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La rozza visione dello stato delle anime dopo la morte, di cui abbiamo veduto frequenti esempi nel medio evo, fu dal maraviglioso ingegno di Dante re­ cata alle più sublimi altezze della poesia , sollevata ai più nobili intendimenti civili, morali e religiosi, e improntata del suggello della sua altissima mente.

Poco dopo la morte di Beatrice il poeta disposto da natura all’ astrazione de’ sensi, che spesso assu­ meva in lui la forma di estatico rapimento, ebbe una mirabile visione, nella quale vide cose che gli fecer proporre di non dire più di quella benedetta, infino a tanto che non potesse più degnamente trattare di lei. E , a voler convenientemente ritrarre ciò che avea contemplato in quell’ istante di estasi, nella fine della Vita Nuova e’ promise di prepararsi all’ opera con tutte le forze, sicché se piacere sarà di colui per cui tutte le cose vivono, che la mia vita duri per alquanti anni, spero dire di lei quello che mai non f u detto di alcuna. E quando ebbe finita la sua preparazione , cercando la forma acconcia a descriver fondo a tutto

l’ universo, gli si offerse spontanea la forma della vi­ sione, che non solo era propria del suo ingegno, ma aveva ancora, la efficacia degli esempi anteriori.

È infatti antichissima questa forma di visione : si trova nella letteratura orientale , nella greca , nella latina. Predominò nel medio evo: dapprima fu inspi­ ra ta dal sentimento religioso e dall’ irrequieto desi­ derio di scoprire i segreti della vita futura , di poi servi a fini politici ed anche alla satira. A’ tempi del poeta il pensiero contenuto in essa informava i rozzi Misteri che si rappresentavano nelle chiese, ne’chio- stri de’ monasteri , nelle piazze , e vedeasi ritratto nelle pitture delle cattedrali e de’ campisanti.

E questa è la forma della Divina Commedia; que­ sto è il pensiero dominante in essa. Con ciò non in­ tendiamo affermare che la tale o tal’altra leggenda sia sta ta 1’ esempio che si propose Dante, e quasi il ger­ me , onde poi' si svolse il saero poema ; nè vogliam dire che Dante, per apparecchiarsi al suo immortale lavoro, abbia studiato e tolto a modello la Visione di S. Paolo , il Viaggio di S. B ran d a n o, la Visione di Tundalo , il Purgatorio di S. Patrizio , la Visione di Alberieo ec. Ma è certo, che anche quando Dante che al portentoso ingegno univa una vasta dottrina e che d’ ogni cosa era studioso e conoscitore, igno­ rav a codeste visioni, attinse però alla coscienza po­ polare, di cui quelle scritture erano fedele espressio­ ne. È certo altresi che per opera di Dante la visione si trasformò interamente, ed ebbe quello che gli altri non potettero nè seppero darle, cioè le bellezze del- 1’ arte. Alle rozze concezioni de’ frati del medio evo, alle imposture de’ politici, alle grottesche invenzioni de’ giullari Dante seppe sostituire la vigorosa crea­ zione della fantasia poetica; e, dove prima non era se non una disordinata e incomposta congerie di fatti o paurosi o goffi, recò 1’ unità, 1’ o rd in e, 1’ euritmia, il m agistero dell’ arte, e l’ altezza di nobili intendimenti. Molti al certo prima di lui si erano provati a descri­ vere le pene dell’ Inferno e le gioie del Paradiso :

ma niuno ancora avea pensato di valersi di que’rozzi e greggi materiali per formarne una bellissima poe­ sia drammatica.

E veramente la Divina Commedia è una poesia drammatica. L’ indole di un componimento, come ab­ biamo veduto altrove, nasce dalla natura delle cose e dall’ aspetto onde si contemplano e rappresentano, non già dalla forma speciale scelta dal poeta a si­ gnificare il proprio concetto. Se alcuno infatti volesse, a cagion di esempio , ritesserci per mezzo di rac­ conti la tela delle tragedie di Eschilo e di Sofocle , forse crediamo che questa rappresentazione cesse­ rebbe perciò di essere dram m atica ? Pensiamo noi

che ne uscirebbe un poema epico ? N o , per fermo , dove non si voglia giudicare delle cose piuttosto dalla estrinseca apparenza che dall’ intimo e vero esser loro. Quando un componimento poetico , anche per modo espositivo, riferisce non un avvenimento come principio di un’epoca sociale, come origine di un popolo o di una nazione, siccome fa l’epica, ma un fatto guar­ dato nella sua finalità, nel nesso che ha col componi­ mento de’ nostri destini , chi non vede eh’ è un vero dramma?

