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In disparte, dunque, l’annosa questione della capacità generale di diritto privato delle pubbliche amministrazioni (414 ) – per alcuni principio definitivamente superato

(

415

), per altri invece ancora attuale (

416

) –, è alle società che mette conto guardare.

(414) “Com’è noto, gli enti pubblici, in quanto persone giuridiche, hanno soggettività giuridica al pari degli enti di diritto privato. In virtù del disposto di cui all’art. 11 c.c., in assenza di previsioni normative preclusive dell’adozione di determinati atti aventi natura privatistica, le amministrazioni pubbliche non subiscono limitazioni nella propria capacità di diritto privato”: così A. MALTONI, Il testo unico sulle società a partecipazione pubblica e i limiti alla capacità di agire di diritto privato delle P.A., in N. LONGOBARDI (a cura di), Il diritto amministrativo in trasformazione, cit., 189 e ss. Tanto premesso in via generale, per una approfondita panoramica sul tema si rinvia alla recentissima indagine di A. BLASINI, Principio di legalità e capacità di diritto privato dell’amministrazione, in Dir. amm., 2018, 2, 399 e ss. Con specifico riferimento all’art. 11 c.c., invece, si veda M. TAMPONI, Persone giuridiche. Artt.11-35, in Il Codice civile. Commentario, fondato da P. Schlesinger e diretto da F.D. Busnelli, Giuffrè, Milano, 2018, 7 e ss. Sempre in tempi recenti, peraltro, vi è chi ha messo in guardia gli interpreti da una “fallace assimilazione” tra il concetto qui citato (capacità generale di diritto privato) e quello di autonomia privata: ci riferiamo a D. MARRAMA, Soggetti “legali” e autonomia privata, cit., 41 e ss., il quale osserva che si tratta di “un’assimilazione insidiosa […] che negli anni è stata indirettamente favorita dal crescente impiego di strumenti di diritto privato da parte di pubbliche amministrazioni tradizionali impegnate in attività di cura di interessi generali presupponenti il conferimento di poteri amministrativi. Ciò non di meno, non si può non segnalare come il darsi dei fini, lo scegliere le modalità con le quali perseguirli e il decidere finanche di non perseguirli affatto o di non perseguirli più rappresenta qualcosa di ben diverso dalla possibilità che in via generale hanno le pubbliche amministrazioni incaricate da un legislatore si curare un determinato interesse generale (e, di conseguenza, attributarie di un potere amministrativo) di scegliere di dedicarsi a quell’attività di cura utilizzando strumentazioni di diritto pubblico piuttosto che strumenti propri del diritto comune” (45). Insomma, poiché il concetto di autonomia privata richiama direttamente quello di libertà, intesa “come possibilità di agire, nei limiti del lecito, per il perseguimento dei propri fini e di individuare le modalità da impiegare in quest’ottica ma – allo stesso tempo – anche come facoltà di scegliere di non avviare affatto tale attività, di sospenderla come anche di non perseguire più i predetti fini”, essa non è predicabile con riguardo ai soggetti pubblici. Ciò “per il semplice fatto che questi ultimi non hanno e non possono avere interessi propri. Essi rappresentano, infatti, strutture necessarie a far emerger gli interessi generali delle rispettive comunità di riferimento (enti a fini generali) ovvero – più limitatamente – entità deputate alla cura dei predetti interessi generali (articolazioni interne o esterne di enti a fini generali piuttosto che semplici enti pubblici strumentali)” (42-43). Dunque, in conclusione, secondo Marrama “l’autonomia privata deve essere intesa come una caratteristica … propria esclusivamente dei soggetti privati” (50). L’impostazione rievoca l’opinione, già espressa in passato, di una irriducibile incompatibilità tra la posizione di autonomia privata e la immanente persistenza di un interesse pubblico da perseguire, per la quale si veda C. MARZUOLI, Principio di legalità e attività di diritto privato della pubblica amministrazione, Giuffrè, Milano, 1982, 49 e ss., spec. 85 e ss. Recentemente, per l’opinione di segno contrario si veda invece G.F. LICATA, In tema di autonomia negoziale della pubblica amministrazione, in G. PIZZANELLI (a cura di), Passato e presente del diritto amministrativo. Liber amicorum in onore di Alberto Massera, Editoriale Scientifica, Napoli, 2017, 227 e ss., in part. 234 e ss.

