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3.1 - L’emergenza di un ambito disciplinare

Frequentemente, nelle varie introduzioni di articoli o volumi riguardanti la sociologia dell’abitazione con specifico riferimento alla casa, si riscontra quella affermazione che sottolinea il “rinnovato” interesse per la casa come oggetto di indagine. La ricorsività con cui ciò viene dichiarato evidenzia come tale interesse non sia affatto nuovo ma abbia una continuità, una sistematicità concettuale e terminologica. Ciò che invece appare davvero nuovo non è il tema di interesse scientifico ma la riflessione sul sistema di osservazione rispetto a quel tema. La casa non può più essere vista solamente secondo la lente di una specifica disciplina, ma deve essere contemplata secondo un carattere interdisciplinare (Mallett 2004). Ciò che c’è di nuovo è la consapevolezza dell’aspetto multidisciplinare che l’oggetto “casa” comporta in sede analitica ed empirica. Come è evidente, la casa, intesa come ambito privilegiato dell’abitare umano, è il fulcro di interesse di molte discipline, ognuna con una propria specificità di concetti, termini, metodi di indagine, obiettivi. Già nel 1987 Amendola e Tosi nella introduzione ad un numero di sociologia e ricerca sociale, dedicato esclusivamente alle questioni abitative, utilizzavano il termine di “crocevia disciplinare”, sottolineando con l’espressione la pluralità disciplinare che opera in questo ambito. Per esempio, l’economia pensa la casa in termini prevalentemente monetari come l’oggetto di un mercato; la statistica e la demografia si interessano principalmente delle relazioni fra popolazione e abitazioni rispetto alla loro distribuzione sul territorio, alle tipologie costruttive ecc..; le scienze psicologiche e antropologiche si orientano maggiormente su quanto avviene nello scambio emotivo, simbolico e di senso fra i singoli e l’abitazione. A questo elenco si potrebbero aggiungere altri ambiti disciplinari e andare avanti ancora a lungo. Una rigida separazione disciplinare non può più essere funzionale ad una società che si sta abituando a leggere i fatti sociali nella loro complessità (specie nel caso in cui alla analisi teorica ed empirica devono seguire interventi concreti), né si può assumere che una singola disciplina possa maturare competenze trasversali tanto estese quanto approfondite. La soluzione da perseguire sta nella porosità dei confini disciplinari e nella reciproca contaminazione. Affinché ciò sia possibile, i sistemi di

78 osservazione – di ogni disciplina – devono incorporare una ricca dose riflessività con cui pensare sé stessi, le proprie modalità di pensiero, di intervento e di ricongiungere questi agli esiti degli interventi. Anche la sociologia, se vuole assumere un assetto epistemologicamente fondato, deve farsi fortemente riflessiva e considerare le proprie impostazioni partendo dalla configurazione dei fatti sociali sempre più articolati al loro interno e connessi reticolarmente ad altri.

La dimensione del sociale diventa allora di primaria importanza nello stabilire in che modo osservare il fatto sociale casa. Ciò non significa affatto che la sociologia – in quanto disciplina principale nello studio del sociale – debba trasformarsi in una inter- disciplina, in qualcosa in cui tutto confluisce indistintamente, portando il sociologo a diventare un “tuttologo” con conoscenze diffuse in molti campi ma con scarsa capacità di approfondimento e specificità. Significa che la sociologia deve mantenere un’autonomia disciplinare. Resta da chiedersi allora quale sia la specificità sociologica rispetto alla casa. In che modo la casa può essere oggetto di ricerca specificatamente sociologica?

Non è semplice rispondere a tale quesiti per almeno due motivi. Il primo deriva dal fatto che la sociologia è necessariamente una disciplina storica e culturale ossia è completamente immersa nella società in cui viene elaborata, utilizza lo stesso linguaggio, gli schemi di pensiero ed il sistema di valori prevalenti di quella società. Per lo stesso motivo condivide necessariamente spazi ermeneutici di altre discipline. In questo la sua specificità è allora sempre e necessariamente relativa. Il secondo aspetto deriva dal fatto che la ricerca e l’analisi sociologica, non avendo sviluppato finora una intensa elaborazione rispetto alla casa, come fatto sociale, non ha costruito riferimenti teorici ed empirici, come è invece avvenuto per la sociologia urbana. In un certo senso è “orfana” di un pensiero forte, di tradizioni consolidate e di modalità di indagine robuste che le permettano di affrontare il tema con un certo grado di autonomia rispetto ad altre discipline. In questo senso la sua specificità è potenziale o in divenire. Ed è proprio a causa di questo contemporaneo processo di costruzione disciplinare (la sociologia dell’abitare) che il tema casa rappresenta una novità.