Or se è così, se la essenza del poema drammatico è posta nella contemplazione e rappresentazione dello stato futuro delle anime; se uffizio di esso è di squar­ ciare , per dir cosi, il sensibile velame che asconde a’ nostri sguardi l’ intimo essere delle umane azioni e farcene vedere gli effetti ; ognun vede che non ci ha un dramma più vero , più ampio , e più efficace della Divina Commedia. E ssa ab b raccia, senza di­ stinzione di tempi o di confini geografici, di credenze e di civiltà, tutto quanto il genere umano. Gli uo­ mini di tutte le età Dante raccoglie in una comu­ nione sola di amore alla legge morale e di premio alla loro vita virtu o sa, ovvero gli accomuna in una punizione medesima. Tutti egli chiama al cospetto di un giudice eterno per rispondere delle loro azioni, e aspettarsi un pre'mio, una espiazione, una pena ir-

revocabile , secondo la bontà o malizia delle azioni loro, e secondo quella m isura di proporzione, in cui, secondo Dante, dimora la essenza del dritto.

Dante, adunque, è il cantore dell’ umanità consi­ derata nella ragione morale della sua v ita: e però elegge la forma di una peregrinazione pel mondo morale, e sceglie per guide de’ suoi passi Virgilio e Beatrice, la filosofia razionale e la Teologia, la pa­ rola dell’ umanità innanzi al Cristo, e il verbo dello stesso Cristo.

* Ma il carattere drammatico della Divina Commedia non solo si rivela nella natura dell’ argomento e del soggetto che vi si tra tta , ma ancora nell’ arte del poeta e nel modo eh’ egli ha tenuto nel trattarlo. Im­ perocché Dante , come dice il Fornari, ha la virtù di toglierci alle condizioni solite della vita mortale, per profondarci nell’ avvenire, facendoci vedere in esso a che riesca l’agitarsi degli uomini e della società. E tutte queste cose egli ci fa contemplare non solo nello spettacolo dell’ intero poema, o ne’ quadri particolari e nelle particolari descrizioni, ma in ogni verso , in ogni frase, e pressoché in ogni parola.

Dalle cose dette si vede la ragione, perchè il divino poema si disse Commedia. Esso m erita veramente que­ sto titolo, perchè ha molte attenenze colla commedia. P er fermo, a differenza della tragedia, esso ha un prin­ cipio aspro e rigido, cioè l’ Inferno , e indi riesce a un prosperevole fine , cioè al Paradiso : ha lo stile umile e dimesso, opposto al linguaggio alto e subli­ me della tragedia: è inoltre come la commedia una viva rappresentazione del costume degli uomini di tutte le classi , coll’ intento morale della emendazio­ ne de’comuni vizi, ed ha un carattere simile a quello della commedia aristofanesca , perchè vi predomina la satira morale e politica.

Cominciarono poi ad avere il titolo di divino, il poema colla edizione del Dolce del 1555, e il poeta nella e- dizione del 1581 col commento del Landino.

CAPO X.

Si continua della Divina Commedia

La Divina Commedia non solo è un dramma com­ piuto , ma può considerarsi ancora come la genesi delle arti e delle lettere moderne italiane, in quanto tutti i germi vi si trovan racchiusi e inizialmente» e- splicati. In essa Dante nella mirabile cosmografia che fa dell’ Inferno, del Purgatorio e del Paradiso e nelle svariate scene, che prende a ritrarre, mostrasi assai addentro nelle ragioni architettoniche. Ciò lo rese a s­ sai caro a Michelangelo che per l’ingegno e l’animo fu 1’ uomo che meglio lo comprese. E nella varia a r­ monia de’suoni che si attempera alla diversità de’pen- sieri e degli affetti, porgesi degno discepolo di Ca­ sella. E quando ritrae gli affetti nell’atteggiamento, nel moto, nell’abito corporeo, nel gesto ed anche nelle fattezze dei suoi personaggi, ora lavorando a giuoco di colori e di tinte, ora dando alle sue immagini il ri­ lievo, il risalto e il preciso dello scalpello, riesce mi­ rabile pittore e scultore (I).

