• Non ci sono risultati.

Egemonia e Differenze

“La coscienza viene alla luce con la rivolta.” (Camus, 2002: 19)

Cultura e potere. Conflitto e mutamento sociale sono i temi focali intorno a cui emergono, e si consolidano, i Cultural Studies. Spazio transdisciplinare, in costante movimento-mutamento, che prende forma in un’epoca e in una società caratterizzate da profondi mutamenti socio-culturali. Il contesto non è casuale; l’intento esplicito. Stimolare lo sviluppo di approcci teorici maggiormente in sintonia con la specifica congiuntura storica; interpretare criticamente i processi di mutamento in atto e, insieme, incidere su di essi. Teorie e approcci differenti confluiscono e si ibridano, unificati da un interesse comune per la pratiche culturali e le dinamiche di potere che le solcano. Il rapporto tra potere e cultura è il collante, e l’elemento distintivo, di un campo di studi magmatico e caratterizzato dal rapido susseguirsi di paradigmi teorici; conseguenza inevitabile del focalizzarsi su fenomeni emergenti, ancora in formazione; e, insieme, scelta teorico-metodologica. L’adozione di concetti e teorie viene continuamente sottoposta ad una critica autoriflessiva. I Cultural Studies adottano un “approccio dialogico alla teoria” (S. Hall, 1992: 289), rivisitano continuamente i propri assunti di partenza e ‘combattono’ costantemente con le teorie consolidate. Intento: incessante processo di formulazione di nuove teorie, meno astratte e più concrete, sempre inadeguate, ma che permettano di fare piccoli passi avanti nella comprensione dei processi culturali e di potere. La teorizzazione è un processo in costante divenire, “un vasto orizzonte… qualcosa che si muove nel

campo magnetico di alcuni concetti fondamentali ma ogni volta si avvicina a quanto c’è di autenticamente nuovo e originale nelle attuali forme della pratica culturale.” (S. Hall, 1986a: 185) Le categorie di pensiero maggiormente generali, i concetti al loro massimo livello di astrazione23; sono difficilmente applicabili

direttamente all’analisi di specifiche congiunture storiche. Il rapporto tra concetti e realtà empirica è un costante movimento tra differenti livelli di astrazione. Non tutti i concetti operano allo stesso livello. Nell’analisi di specifici fenomeni sono necessari concetti “alquanto ‘descrittivi’, storicamente determinati, legati al tempo e riferiti a qualcosa di concreto”24 (S. Hall, 1989a: 103). Questo

continuo scivolare della prospettiva teorica converge e insiste, però costantemente, intorno ad uno specifico campo di interesse (cultura/potere ed identità/corpo).

I Cultural Studies emergono da tentativi disparati, e spesso profondamente diversi, di confrontarsi con fenomeni “concreti” e problemi teorici, che il nuovo contesto socio-culturale, pone in massimo risalto. Intrattengono, sin dall’inizio, un rapporto contrastato e critico con il marxismo25. Il nuovo campo va

formandosi, proprio, attraverso una presa di distanza, e una profonda critica, alla pre-esistente tradizione marxista. Le critiche del nuovo approccio convergono intorno a due temi centrali. Il riduzionismo economico, ovvero una concezione del rapporto tra base (economica) e sovrastruttura (cultura) eccessivamente semplicistico (completa omologia tra i due livelli, con il primo che determina in maniera quasi immediata e totale il secondo); fortemente diffuso nell’ambiente26 e che lascia poco spazio

all’analisi del livello culturale e del suo ruolo nelle dinamiche di potere. E l’assenza, all’interno della tradizone teorica, di una vera teoria dei processi di significazione e identitari. I Cultural Studies adottano, al contrario, un concetto di cultura, strettamente legato ai contesti sociali, alle relazioni sociali e alle dinamiche del potere. “The culture27 is the dimension of meaning and the symbolic – but

cultural studies has always looked at this in the context of the social relations in which it occurs, and asked questions about the organization of power.” (S. Hall, Osbourne, & Sagal, 1997: 1)

I tre principali precursori della nuova disciplina ebbero con l’ambiente culturale e con le teorie marxiste rapporti diversi, ma sempre almeno in parte critici. Hoggart è, tra i “padri fondatori”, quello maggiormente distante dalla tradizione; ne fu soltanto molto vagamente influenzato.

Williams, più direttamente coinvolto nell’ambiente marxista, è fortemente influenzato da questa tradizione, ma insieme fortemente critico verso di essa. L’autore trova non soddisfacente la teorizzazione marxista dei rapporti tra economia, relazioni sociali e cultura; e ritiene troppo ristretto il concetto di cultura utilizzato. Entrambi, a lungo punti critici di contatto tra l’emergente campo di studio e la tradizione già consolidata.