(415) Ad es. per A. MAZZONI, Limiti legali alle partecipazioni societarie di enti pubblici e obblighi correlati di dismissione: misure contingenti o scelta di sistema?, cit., 79, il quale, nel rispondere all’interrogativo che forma il titolo del proprio contributo, osserva che “con riferimento all’assunzione o mantenimento di una partecipazione in una società, gli enti pubblici italiani non hanno più una capacità giuridica generale […] Si deve, ormai, considerare vigente il principio opposto: gli enti pubblici hanno soltanto la capacità speciale di acquisire o mantenere partecipazioni nelle società in cui la partecipazione è consentita in ragione della corrispondenza dell’oggetto sociale a una delle fattispecie “consentite” dalla legge”. Una posizione parzialmente diversa dal punto di vista delle motivazioni, ma sostanzialmente sovrapponibile da quello degli effetti, è stata sostenuta da Cons. Stato, Ad. plen., 7 giugno 2011, n. 10, in Urb. e app., 2011, 12, 1456 e ss., con commento di S. SPUNTARELLI, Questioni

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L’art. 3, co. 27 cit., vieta alle amministrazioni la costituzione di (e la

partecipazione in) società con oggetto non strettamente necessario per il

perseguimento delle proprie finalità istituzionali. Nello specifico, “considerato … che,

per espressa previsione normativa, sono escluse da questo divieto le società per la

gestione dei servizi di interesse generale, e presupposto che con tale locuzione il

legislatore abbia voluto riferirsi (anche) ai servizi pubblici locali, emerge chiaramente

[e nuovamente, n.d.r.] il disfavore dell’ordinamento nei confronti delle società

pubbliche strumentali” (

417

). L’“ostracismo” che riguarda tali società è dovuto, sempre

secondo questa linea di pensiero, ad una ragione molto semplice: “le società

strumentali hanno contribuito a quella eccessiva proliferazione della presenza pubblica

nella dimensione puramente economica – e quindi non in un’area a metà tra la funzione

pubblica e l’economia, settore in cui si inseriscono i servizi pubblici locali – che oggi

più di ieri si vuole limitare per ragioni eminentemente finanziarie” (

418

).

interpretative in ordine alla costituzione di società commerciali da parte delle Università, nonché in Dir. proc. amm., 2011, 4, 1351 e ss., con commento di F. GOISIS, La strumentalità pubblicistica delle società a partecipazione pubblica: profili critici di diritto nazionale e comunitario e implicazioni. Con questa pronuncia i giudici di Palazzo Spada hanno affermato che l’art. 27, co. 3, l. n. 244/2007 esprime “un principio di carattere generale che era immanente nell’ordinamento anche prima della sua esplicitazione positiva”, che vieterebbe agli enti pubblici di svolgere attività d’impresa e perciò di costituire o partecipare a società di capitali in assenza di una espressa autorizzazione. La dottrina ha dato ampio risalto alla pronuncia in parola, come dimostra l’elevato numero di commenti. Oltre a quelli già richiamati si vedano, ex multis, quelli di: A. AULETTA, Note in tema di capacità di diritto privato delle amministrazioni pubbliche. A proposito di una recente sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in giustamm.it, n. 10/2011; G. GRÜNER, Note minime intorno alla (pretesa) autonomia privata degli enti pubblici: tra tutela della concorrenza e del mercato e principio di legalità, in giustamm.it, n. 8/2011; C. MARZUOLI, Le università e l’uso di forme organizzative di diritto privato, in Giorn. dir. amm., 2012, 3, 287 e ss.

(416) Ad es. per S. VALAGUZZA, Società miste a partecipazione pubblica comunale. Ammissibilità e ambiti, cit., 37 e ss., la quale, nel criticare le posizioni riportate nella nota precedente, offre anche una originale rilettura di alcune disposizione costituzionali. L’opinione espressa da Valaguzza è condivisa, se ben s’intende, da A. MARRA, La razionalizzazione delle società partecipate dagli enti locali dopo la legge di stabilità 2015, cit., 308.

(417) Così A. CARULLO, L’attuale necessità di una corretta distinzione tra appalti pubblici di servizi e concessioni di servizio pubblico. Un intricato percorso a tappe: dall’irrilevanza della gara, all’affermazione di un differente partenariato pubblico-privato, e la consapevolezza di un’occasione perduta, in Riv. trim. app., 2014, 4, 701 e ss., qui 725-726. Il differente trattamento riservato dal legislatore alle società di gestione dei servizi pubblici rispetto alle società strumentali è sottolineato, tra gli altri, da F. LUCIANI, “Pubblico” e “privato” nella gestione dei servizi economici locali in forma societaria, cit., passim. Per un quadro aggiornato sulle società strumentali, anche alla luce del Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, si rinvia a G. SCIULLO, A proposito di società pubbliche strumentali, in G. SALA e G. SCIULLO (a cura di), Procedimento e servizi pubblici nel diritto amministrativo in trasformazione, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2017, 169 e ss.

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Il peso della “determinante finanziaria” (

419

), in effetti, è tutt’altro che

secondario. A dispetto dei numerosi riferimenti alla tutela del mercato e della

concorrenza (

420

), la dottrina ha riconosciuto, al fondo della legislazione nazionale

riguardante le società pubbliche, “una decisa ratio … costituita dal risparmio di spesa

pubblica” (

421

). Esigenza, quest’ultima, certo non nuova nel nostro ordinamento (

422

),

(419) Riprendendo volutamente qui l’espressione di A. DE SIANO, Configurazione dell’interesse pubblico e determinante finanziaria, I. Gli effetti della introduzione dei primi tratti di federalismo fiscale sul sistema autonomistico-territoriale nella legislazione finanziaria 1999-2008, Giappichelli, Torino, 2008, passim.