Onde non è m araviglia, che Dante inspirò gli a r­ tisti italiani, come Omero inspirò il Giove Olimpico a Fidia e diffuse la verità e la vita per le opere del- l’ arte greca. Dalla inspirazione di lui dobbiamo ri­ conoscere i maràvigliosi affreschi di Giotto, che en­ trò innanzi a tutti i suoi contemporanei che segui­ vano ancora lo strano gusto della scuola bizantina. Alla efficacia esercitata dal divino poema tìebbonsi arrecare que’grandiosi drammi figurati sul monumento di Giovanni da Pisa, che sono il Trionfo della mor­ te, il Finale Giudizio e l’ Inferno dell’ O rg ag n a, del celebre dipintore del camposanto di P is a , del pre-

(1) Che D ante non fo sse estraneo alle arti del d ise g n o , si fa chiaro da ciò che si leg g e nella vita del p oeta scritta dal Bru­ ni e nella V ita N u o va , X X X V : D i su a m ano eg reg ia m en te d i ­

segnava;— diseg n a va , r ic o r d a n d o s i d i B e a tr ic e , tin angelo so­ p ra certe tavolette.

cursore di Michelangelo. Allo spirito di Dante s ’ in­ formò ancora quel giovane artista domenicano, quel- 1’ anima candida e ardente di celesti affetti , che fu il beato angelico , quando dipinse il final Giudizio nella Cattedrale di Orvieto. È lo stesso Leonardo- da Vinci non apprese da Dante il modo di ritrarre nel suo maraviglioso Cenacolo i vari affetti onde furono compresi gli apostoli all’ annunzio che loro diede il divino Redentore che sarebbe stato tradito?

Ma quelli che più degli altri ritrassero del divino poeta, si che diresti che l’anima di quel .grande siasi in essi trasfusa , furono Michelangelo e Raffaello. Secondo la varia tem pera del loro ingegno , 1’ u n o , colorendo i terrori e le tenebre dell’ abisso, s’inspirò nel cantore dell 'In fe r n o , e 1’ altro trasse la soavità dei colori e delle tinte dall’ autore del Paradiso, del Canzoniere e della Vita Nuova (1). Insomma, quanto v’ h a di bello, di leggiadro , di sublime , di grave , di maestoso nelle nostre a r t i , tutto dee considerarsi come un’ ispirazione della Divina Commedia , ed i più grandi ed eccellenti artisti son da tenersi come figliuoli ed eredi del gran Padre Alighieri.

Quanto alla alla letteratura poi, si vede assai chia­ ram ente che nella Divina Commedia si contengono i più belli esempi di tutti i generi di essa, cioè del poe­ tico, dello storico, dello scientifico e dell' oratorio. E rispetto alla poesia, sarebbe agevole il dimostrare , che, sebbene il divino poema appartenga alla specie drammatica, nondimeno anche le altre specie si tro­ vano nelle tre éantiche , come la lirica , y particolar-

(1) V ed i le principali pittu re e scolture isp ira te d alla D iv in a

C o m m e d ia n ti Ba t i n e s, Bibl. D an tesca, P rato, 1847, e nel Fe r-

r a z z i, M anuale D a n tesco , B a ssa n o 1865.

P arecchi artisti hanno an cora illustrato il sacro poem a. Mi­ ch elan gelo lo s to r iò tutto, com e allor si d iceva, m a le sue illu­ strazion i andaron perdute. F laxm an lo illustrò pure corretta- m ente. D elacroix, Scheffer e D orè ritrassero in tela alcuni de’ suoi trem endi quadri ; m a sem bra ch e lo S caram u zza con 1’ eletto ingegn o e col lavoro assiduo di 17 anni abbia su perato tu t t i, e reso intero il con cetto dan tesco.

mente nel Paradiso , e 1’ epica , massimamente in que’ luoghi, in cui si rappresentano i primi aneliti della risorgente vita italiana , e i moti scomposti e fie ri, ma eroici di un popolo giovane. Anzi non pure ogni specie vi si rattrov a, ma ancora ciascuna forma di essa. E di vero, nelle parti satiriche si avvicenda la potente bile di Giovenale colla fine, arguta, scherze­ vole ironia di Orazio ; ne’ tratti lirici tutti gli affètti si esprimono , dall’ osanna degli eletti trasum anati nella eterna luce di Dio , al lamento sulle civili di­ scordie d’ Italia, alla mestizia del navigante che nel- 1’ ora della sera torna col pensiero alla patria e a’cari lontani. F ra tutte le specie poetiche però prevalgono gli elementi epici. Imperocché nella Divina Comme­ dia è la rappresentazione della varia e procellosa vita del medio evo, di quel grande e confuso periodo di contrasti e rinnovamenti, il quale ben può dirsi l'età eroica de’ nuovi tempi che seguì alla caduta della ci­ viltà pagana ; vasta e multiforme rappresentazione , che si annoda a un fatto mirabilissimo , il viaggio

del poeta ne’ tre mondi di là.