Thompson è più strettamente connesso e più esplicitamente marxista. Nonostante, ciò, sviluppa una critica profonda verso alcuni aspetti della tradizione teorica e in special modo verso lo stalinismo, il cui crimine teorico è quello di “forgets the creative sparks without which man would not be man” (1968: 125). L’autore sottolinea l’importanza degli aspetti creativi dell’attività umana, e di conseguenza delle idee e delle opinioni sul mondo, nei processi di mutamento sociale. Il ruolo dell’agency, l’assenza di spazi di manovra e ‘libertà’, la totale determinazione del soggetto, resteranno, anch’essi, a lungo una delle critiche di fondo dei Cultural Studies al marxismo.

Hall è ancora più critico verso il marxismo, un sistema di pensiero obsoleto e riduttivo. Formula, inizialmente, diverse obiezioni al paradigma, maggiormente legate ai cambiamenti in atto. Il ‘senso di classe’, ad esempio, viene spezzato - frammentato dall’emergere del consumismo; la vecchia cultura della classe operaia, ‘a whole way of life’ di Williams, si frammenta in una serie di lifestyles.28

L’autore ritiene, ancor più, necessario superare i limiti teorici del marxismo per poter comprendere i processi culturali in atto. Il suo primo approccio al marxismo è dovuto più alla ricerca di un vocabolario teorico per lo studio critico delle culture dei ‘subordinati’, che ad una chiara adesione. Il marxismo era l’unico, o il più diffuso, vocabolario a disposizione; ma insieme era del tutto inadeguato, con la sua insistenza sull’economico e sulla classe sociale, per lo studio delle subculture dei giovani inglesi, in generale e ancor meno per l’analisi dei flussi culturali generati dai giovani migranti ‘neri’, che interessavano l’autore.29

La critica alla tradizione marxista non si trasforma, però, in un abbandono di essa. Hall stesso inizia, e porta avanti a lungo, un processo di revisione ed arricchimento critico del paradigma (che fa parte di uno sforzo collettivo per definire una base metodologico- teorica più forte per la disciplina nascente).

La riscoperta del marxismo da parte dell’autore, e dei Cultural Studies più in generale, avviene attraverso la mediazione dello strutturalismo, e in particolare di Althusser (1971, 1974a, 1974b, 2008). Gli stimoli provenienti dallo strutturalismo spingono il magmatico campo in divenire a una revisione dei concetti elaborati in precedenza (durante la fase solitamente definita ‘culturalismo’). La differenza tra i due approcci risiede, principalmente, nel modo in cui concepiscono l’esperienza. “Whereas, in ’culturalism’, experience was the ground-the terrain of ’the lived’- where consciousness and conditions intersected, structuralism insisted that ’experience’ could not, by definition, be the ground of anything, since one could only ’live’ and experience one’s conditions in and through the categories, classifications and frameworks of the culture.” (S. Hall, 1980a: 68)

Lo strutturalismo, più che soluzioni, offre ai Cultural Studies stimoli e modalità nuove per concettualizzare le problematiche già individuate. Althusser, in particolare, incoraggia un’interpretazione meno riduttiva delle teorie di Marx. “Althusser persuaded me, and I

remain persuaded, that Marx conceptualizes the ensemble of relations which make up a whole society – Marx’s Totality – as essentially a complex structure, not a simple one.” (S. Hall, 1985: 1) La relazione tra i differenti livelli non può essere semplice ed immediata; né può esistere un unico principio (la base) che determina interamente gli altri livelli (sovrastruttura), trasformandola in un semplice riflesso. Le società sono unità complesse, in cui ogni livello è insieme determinato e determinante (overdetermination).

Althusser riconosce, inoltre, che la contraddizione economica non è l’unica esistente. Esistono differenti contraddizioni sociali con origini differenti e in diversi livelli sociali, che si articolano tra loro in maniera divergente. L’unità formata attraverso la combinazione e l’articolazione di questi diversi livelli e differenti contraddizioni è sempre, e necessariamente, una ‘struttura complessa’, nella quale i diversi elementi sono collegati sia attraverso le differenze che le similitudini. “This requires that the mechanisms which connect dissimilar features must be shown-since no "necessary correspondence" or expressive homology can be assumed as given. It also means - since the combination is a structure (an articulated combination) and not a random association - that there will be structured relations between its parts, i.e., relations of dominance and subordination. Hence, in Althusser's cryptic phrase, a ‘complex unity, structured in dominance.’” (S. Hall, 1980b: 38)

