P ARTE T ERZA
A DOLFO DE B ERTOLINI Ordine degli Avvocati di Trento
Mi trovo in una posizione di imbarazzo, poiché il tema assegnato a questa tavola rotonda — “Terzietà e separazione delle carriere” — è molto circoscritto ed è difficile resistere, non lasciandosi trascinare da quanto detto dal dott. Nordio e dal Presidente Palestra (che risolve il problema della terzietà, del giusto processo e della separazione delle carriere dicendo che è pleonastico parlarne: sarei d’accordo, se il processo fosse giusto e la terzietà garantita. Questo pareva vero, ma non è così).
Bisognerebbe parlarne per imparare, soprattutto in questa sede (a questo proposito, il Consiglio dell’Ordine di Trento ringrazia per l’invito ricevuto) ove si abbandonano le polemiche e ci si scambiamo le idee. Debbo però tornare al mio tema: è bello parlare di terzietà oggi, momento in cui noi avvocati, e voi PM e giudici, viviamo una crisi spaventosa. Il tema lo propongo attraverso passaggi molto lineari, essendo convinto che la linearità dell’esposizione vada recuperata anche in campo giuridico, poiché stiamo arrivando ad un punto in cui non ci capiamo più, né capiamo le leggi o i libri che leggiamo.
Il primo passaggio è dunque questo: la giurisdizione penale si è collocata, pare stabilmente, come punto centrale e fulcro dell’organizzazione istituzionale dello Stato. Una tendenza che, per alcuni autori, negli Stati democratici moderni finirà per accentuarsi, e conseguentemente (in parallelo, non in contrapposizione) si svilupperanno soluzioni a carattere stragiudiziale, dal momento che così tanto penale non se ne può più fare, come pare evidente.
ADOLFO DE BERTOLINI
Secondo passaggio: non c’è dubbio che il processo è il fulcro della giurisdizione, in particolare di quella penale: esso può essere strumento dell’affermazione della democrazia o dell’anti-democrazia, insomma della tendenza democratica del Paese, soprattutto nella condizione attuale. La giurisdizione può modificare l’economia, le istituzioni: “Tangentopoli” è niente se paragonata a vicende accadute in Paesi di ben altro spessore, dove lo Stato stesso è messo sotto processo.
Terzo passaggio: la terzietà del giudice, che è un principio naturale. Il Codice Etico della Magistratura ha un articolo 8 in cui si legge che il magistrato garantisce e difende l’indipendenza e l’esercizio delle proprie funzioni e mantiene un’immagine di imparzialità ed indipendenza. Ed un articolo 12 in cui si stabilisce che il giudice garantisce alle parti la possibilità di svolgere pienamente il proprio ruolo. Tale principio è scritto in tutte le Carte Costituzionali e in tutte le aule (anche se le lettere cadono): che la giustizia sia “uguale per tutti” è esito dell’imparzialità. Altro che pleonasma!
Vale la pena di discutere attorno a queste idee, in cui crediamo, ed è per questo che ringraziamo ancora una volta la Facoltà di Giurisprudenza ed il Dipartimento di Scienze Giuridiche.
Si diceva: se il processo è il fulcro della democrazia e il giudice è fulcro del processo, allora il giudice è fulcro della democrazia. Se la giurisdizione è il fulcro del potere dello Stato, e il processo è il fulcro della giurisdizione, allora la terzietà del giudice si dà come fulcro di tutto. È straordinariamente importante che se ne parli, e non è un caso che se ne parli ora e non se ne potesse parlare qualche anno fa, e che lo possa fare un avvocato in modo neutrale e non come “avvocato di” (visione degradante di questo mestiere in cui si crede). E allora: se questa terzietà del giudice è uno dei momenti fondamentali della vita dello Stato, la contiguità delle scrivanie, le porte vicine nei corridoi, addirittura attaccate (è vero che ci passiamo anche noi davanti, ma dobbiamo bussare quando troviamo qualcuno), sono o no un momento di rischio,
DISCUSSIONE
135 in termini di possibilità di inquinamento di ciò che abbiamo visto essere uno dei momenti cardine della democraticità del Paese? Io sono sicuro che lo è: ciascuno di noi si è fatto le sue esperienze anni fa, quando l’intervento del GIP sulle misure cautelari non c’era. E quando alzavamo la testa eravamo gli “avvocati pagati”. Non si fanno polemiche, ma se questo è un luogo di libertà, di formazione della cultura, se qui ci sono degli studenti, queste cose vanno dette. In determinati momenti, dov’erano i GIP? E allora mi chiedo: se la terzietà è uno dei valori-guida della democrazia, è un elemento di rischio la contiguità col PM? Io forse non ho più la capacità critica sufficiente, poiché il lavoro mi ha bruciato parte del cervello, e probabilmente sbaglio. Questo, dialetticamente, va messo in conto. E qui [come avvocati] siamo anche in troppi. Ma anche se così non fosse, nessuno può escludere che esso è un elemento di rischio: e, seppure in astratto, lo si può mettere in conto? Con l’avv. Bertuol si diceva che la separazione delle carriere, pur essendo un valore relativo e non assoluto (sarà imparziale il giudice una volta separate le carriere?), si impone. Nessuno di noi potrà pretendere che l’uomo giudice sia imparziale: questo è molto difficile, poiché bisogna prima di tutto liberarsi da se stessi e, se si è fatto il PM, dell’anima inquisitoria che si ha dentro di sé, del pregiudizio, che è un meccanismo immediato.
Io non pretenderò questo, se il vizio del giudice è vizio dell’uomo; ma pretendo la separazione se il momento storico lo impone.
Mi scuso se sono andato per le lunghe, vi ringrazio, ma era molto bello quello che ho sentito.
RENATO BALLARDINI