E pure in mezzo a tanta varietà non si scorge nes­ suna confusione, perocché la eccellenza squisita de’par- ticolari vi pareggia l’armonia del tutto; in tanto che si può dire dell’Alighieri ciò che si affermò della na­ tura, la quale è così mirabile nelle singole parti, come nel loro complesso.

Dopo le cose discorse innanzi non è maraviglia, se essendo la poesia dantesca multiforme e ricchissima, da essa sia uscita tutta la letteratura moderna, come da’ poemi omerici la greca. Ciascuno de’ valorosi che in Dante s’inspirarono,, tolse, come osserva il Gioberti, ad imitare e .ad esprimere una parte dell’ingegno di lui. Così il Vannetti,il Cesari, il Perticari, volsero l’animo alla mirabile lingua delle tre cantiche; il Vico alla filo­ sofia, Gasparo Gozzi al buon giudizio, il Giordani allo stile, il Parini alla severità morale de’ pensieri e de­ gli affetti; TAlfieri, il Foscolo, il Leopardi, il M ar­ chetti all’ idea politica e alla carità patria, il Troya,

il Balbo ed altri ancora alle attenenze con la storia nazionale , il Manzoni alla idea religiosa che pura risplende nel divino poema ec.

Dalle quali cose procedette che gli studi danteschi ebbero in Italia una fortuna medesima colla coltura letteraria e civile della nazione. Ogni volta che le forze della nazione parvero impigrire e la letteratura deca­ dere , Dante giacque negletto o franteso; al contrario il ridestarsi della coscienza nazionale fu un ritorno a Dante. N e’ primi anni del Trecento la Divina Com­ media era popolare in Italia. Non pure le donne di Verona s ’ ammiravano di Dante, m’ ancora gli uma­ nisti di Bologna. E quand’anche debba aversi in conto di favolosa tradizione ciò che n arrasi (F . Sacchetti, Novelle CXV e CXVI ) del fabbro di porta S. Pietro, che battendo il ferro su la ’ncudine cantava il Dante come si canta uno cantare e tramestava i versi appic­ cando e smozzicando, e dell’asinaio che, quando aoea cantato un pezzo, toecava V asino, e diceva arri ; an­ che quando, ripeto, tutto ciò debbasi avere per favolosa tradizione; non può negarsi che la tradizione non s’in­ venta di p ia n ta , e riposa sempre sopra un fonda­ mento di vero. Qual romanziere scriverebbe oggi che

un fabbro o un vetturale in mezzo all’opera loro canta­ no i versi del Foscolo e del Leopardi? Certo è che poco tempo dipoi grande fu 1’ affetto, col quale nelle chie­ se, e non soltanto nella natia Firenze, ma a Pisa, a Bologna, a Piacenza, il popolo pendeva dalle labbra del Boccaccio, di Francesco da B u ti, di Benvenuto da Imola, e di altri che furono intesi a spiegar Dante. Ma c a d u ta la libertà de’comuni e soverchianti ornai le signorie, il vigore e la originalità del pensiero cedet­ tero il luogo alla erudizione grecolatina; e la Divina Commedia non parve altro che un repertorio di eru­ dizione. Vennero poi le vuotaggini eleganti del cin­ quecento, vennero le stranezze, le bizzarrie e le am ­ pollosità del seicento e le svenevolezze dell’Arcadia, e il culto di Dante decadde, e il gesuita Bettinelli e la petulante mediocrità de’ begli spiriti insorsero a di­

spregiare la Divina Commedia. Quando poi si miglio­ rarono le .condizioni civili degl’ ita lia n i, e si ritem­ prarono i loro animi, tornò il regno di Dante; e Goz­ zi, Parini, Alfieri, inspirandosi in lui, riuscirono a rin­ vigorire e a rialzare non solo le lettere, ma ancora gli animi. Ed ora non ultimo auspicio dell’ età che corre, è.lo zelo delle ricerche, delle edizioni e della letteratura dantesca. (1)

CAPO XI.

