• Non ci sono risultati.

A livello delle coronarie, la compromissione della funzione endoteliale si verifica

precocemente nel corso dell’aterosclerosi in relazione a fattori di rischio sistemici [131] e ad un anomalo stress di parete [111]. Una lunga serie di evidenze scientifiche dimostra che la

disfunzione endoteliale si associa con tutte le condizioni che predispongono all’aterosclerosi

e alle malattie cardiovascolari [132]. La disfunzione endoteliale è stata osservata in pazienti

con ipertensione arteriosa [133, 134], in soggetti normotesi con storia familiare di

ipertensione [135], nei fumatori (attivi e passivi) [136], nelle dislipidemie [137],

nell’invecchiamento [97], nel diabete mellito [138], nell’obesità [138], nei soggetti con

effetti del rischio cardiovascolare sull’endotelio possono essere osservati già dall’infanzia [141].

Il carattere sistemico della disfunzione endoteliale [142] può spiegare perché la funzione

endoteliale periferica (micro- e macrovascolare) si correla con quella coronarica [143]. I

fenomeni fisiopatologici sottostanti le alterazioni funzionali dell’endotelio portano nel lungo

periodo ad alterazioni strutturali dei vasi. Uno studio clinico del 2009 ha dimostrato che la

FMD si correla alla progressione dello spessore intima-media (IMT, intima-media thickness) in popolazioni sane [144]. Per di più, a differenza della IMT, la diminuzione della FMD si

correla con un aumento rischio cardiovascolare stimato secondo i criteri di Framingham. In

maniera simile, è stata dimostrata la capacità della FMD di predire la progressione della IMT

in donne ipertese in postmenopausa [145].

Alla luce di queste evidenze, si può affermare che la disfunzione endoteliale è

significativamente associata al rischio cardiovascolare globale e può essere considerato un

predittore degli effetti che tali fattori di rischio esercitano. Una possibile limitazione di questa

interpretazione deriva dalle temporanee compromissioni della funzione endoteliale che

possono essere indotte da patologie acute [146], dall’esercizio fisico [147] o da determinati cibi [148]. Per questo motivo, è necessario che la valutazione della funzione endoteliale si

basi su più determinazioni condotte nel tempo.

La determinazione periferica della FMD si è dimostrata predittiva di eventi cardiovascolari

aldilà dei fattori di rischio tradizionali in particolari coorti di pazienti, tra cui soggetti

sottoposti a chirurgia vascolare elettiva, donne in postmenopausa e in soggetti con dolore

toracico. Due studi, condotti uno su 435 e l’altro su 268 soggetti sani senza evidenza di

patologia cardiovascolare e a basso rischio, hanno dimostrato che la FMD è un predittore

nelle coorti studiate [149, 150]. Nello studio Cardiovascular Health Study, la relazione tra funzione endoteliale (misurata in termini di FMD) e l’incidenza di eventi cardiovascolari

maggiori è stata analizzata in una coorte di 2700 soggetti apparentemente sani di età

superiore ai 72 anni. In un periodo di follow-up di 5 anno, la sopravvivenza libera da malattia

era significativamente più alta nei pazienti con funzione endoteliale normale; tale relazione

si è mantenuta significativa anche dopo aggiustamento per i fattori di rischio tradizionali

[151]. È interessante notare come la FMD in combinazione con lo score di Framingham

permette di classificare il rischio cardiovascolare in maniera migliore rispetto alla FMD e allo

score di Framingham considerati singolarmente [152]. In tutti gli studi condotti a riguardo, l’aggiustamento per i fattori di rischio tradizionali ha indebolito la correlazione tra la

funzione endoteliale e gli outcome clinici. Ciò deriva dal fatto che la disfunzione endoteliale

è il meccanismo chiave attraverso il quale i fattori di rischio cardiovascolari esercitano la loro

azione promotrice sull’aterosclerosi e sugli eventi avversi.

