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Il disinteresse per l'analisi interdisciplinare fra economia e diritto

Répaci, che si occupava di finanza ed economia applicata, erroneamente riteneva che l'indagine interdisciplinare avrebbe contaminato la purezza del ra-gionamento economico e che, comunque, dominare insieme l'analisi economi-ca, quella giuridica e quella politica non fosse possibile se non ad ipotetiche menti superiori, non esistenti nella realtà. Si era privato così degli strumenti mi-gliori, per gettare un ponte fra la fase del descrittivismo e delle osservazioni em-piriche in sede di analisi applicata della finanza pubblica e la fase delle enun-ciazioni astratte di natura teorica. Questo è, in effetti, il limite che ha ridotto la rilevanza del suo enorme lavoro intellettuale. Un rilievo analogo lo si può, ad esempio, fare per il suo saggio del 195629 in cui egli sostiene l'opportunità di unificare le basi imponibili dell'imposta statale complementare e dell'imposta comunale di famiglia, dimostrando che la preoccupazione che ciò farebbe per-dere gettito ai comuni era infondata, in quanto essa non era dovuta a differenza negli imponibili o negli accertamenti, ma a differenza di aliquote, essendo quel-le dell'imposta di famiglia sui redditi minori più equel-levate di quelquel-le dell'imposta complementare. L'analisi statistica di ciò è persuasiva, ma la proposta rimane monca, in quanto Répaci non spiega in che modo e misura gli enti locali po-trebbero esercitare la propria autonomia, una volta unificate le due imposte. Comunque Répaci sviluppava con coerenza la sua formulazione riguardante l'imposta economica, in cui, come vedremo, uno dei requisiti fondamentali è la neutralità, che comporta semplicità e quindi riduzione del numero di tributi, per ridurre le interferenze della tassazione con il mercato.

3 . L A T E O R I A E I N A U D I A N A D E L L ' I M P O S T A E C O N O M I C A P E R L O S T A T O M O D E R N O N E L L A V E R S I O N E D I R É P A C I

Francesco Antonio Répaci, come si può notare dalla sua bibliografia,30

scrisse moltissimo, e soprattutto su temi di finanza ed economia applicata e 2 9 F.A. RÉPACI, L'imposta complementare e l'imposta di famiglia nei comuni capoluoghi di

pro-vincia, in Studi in onore di Rodolfo Benini, Università di Bari, 1956, riedito in ID., Scritti di economia e finanza cit., pp. 239-245.

3 0 Che presento in F. FORTE, Un economista liberale calabrese della Scuola di Torino: Francesco

f r a n c e s c o f o r t e

di politica economica e finanziaria. I suoi lavori sui problemi del protezioni-smo mediante le tariffe doganali e sui temi dei trasporti ferroviari e marittimi a cavallo fra politica finanziaria ed economia dei trasporti applicata, merite-rebbero un esame, che non è possibile in questo scritto di sintesi.

A mio parere Répaci, oltre che dal punto di vista degli apporti alla storia della finanza pubblica, disciplina a cui la scuola torinese ha dato anche altri importanti contributi, in particolare di Luigi Einaudi e di Giuseppe Prato,31