Althusser stimola una revisione critica, anche, del concetto di ideologia. L’autore definisce le ideologie come “images, representations, categories through which men ‘live’, in an imaginary way, their real relation to their conditions of existence.” (S. Hall, 1980a: 20) L’ideologia è qualcosa di pratico più che un sistema di idee. Le ideologie sono localizzate materialmente, e quindi esaminabili in maniera più accurata nei loro effetti pratici, nelle istituzioni e apparati che le elaborano (Apparati Ideologici dello Stato). Queste istituzioni riproducono, attraverso l’ideologia, il punto di vista dominante e garantiscono la riproduzione dell’ordine

economico e sociale; falsificando reali condizioni di esistenza, attraverso categorie, immagini e framings.

Le ideologie, per essere efficaci, devono, però, essere in grado di interpellare i propri soggetti. L’Io, lungi dall’essere il centro cosciente della produzione dei discorsi ideologici, è una categoria discorsiva contraddittoria creata dalle ideologie, in maniera incosciente. Althusser, in modo equivoco, inserisce il tema del soggetto dell’ideologia; della sua interiorizzazione inconsapevole attraverso l’ingresso nel linguaggio. Questo ha conseguenze profonde per il rapporto tra base/sovrastruttura e classe/ideologia di classe. Le classi sociali, per l’autore, non sono solamente strutture economiche, ma piuttosto formazioni complesse costituite da differenti pratiche (economiche, politiche ed ideologiche) e dalle influenze reciproche tra queste. Tra base e sovrastruttura esiste un rapporto reciproco di determinazione; è l’articolazione, la connessione tra i vari livelli che da luogo all’unità complessa che è la società.

Le teorie strutturaliste vengono adottate dai Cultural Studies, ma solo parzialmente. I punti critici sono diversi. La concezione dell’ideologia dell’autore è troppo unitaria e pervasiva, senza storia. L’ideologia parla e costituisce il soggetto; e attraverso il necessario ingresso nel linguaggio l’individuo viene inscritto in e da essa; restano davvero pochi spazi di manovra e poco margine per interpretazioni culturali divergenti. L’ideologia, funzionalizzata completamente dall’autore alla riproduzione dell’esistente, non può dar conto delle idee sovversive e della lotta ideologica. La riformulazione teorica del marxismo, da parte di Althusser, stimola più ampie revisioni, lo strutturalismo genera il post-strutturalismo. Hall trova in Laclau e Gramsci nuovi stimoli teorici. Il primo offre una concezione dell’ideologia che ne ammette la storicità e il pluralismo. Il secondo, che diverrà sempre più un riferimento teorico per i Cultural Studies, una versione complessa, storicizzata, non

deterministica del marxismo, che pone al centro dell’analisi la lotta ideologica.

Laclau (Laclau & Mouffe, 1985; Laclau, 1979, 1990, 2005, 2008, 2014) è interessato allo sviluppo di una teoria non riduttiva dell’ideologia e del suo funzionamento nella società. Gli elementi di un’ideologia, per l’autore, presi singolarmente non hanno specifiche connotazioni di classe; possono essere parte di ideologie diverse appartenenti a differenti formazioni sociali. Le connotazioni di classe nascono dall’articolazione di questi elementi in specifici discorsi ideologici. La concatenazione tra elementi interni dell’ideologia diviene più importante della connessione tra questa e una specifica formazione sociale; relazione che è soltanto il risultato di specifiche pratiche discorsive.

Il concetto di ideologia, di Laclau, è più limitato, meno totalizzante, riconosce l’esistenza di numerose ideologie; e non necessariamente presuppone che queste lavorino solamente a livello inconscio. L’autore recupera il concetto di interpellazione, ma in un contesto in cui ideologie diverse cercano di interpellare in maniera differente i soggetti. Un’ideologia ‘appartiene’ a una specifica formazione sociale nella misura in cui ha successo nel nominarla, nel catturare la sua attenzione.

Laclau rompe completamente con qualsiasi concetto di determinazione. Gli elementi, presi singolarmente, non hanno nessuna determinazione di classe; e la capacità delle ideologie e dei discorsi di determinare le formazioni sociali è problematica nei primi lavori dell’autore, assolutamente contingente nei successivi. Un’ideologia può potenzialmente determinare una posizione soggettiva; ma questa determinazione è soltanto una possibilità, non una certezza. La connessione - articolazione tra pratiche diverse è contingente, non necessaria. Tra ideologie e forze sociali, tra diversi elementi dell’ideologia e tra i diversi gruppi sociali esistono articolazioni potenziali e possibili multiple. “If class contradiction is the dominant contradiction at the abstract level of the mode of

production, the people/power block contradiction is dominant at the level of social formation.” (Laclau, 1979: 108) ‘The people’ è sempre un insieme di frazioni di classi diverse unificate non dalla loro relazione con il sistema di produzione, ma dal loro sottoscrivere, a vari livelli, una specifica formazione discorsiva ideologica. Di conseguenza qualsiasi frattura sociale, e non necessariamente quella economica, può essere l’elemento centrale di un’ideologia.

