetta da ipovitaminosi D, mentre solo il 24% dei pazienti fuori terapia mostrava un ridotto stato vitaminico D.

73 Nei pazienti con ipovitaminosi D una insufficiente sintesi cutanea di vitamina D per una scarsa esposizione solare era, molto probabilmente, la causa principale del ridotto stato vitaminico D; questo era evidente soprattutto nei pazienti in terapia di mantenimento.

Questi risultati suggeriscono che la valutazione dei livelli di PTH e dello stato vitaminico D dovrebbe essere regolarmente effettuata in tutti i pazienti con LLA e soprattutto in quelli in terapia di mantenimento che rappresentano la popolazione a maggiore rischio di ipovitaminosi D.

La valutazione dei livelli circolanti di 25OHD rappresenta l’indice biochimico più affidabile per una stima dello stato vitaminico D di un individuo e riflette sia l'apporto esogeno che endogeno di vitamina D 103. Tuttavia, ancora oggi la definizione di un normale stato vitaminico D è argomento di notevole dibattito. Secondo alcuni AA i valori ottimali di 25OHD dovrebbero essere >30 ng/ml 104 mentre secondo altri il limite dovrebbe essere >20 ng/ml 52-54. I dati della letteratura documentano che livelli circolanti di 25OHD >20 ng/ml sono già sufficienti ad assicurare una ottimale salute ossea, mentre valori >30 ng/ml sarebbero necessari per favorire gli effetti extrascheletrici della vitamina D 105. Comunque, ad oggi, nessun studio controllato, randomizzato e in doppio cieco ha dimostrato un effetto preventivo o terapeutico riconducibile al mantenimento di livelli circolanti di 25OHD >30 ng/ml nei confronti delle patologie extrascheletriche, ed in particolare di alcune forme neoplastiche come la neoplasia della mammella, del polmone, del colon e della prostata 106. Per tale

motivo, nel presente studio è stato utilizzato un valore di cut-off di 20 ng/ml per identificare i pazienti affetti da ipovitaminosi D.

74 Gli effetti preventivi di valori circolanti di vitamina D >30 ng/ml sullo sviluppo delle neoplasie potrebbero derivare da una azione autocrina e paracrina dell'1,25- diidrossivitamina D (1,25(OH)2D), il principale metabolita della vitamina D, che svolge azioni di tipo ormonale mediante specifici recettori sugli organi bersaglio, nel regolare i processi della carcinogenesi 107,108. Attraverso quali meccanismi livelli circolanti più elevati di 25OHD (>30 ng/ml), che rappresenta il principale substrato per la sintesi di 1,25(OH)2D, possano intervenire nella regolazione delle azioni paracrine ed autocrine dell'1,25(OH)2D non è noto.

Infatti, i livelli circolanti di 1,25(OH)2D sono finemente regolati da meccanismi di stimolazione della sua sintesi, tra i quali i principali sono rappresentati dagli aumentati livelli di PTH e dai ridotti livelli di calcio e fosforo che stimolano l'attività della 1α-idrossilasi renale, e da meccanismi di feed-back negativo 109.

Data l'importanza delle patologie neoplastiche ulteriori studi basati sull'evidenza sono necessari per approfondire se la correlazione tra stato vitaminico D e la prevenzione di alcune neoplasie sia fondata su effettive e documentabili basi patogenetiche o solo su dati osservazionali.

La valutazione degli indici biochimici del processo di formazione ossea, OC e PINP, e di riassorbimento osseo, CTX, metteva in evidenza che i pazienti in terapia di mantenimento avevano valori più elevati di questi indici biochimici rispetto a quelli fuori terapia. Questi risultati documentano che i pazienti in terapia di mantenimento mostravano un aumentato turnover osseo che potrebbe riflettersi in una riduzione della massa ossea, come in effetti è stato osservato nei pazienti in terapia di mantenimento esaminati nel presente studio.

75 Inoltre, dallo studio era evidente che i valori di PINP e CTX erano più elevati nei pazienti prepuberi rispetto ai puberi, indipendentemente dal periodo di terapia. In condizioni fisiologiche i livelli circolanti degli indici biochimici del turnover osseo risultano più elevati durante la pubertà in relazione all'aumentato modellamento osseo dovuto all'accrescimento scheletrico e staturale 110 . Il rilievo che i pazienti in fase puberale presentavano valori di PINP e CTX significativamente più bassi dei pazienti prepuberi suggerisce che il turnover osseo dei pazienti in fase puberale era maggiormente compromesso sia dalla malattia che dagli effetti della terapia sul tessuto osseo.

Per quanto riguarda la fascia di rischio, valori più elevati di ALP e di CTX erano evidenti nei pazienti del gruppo HR. Inoltre, questi pazienti mostravano valori di 25OHD più bassi rispetto a quelli appartenenti agli altri due gruppi (IR e SR). Tali risultati indicano che i pazienti HR avevano un aumentato turnover osseo e che questo si associava ad una ipovitaminosi D. Inoltre, nei pazienti con ipovitaminosi D era evidente una correlazione positiva tra i livelli di CTX e quelli di PTH.

L'insieme dei dati suggerisce che la terapia di mantenimento e la classificazione del paziente nella fascia di rischio più elevata sono i fattori principali nella patogenesi dell'alterato turnover osseo e della conseguente riduzione della massa ossea.

Una condizione di ipovitaminosi D, attraverso un aumento dei livelli di PTH, può contribuire alla insorgenza delle alterazioni a carico della massa ossea.

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