merita di essere ricordato soprattutto per la sua coerente delineazione della teoria economica dell'imposta in un sistema di mercato, che egli svolse nella sua prolusione del febbraio del 1950 all'Università di Torino.32 E vero che Ré-paci fu, dal punto di vista della teoria dell'economia finanziaria, un allievo fe-dele di Einaudi, tuttavia la sua versione della teoria dell'imposta economica è solo una delle versioni che si possono desumere dal pensiero di Einaudi circa il ruolo dell'imposta nell'economia di mercato. Si potrebbe affermare che Ré-paci adotta, al riguardo, una tesi di liberismo puro, nel senso che egli teorizza come economica l'imposta neutra, rispetto al mercato. Al contrario Einaudi, nell'età più matura venne elaborando una teoria dell'imposta economica ba-sata non sulla mera assunzione che essa, in equilibrio, sia un prezzo globale dei beni pubblici, che deve evitare di turbare il gioco del mercato, ma su quel-la che, non essendo possibile attuare tale obbiettivo, essa vada adattata nel modo migliore all'economia di mercato in cui è inserita: sia cioè non già neu-tra, quanto conforme al mercato. Sicché egli, ad esempio, adotta la tesi per cui il sistema tributario, in linea di massima, in un sistema di mercato ben funzio-nante, non dovrebbe colpire tutto il reddito, ma solo la parte che corrisponde alla normale remunerazione dei fattori produttivi impiegati, lasciando fuori i guadagni in eccesso, che sono di ardua determinazione dal punto di vista fi-scale, e che comunque fanno parte integrante della dinamica del sistema eco-nomico. Un principio questo che sarebbe errato ridurre alla tesi dell'imposta sul reddito medio, anziché effettivo, come quella che viene adottata con gli studi di settore. Ciò in quanto essa non riguarda tanto la determinazione del reddito, una volta che ne sia stato assunto il concetto, quanto la delimita-zione della nodelimita-zione medesima di reddito da tassare.

31 Cfr. L. EINAUDI, L'economia pubblica veneziana dal 1736 al 1755, pubblicato a puntate in quattro numeri de «La Riforma sociale», XI, voi. XIV, marzo-luglio 1904; ID., La finanza sabauda

all'aprirsi del secolo XVIII e durante la guerra di successione spagnuola, Torino, Sten, 1908; G. PRATO, Il costo della guerra di successione spagnola e le spese pubbliche del Piemonte al 1700 al 1713, Torino,

Bocca, 1907.

32 F.A. RÉPACI, La teoria dell'imposta economica, «Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze», voi. I, n. 1, 1950, riprodotto in ID., Scritti di economia e finanza cit., pp. 183-202.

a t t i l i o c a r i n o c a n i n a , a n t o n i o c a l a n d r a e f r a n c e s c o a n t o n i o r é p a c i Tuttavia vi sono altre, maggiori, differenze, perché il costrutto di Répaci è di tipo oggettivistico, a differenza di quello di Einaudi, che è soggettivi-stico e, tendenzialmente, wickselliano, quindi aperto a una teoria dei pro-cessi di decisione delle scelte pubbliche, come quella dell'indirizzo di public choice. L'impostazione di Répaci si presta meglio a una formalizzazione me-diante una funzione del benessere sociale elaborata dal decisore politico per delega degli elettori. Per entrare nel merito della versione répaciana della teoria dell'imposta economica occorre rilevare che Répaci, come Einaudi e De Viti de Marco, presenta una teoria dell'imposta con ambizioni di na-tura positiva. Einaudi, come Ricca Salerno e come altri economisti, fra cui io mi annovero, non cerca una teoria della tassazione ottimale in sede norma-tiva, ma in sede di equilibrio del sistema in cui essa è inserita. Henry Si-mons, in una recensione critica al trattato di economia finanziaria di De Viti de Marco, scrive che questo autore, adottando il punto di vista che autode-finisce economico spesso risulta troppo auto referenziale, sicché fa prevalere come verità economica oggettiva le proprie preferenze ideologiche. Questa è anche la tesi di Benvenuto Griziotti, nella sua critica alla teoria di De Viti de Marco come teoria 'economica' dell'imposta. E una critica centrata, ma solo sino a un certo punto. Si tratta di mettere in chiaro che la parola 'eco-nomica' qui si riferisce alla massima efficienza del sistema economico, dal punto di vista della sua capacità di non turbare o di favorire la crescita, in termini di misure convenzionali del prodotto nazionale, indipendente-mente dal fatto se ciò sia o meno in contrasto con il perseguimento del mas-simo benessere di tutti gli individui, definito con postulati contrattualisti. E si tratta anche di capire se questo è un equilibrio teorico a tavolino o effet-tivo, in quanto il fisco come potere dello stato alla lunga si basa sul consen-so dei cittadini. L'imposta è pur sempre un 'prezzo politico', cioè un feno-meno economico che si determina in sede di decisioni collettive, politiche, nel senso ampio del termine. Répaci appartiene alla scuola che ricerca l'eco-nomicità dell'imposta idealizzando lo stato e restringendone il ruolo a un profilo che appare un po' troppo semplificato: in quanto elimina completa-mente gli aspetti distributivi e i fini macro economici di pieno impiego che lo stato potrebbe perseguire, nell'interesse di lungo termine di tutti i mem-bri della collettività. Obbiettivi che, quando Répaci pronunciò la sua prolu-sione, erano in un'evidenza probabilmente eccessiva, data l'emergente 'rivo-luzione keynesiana' riguardante la predominanza degli obbiettivi di politica fiscale. Egli si poneva decisamente e anche polemicamente contro tale indi-rizzo quando, partendo dal principio che l'imposta è il prezzo fiscale delle spese pubbliche, affermava che