La nuova concezione dell’ideologia, offerta da Laclau, ammette la pluralità e la storicità delle ideologie; e permette lo studio di un numero maggiore di fratture/differenze sociali.

L’opera di Gramsci è complessa; si muove all’interno della teoria marxista, ma con l’intento di rinnovarla, arricchirla, attualizzarla. Ripudia ogni forma di riduzionismo economico e fa della relazione tra struttura e sovrastruttura il centro dell’analisi di specifiche congiunture storiche e delle forze sociali che in esse agiscono. Non abbandona lo studio della struttura e delle ‘relazioni oggettive’; queste pongono limiti, condizioni fondamentali, favoriscono l’emergere di specifici sviluppi. L’errore del riduzionismo economico sta, per l’autore, nel tradurre direttamente vincoli e tendenze in sviluppi politici e culturali completamente determinati, puri riflessi sovrastrutturali. La struttura definisce i limiti spaziali, l’orizzonte di possibilità, in cui si muovono le forze sociali. Sono i rapporti esistenti tra queste forze, gli equilibri instabili, ciò che va analizzato. Lo studio della cultura, delle industrie mediali e delle dinamiche di potere culturale e relazionale sono centrali per la lotta ideologica. Svelare i meccanismi del dominio significa analizzare criticamente il modo in cui, in specifiche circostanze storiche, le idee “‘organizzano’ le masse umane, formano il terreno in cui gli uomini si muovono, acquistano coscienza della loro posizione sociale, lottano ecc.” (Gramsci, 1975)

La coscienza della propria posizione sociale e il formarsi-generarsi dell’unità di una forza sociale non nascono direttamente dalla

posizione occupata nel sistema di produzione; piuttosto devono essere costruite attraverso pratiche economiche, politiche e ideologiche. Le ideologie non derivano da bisogni di classi completamente formate; ma, al contempo, non risultano efficaci se non riescono ad articolarsi con una specifica costellazione di forze sociali e con le fratture e i conflitti sociali.

L’ideologia, per Gramsci, è una concezione del mondo, una “filosofia… che abbia prodotto un’attività pratica e una volontà” e che contenga “una ‘promessa’ teorica implicita” (ibidem: II 1380); in grado di cementare ed unificare un blocco sociale. L’ideologia opera su due piani distinti. Il piano filosofico specialistico, che ne garantisce elaborazione e coerenza; e il piano della coscienza pratica e quotidiana. Solo la trasformazione del ‘senso comune’, del pensiero popolare, garantisce efficacia storica ad un’ideologia. Il ‘senso comune’ è il deposito stratificato in cui tracce delle più disparate filosofie si sedimentano e la coscienza popolare si forma. È il campo “del già formato e dato per scontato, sul quale devono lottare per la supremazia ideologie e filosofie più coerenti, e che le nuove concezioni del mondo devono prendere in considerazione, contestare e trasformare, se intendono modellare le concezioni che le masse hanno del mondo.” (S. Hall, 1986b: 167)

La lotta ideologica non avviene attraverso la sostituzione di un intero sistema di pensiero con un altro altrettanto compiuto; ma attraverso la critica che porta ad “un processo di distinzione e di cambiamento nel peso relativo che gli elementi delle vecchie ideologie possedevano”, (Gramsci, 1975, II 1058) e all’assunzione di alcuni di questi elementi come nucleo centrale di un nuovo complesso ideologico. La critica consiste, sostanzialmente, in un processo di de-costruzione e ri-costruzione ideologica; e nell’articolazione tra catene di idee e forze sociali.