Forma dell' Inferno Dantesco.

Perpendicolarmente sotto Gerusalemme , che era creduta il centro del nostro emisfero, vaneggia l’in­ ferno di Dante che è un cono vuoto, rovesciato , in

forma d’ imb'uto, avente la bocca che è la base del

cono verso la superficie e la punta nel centro della terra, sicché tutto si spazia sotterra, ma a cielo a - perto. In nove ripiani circolari, oltre al vestibolo, è diviso l’ inferno, sopra i quali stanno le anime de’dan- nati; e sono questi ripiani concentrici, discendenti e via via minuenti fino al centro del nostro globo, oc­ cupato da Belzebù. Immagina poi Dante che il giro de’ cerchi infernali sempre più si vada restringendo secondo la gravità della colpa in essi punita ; la quale non pure è m isurata dal danno di che è ca­

gione al civile consorzio, ma ancora dalla malignità del colpevole.

Per una porta, sul cui sommo si legge una spa­ ventosa iscrizione, entrati Dante e Virgilio nell’ In­ ferno si trovano nel suo caliginoso vestibolo , che è una spaziosa campagna. In esso sono puniti gl’igna­ vi che non furon nel mondo mai vivi. Queste anime associate agli angeli che nella ribellione di Lucifero,

(1) Il Cinquecento ebbe 40 edizioni- di D an te : il S eicen to n’eb­ be tre sole : il seco l n ostro più di cento.

...non furon ribelli, N è fur fedeli a D io, m a per sè foro,

corrono velocissime dietro un’ insegna senza nome , punte da mosconi e da vespe. Il sangue che riga per tali punture il lor volto, cade mischiato di la g rim e , e da fastidiosi vermi è a ’ lor piedi raccolto.

È nel vestibolo infernale, il fiume ach ero n te, per dove il navalestro Caronte tragitta le anime alla riva opposta. Ma Dante che non era condannato all’ in­ ferno, non entra nella barca di Caronte , m a è por­ tato all’ altra riva da una forza superna, mentre trem a forte la terra, e balena una luce vermiglia. Vinto da questa improvvisa apparizione ciascun suo sentimento, cade come 1’ uom cui sonno piglia ; e poi, ridestato da un greve tuono, si trova in sulla proda della valle dolorosa dell’ abisso infernale, cioè nel Limbo.

Quivi, second o ch e per ascoltare. N on avea p ian to, m a che di sospiri, Che 1’ aura eterna facevan trem are. E ciò avvenia di duol sen za m artiri,

Ch’avean le turbe, ch ’eran m olte e grandi, E d’ infanti e di fem m ine e di viri.

Sono tutti quelli che ebber difetto di fede : sono i bambini che perirono innanzi che venisse da loro cancellata, mercè del battesimo, la comune colpa di origine : sono le anime de’ grandi antichi che, seb­ bene secondo ragione e virtuosamente vivessero, non­ dimeno , perchè non furon rigenerati dal battesimo, sono esclusi dal paradiso.

E qui, innanzi di proceder o ltre , fa mestieri , av­ vertire che Dante divide in tre classi i suoi condan­ nati nell’ Inferno ; in quelli che furono incontinenti , in quelli che furon maliziosi , e in quelli che furon bestiali. Gl’ incontinenti sono i carnali , i go lo si, gli avari, i prodighi, gl’ iracondi. Costoro, perchè la loro colpa ha minore reità, ed offende meno Dio, e minor biasimo accatta , sono puniti in quattro cerchi fuori della città di Dite , che è un recinto di m ura , che rinchiude tutto il rimanente dell’ inferno , e dove in

quattro a ltri cerc h i so ste n g o n o lo r p e n a i m aliziosi e i bestiali.

U sciti D ante e V irgilio del prim o discendono n e l secondo cerchio, su ll’ in g re sso del q u a le tro v a si M i- nos, giudice in eso rab ile d e’ p eccato ri. D inanzi a lui pertanto rista n n o a d u n a a d u n a le anim e, c o s tr e tte a confessare i loro falli; egli d e stin a loro il g a stig o , girando la co d a in to rn o a l v e n tre , q u an tu n q u e g ra d i

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