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l'imposta concepita e distribuita con criteri economici ha per scopo unico ed esclu-sivo di fornire allo stato i mezzi necessari per raggiungere i suoi fini. Questo tipo di imposta è anche chiamata neutra o fiscale e per essere tale, deve essere generale ed uniforme: tale che, cioè, commisurata al reddito, incida, sia subito, sia in seguito a un processo di traslazione, con eguale peso i redditi aventi valore eguale nell'unità di tempo, invariato rimanendo il giudizio di ogni uomo sulla destinazione di ogni unità di reddito.33

Ma Répaci non aderiva alla teorica della fiat tax. Egli chiarisce che

l'imposta generale ed uniforme non vuol dire imposta ad aliquota costante. Può essere anche ad aliquota progressiva, quando la progressività sia una esigenza tec-nica di ridurre i redditi a un comune denominatore, cioè alla omogeneità. Cento lire di redditi derivanti da lavoro non sono eguali a cento lire provenienti dall'im-piego di capitale, essendo differente la loro disponibilità e quindi diversa la loro natura.34

Come si nota, Répaci si rifa alla tesi milliana per cui il reddito da lavoro, es-sendo transitorio, per essere equiparato a quello da capitale va depurato di una quota, che si suppone debba essere mandata a risparmio, per generare un cespite che dia un flusso equivalente, una volta che il lavoratore sia andato a riposo. All'epoca in cui Répaci scriveva, per altro, vi erano già le assicurazio-ni sociali obbligatorie, che non esistevano al tempo di John Stuart Mill, che consentono al lavoratore di ottenere un reddito anche quando è in pensione. I contributi sociali, essendo detratti dal reddito, comportano un parziale recu-pero della discriminazione qualitativa dei redditi. Répaci non se ne rendeva conto, ma, per il vero, non molti lo rilevavano. Egli avrebbe potuto sostenere che il reddito di lavoro comporta un sacrificio di tempo libero, che il reddito di capitale non richiede. Ma la critica maggiore alla sua tesi sta nel fatto che dalla formulazione milliana si possono ricavare la diversificazione delle aliquo-te per i vari redditi e l'esonero (parziale) del reddito mandato a risparmio, non la progressività del tributo. Egli avrebbe potuto recuperare la tesi della mode-rata progressività solo argomentando che il consumo di servizi pubblici tende a essere più che proporzionale al reddito. Comunque egli poi aggiunge che: «altri requisiti dell'imposta economica o neutra e fiscale sono la certezza, la oggettività, la ordinarietà, che non è il caso di esaminare».35 Si avvicinava così sostanzialmente alla tesi che imposta è conforme al mercato e va pregiata

co-33 F.A. RÉPACI, La teoria dell'imposta economica cit., p. 190.

34 Ibid.

a t t i l i o c a r i n o c a n i n a , a n t o n i o c a l a n d r a e f r a n c e s c o a n t o n i o r é p a c i me tendenzialmente ottimale, se generale, semplice, certa e oggettiva, quindi non suscettibile di operazioni di rent seeking.

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