Il conflitto ideologico è parte di un più complessivo scontro sociale, la cui posta in gioco è il potere e la leadership, l’egemonia. “Ma l’ egemonia, nell’accezione di Gramsci, esige non la semplice ascesa al potere di una classe, con la sua compiuta ‘filosofia’, ma il

processo mediante il quale si crea un blocco storico di forze sociali e se ne assicura la supremazia.” (S. Hall, 1983: 139) L’egemonia è qualcosa di molto complesso, coinvolge molti ambiti sociali e non può essere ottenuta attraverso il ‘predomino’ in un’unica sfera sociale. “L’egemonia non viene esercitata soltanto in campo economico e amministrativo, ma include i settori critici della direzione culturale, morale, etica e intellettuale.” (S. Hall, 1986b: 161)

L’egemonia registra il passaggio dalla ‘guerra manovrata’ alla ‘guerra di posizione’ in campo politico; è un concetto legato a specifiche condizioni storiche30 e, in particolare, allo sviluppo della

democrazia, dello stato ‘moderno’ e della ‘società civile’. Gli antagonismi, le fratture sociali, si moltiplicano. Il potere si diffonde attraverso le relazioni e le istituzioni della società. Lo Stato sviluppa un apparato educativo sempre più vasto. Scuola, famiglia, istituzioni religiose, media, associazioni, identità sociali; si trasformano in trincee della nuova guerra di posizione. Il potere non è più, se mai lo è stato, qualcosa di conquistabile con un’unica manovra decisiva. La mitica presa della Bastiglia31 è, appunto, questo: un mito, un

simbolo che cementa effervescenze sociali, idee emergenti e blocchi sociali in formazione. Non la prima manovra decisiva per la presa del potere da parte di un ben definito gruppo sociale, portatore di un coerente complesso di idee ed aspirazioni. La presa della Bastiglia è un simbolo che favorisce, abilita e cementa l’articolazione tra movimenti culturali e sociali disparati, e già in effervescente emersione, e più vaste formazioni sociali e culturali.

“Per Gramsci non c’è né pura coercizione né puro consenso, ma ci sono svariate combinazioni delle due.” (S. Hall, 1986b: 161) Un blocco di potere si forma dall’articolazione di più frazioni sociali all’interno di un progetto ideologico; e ottiene l’egemonia non solo mediante il potere economico e politico, ma conquistando, attraverso l’esercizio di leadership e autorità, il consenso dei governati.

L’egemonia non è qualcosa di stabile, è un equilibrio precario e magmatico. Il mutamento ideologico e la creazione di nuovi blocchi di potere sono sempre possibili; tramite processi di articolazione e dis-articolazione di idee e forze sociali.

I Cultural Stuides trovano, in Gramsci, concetti fondamentali; ma nuovi approcci teorici, e nuovi fenomeni sociali, costringono a un’ulteriore riflessione teorica. La globalizzazione e la “rivoluzione culturale” cambiano il quadro di riferimento. La cultura, e le industrie culturali, penetrano e si espandono in ogni settore della vita sociale, assumono un peso economico maggiore, assorbono risorse sempre più consistenti, mediano ogni processo sociale. Ogni ferrea distinzione tra struttura economica e sovrastruttura culturale diviene difficile da sostenere “in circumstances where the media both form a critical part of the material infrastructure of modern societies and are the principal means by which ideas and images are circulated.” (S. Hall, 1997a: 209)

La compressione spazio-temporale, la stratificazione dell’ambiente tramite la fusione-confusione di ‘reale’ e ‘virtuale’; generano profondi mutamenti nella coscienza e nel contesto quotidiano di vita delle persone. La globalizzazione e il capitalismo internazionale rimescolano le culture. Il sincretismo e l’ibridismo divengono tratti caratterizzanti della realtà sociale. Le differenti culture si scontrano, ibridano e vengono trasformate in opportunità di consumo. Il capitalismo post-fordista non ambisce più all’omologazione; gioca sulla differenza, sulla prolificazione di modelli e di stili di vita. Produce e diffonde-pubblicizza nuove possibilità di esperire, nuove identità; e, contemporaneamente, penetra nel tessuto sociale. “La nuova cultura è inesorabilmente materiale nelle pratiche e nei modi di produzione. E il mondo delle merci e delle tecnologie è profondamente culturale.” (S. Hall, 1989b: 257)

La pervasività evidente e plateale della cultura stimola, al contempo, nuovi approcci teorici (in particolare il ‘post- modernismo’ e le teorie di Foucault32). Cambiamenti sociali ed

epistemologici convergono nel conferire maggiore importanza al linguaggio, alla rappresentazione e alla cultura; e, simultaneamente, a porre la questione urgente della formazione processuale delle identità e delle soggettività.

Hall, attraverso una revisione critica di questi approcci e degli scritti di Marx, e il continuo confronto con i mutamenti che emergono nella società, formula una propria teoria per cercare di dar conto delle dinamiche stratificate, ibride e polimorfe dei processi culturali e di potere. Sviluppa un marxismo senza garanzie, un post-marxismo che tiene conto delle questioni centrali

Documenti correlati