(420) Concorrenza sulla cui “portata” si registrano, peraltro, opinioni assai discordanti. Limitandoci al dibattito tra giuristi, nota è la differenza di vedute tra M. LIBERTINI, voce Concorrenza, in Enc. dir., Ann. III, Giuffrè, Milano, 2010, 191 e ss., e F. TRIMARCHI BANFI, Il «principio di concorrenza»: proprietà e fondamento, in Dir. amm., 2013, 1, 15 e ss. Il primo individua la concorrenza come bene giuridico tutelato il cui significato normativo va colto nel concetto economico di concorrenza e, segnatamente, di economia sociale di mercato, secondo quanto previsto dall’ordinamento dell’Unione europea. Per Libertini, insomma, il “principio di concorrenza” è un principio in senso proprio, ossia norma giuridica, e le disposizioni nazionali di diritto derivato ne sono attuazione. La seconda, viceversa, da una lato ritiene che il richiamo (compiuto dall’art. 120 TFUE) ai principi di un’economia aperta e in libera concorrenza non abbia valore normativo, in quanto la parola “principi” non assume qui il significato di norma giuridica; dall’altro lato reputa che le norme poste dal diritto derivato non siano utili per ricavare principi di carattere generale. In definitiva, secondo Trimarchi Banfi “il diritto europeo non pone […] regole generali riguardo alla conformazione dei mercati” (F. TRIMARCHI BANFI, Il «principio di concorrenza», cit., 37). Sul tema si veda, da ultimo, il tentativo effettuato da B. SPAMPINATO, Contributo allo studio del principio di “promozione” della concorrenza nel diritto amministrativo, Giappichelli, Torino, 2018, passim, di declinare il “principio di concorrenza” nel suo risvolto “promozionale”: quello, cioè, riguardante le misure pro-concorrenziali (i.e. volte a incrementare l’assetto concorrenziale del mercato), prime fra tutte le misure di liberalizzazione delle attività economiche.

(421) Così A. CAPRARA, Impresa pubblica e società a partecipazione pubblica, cit. 257. Come notato da F. FRACCHIA, L’amministrazione come ostacolo, cit., 375-376, se per un verso “il legislatore sembra presupporre che l’impresa pubblica costituisca un intralcio per il libero gioco della concorrenza”, per l’altro “si può fondatamente discutere che la presenza – in sé considerata – di società pubbliche leda unicamente il valore della concorrenza, almeno di quella ricavabile dall’ordinamento europeo. Ciò dipende, infatti, dal tipo di attività svolta, dal contesto e dalle modalità attraverso cui la società ha ricevuto affidamenti dalle amministrazioni. Molto più probabilmente, il legislatore ritiene che la proliferazione di società possa incidere sul buon uso delle risorse pubbliche”. Coglie nel segno, dunque, l’osservazione di G. COLOMBINI, Notazioni in margine del processo di costituzionalizzazione della nozione finanziaria di amministrazione pubblica, cit., 84, per la quale nel campo delle società pubbliche “la tutela dell’interesse finanziario pubblico è divenuta, in sostanza, l’obiettivo prioritario”. Hanno enfatizzato il peso della “determinante finanziaria” nella recente legislazione in tema di società pubbliche, tra gli altri, E. TRENTI, La disciplina delle società regionali fra “statuto speciale” ed esigenze di contenimento della spesa, cit., 229; A. MAZZONI, Limiti legali alle partecipazioni societarie di enti pubblici e obblighi correlati di dismissione: misure contingenti o scelta di sistema?, cit., 71-72; S. MAROTTA, La spending review nei servizi pubblici locali: necessità di razionalizzare, volontà di privatizzare, in Munus, 2014, 2, 261 e ss.; R. URSI, Società ad evidenza pubblica. La governance delle imprese partecipate da Regioni ed Enti locali, cit., 27, 50 e ss.; ID., Il governo del gruppo pubblico locale al tempo della spending review, in Munus, 2014, 3, 415 e ss.

(422) Già con riguardo alle privatizzazioni dei primi anni Novanta molti Autori attribuiscono un ruolo decisivo alle esigenze di risanamento della finanza pubblica: così, ad es., M. RENNA, Le società per azioni in mano pubblica, cit., 49 e 61. Dello stesso avviso R. URSI, Le stagioni dell’efficienza. I paradigmi giuridici della buona amministrazione, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2016, 262, il quale senza infingimenti afferma che in Italia le privatizzazioni (sostanziali) “non sono connotate da un

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ma che di recente si è acuita per effetto della crisi globale scoppiata sul finire del

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