Nonostante i dati supportino un ruolo per la FMD come predittore di eventi cardiovascolari,

la misurazione della funzione endoteliale non è ancora raccomandata dalle linee guida per la prevenzione dell’ESC [153] o della American Heart Association (AHA) [154] e hanno

ricevuto un livello di raccomandazione inferiore a quello assegnato alla misurazione della

IMT carotidea e del calcium score coronarico. Tale scetticismo riconosce le sue ragioni nello

scarso valore prognostico della funzione endoteliale e nella mancanza di standardizzazione

delle varie tecniche impiegate. Sebbene la FMD abbia una grande sensibilità nel predire

eventi cardiovascolari avversi, permangono dei dubbi sulla sua specificità. Tuttavia, con

adeguate implementazioni della metodica e l’impiego di software di analisi più accurati, la

variabilità delle misure e, dunque, la specificità potrebbero migliorare notevolmente.

Considerando la funzione endoteliale come un processo dinamico (ad esempio con l’esecuzione di più misure nel tempo) e seguendo protocolli standardizzati, si potrebbero

ottenere misure riproducibili, specialmente in centri specialistici [126]. Il vantaggio principale della misurazione della funzione endoteliale risiede nella rapida risposta ad

eventuali interventi (es. trattamenti farmacologici). Inoltre, questa tecnica è l’unica a fornire

informazioni su alterazioni funzionali dell’endotelio, a differenza della misurazione della

IMT e del calcium score, che si limitano ad analizzare la struttura dei vasi e dunque a

diagnosticare la malattia aterosclerotica ad uno stadio più avanzato.

Oltre ad essersi dimostrata un valido predittore di eventi cardiovascolari, la disfunzione endoteliale nelle arterie periferiche e nel circolo coronarico contribuisce anche alla

progressione dell’aterosclerosi [144]. Le placche aterosclerotiche dei segmenti epicardici a

più alto grado di disfunzione endoteliale sono quelle che mostrano la maggiore vulnerabilità

[155]. Questi segmenti, caratterizzati dalla perdita di attività dell’NO e da un aumento

dell’attività dell’endotelina-1, hanno una maggiore probabilità di progredire in senso

stenotico [156].

È interessante notare che la disfunzione microvascolare può contribuire ad uno squilibrio

nella regolazione della perfusione miocardica riducendo la capacità di aumentare la

perfusione in risposta all’esercizio fisico e allo stress mentale, circostanze che possono condurre a ischemica miocardica [157]. Nel contesto dell’infarto miocardico, la disfunzione

microvascolare va considerata un importante mediatore di tale evento avverso, piuttosto che

una sua conseguenza [158]. Questa, infatti, inducendo una riduzione del flusso coronarico,

altera lo stress di parete a livello epicardico e dunque riduce la funzione endoteliale, con

conseguente progressione nella formazione del trombo. Il diabete mellito, insieme agli altri

determinanti della sindrome metabolica, ad esempio, esercita effetti deleteri sulla perfusione

miocardica e sull’estensione dell’ischemia nei pazienti con infarto miocardico acuto [159].

Per questi motivi, alla disfunzione endoteliale microvascolare va riconosciuto un ruolo

Nella prevenzione secondaria, molteplici studi dimostrano che i pazienti che non mostrano un’adeguata risposta in termini di FMD agli interventi terapeutici, hanno un aumentato

rischio di futuri eventi cardiovascolari [160]. Questi dati supportano l’applicabilità della

misurazione della funzione endoteliale nel monitoraggio della risposta alla terapia, ma studi

più ampi sono richiesti per comprendere quanto terapie mirate al miglioramento della FMD

possano migliorare gli outcome clinici.

Per ciò che concerne la prevenzione primaria, non esiste ancora un consenso su come misurare la funzione endoteliale in individui apparentemente sani a basso rischio

cardiovascolare. La FMD potrebbe essere implementata nella pratica clinica quotidiana dopo

un’attenta scelta di una combinazione di test non invasivi standardizzati e riproducibili su

larga scala.