La proposta che guida questo lavoro, è quella di pensare la casa non come un oggetto ma come una relazione, anzi come una sistema di relazioni intrecciate, scindibili solo analiticamente. Tale proposta deriva dall’impostazione teoretica sviluppata con la

79 sociologia relazionale (Donati 2009) in cui l’oggetto specifico della sociologia è la relazione. Secondo il nostro parere, il cambiamento di paradigma che pone l’abitazione da oggetto a relazione (escludendo il processo inverso: la relazione diventa un oggetto) può condurre gli studi abitativi a nuove frontiere da esplorare. La casa infatti non è solo un sostantivo ma un verbo – è una condizione che si abita – e per il fatto di essere tale rimanda ad una fitta rete di relazioni.

Non sono mancati autori – vedremo – che hanno sviluppato una acuta riflessione sul carattere interdisciplinare dell’abitare, tracciando dei percorsi agevoli e costruendo riferimenti imprescindibili nella letteratura ma, in molti casi hanno “ridotto” il loro lavoro a operazioni di classificazione. Il loro limite sta nel fatto che le categorie indicate rischiano di esaurirsi nella concettualizzazione terminologica, rinunciando al carattere dinamico ed emergente dell’abitare.

3.2 - La complessità semantica della casa

Emma Corigliano sottolinea la difficoltà di cogliere un significato univoco del termine “casa” per la ricchezza polisemica ed evidenzia la separazione concettuale esistente fra

Home e House. Una separazione riconosciuta nei paesi di lingua anglofona ma che non

ha un corrispettivo nella lingua italiana. Poteremmo azzardare con la distinzione casa/abitazione ma anche in questo caso la copertura semantica non è definitiva coma con l’inglese. Home è quel termine che pensando la casa rimanda ai significati psicologici e culturali. House è lo spazio significativo della struttura fisica. È nostro interesse utilizzare – nel corso del lavoro – una concezione che non veda i due termini come separati e rigidamente definiti, ma li colga nelle loro continue relazioni. Home e

House non sono, sociologicamente, possibili se non in relazione. Solo accettando la

dimensione fisico strutturale della casa come interattiva con la dimensione simbolico affettiva, possiamo cogliere pienamente l’abitare come fatto sociale totale. La difficoltà di pensare una unità deriva dal fatto di mischiare due piani di realtà (almeno due) molto differenti fra loro. La realtà fisica è auto evidente, quella profonda, simbolica, affettiva è invece impalpabile. Secondo Gurney la casa è un costrutto “ideologico” creato da esperienze cariche emotivamente nel luogo in cui le persone vivono (cit. in Sommerville 1992) mentre per Karjalainen «l’abitazione è un oggetto materiale, ma la casa è una relazione … la casa è una relazione significativa, fondata emotivamente, fra abitanti e

80 luogo di abitazione» (1993, 71). Così, il significato diventa impalpabile al punto che per alcuni (Case 1996) è possibile rilevarne il senso più pieno solo attraverso al sua assenza. La casa diventa – secondo questi – qualcosa di cui ci accorgiamo solo quando ne siamo lontani o quando, paradossalmente, è materialmente assente.

Non è un caso allora che la sociologia – lo sottolinea la stessa Corigliano – si sia interessa prevalentemente al rapporto cittadino/città e alle dinamiche della urbanità, sorvolando invece sulle relazioni profonde che ogni individuo instaura con la propria abitazione. Le cause di tale prevalenza vanno ricercate in diversi fattori e non sono da escludere quelle per cui – specie nelle ricerche con un orientamento metodologico prevalentemente statistico – l’abitazione rappresenta una unità identificabile, quindi un costrutto di caratteristiche più facilmente operazionalizzabili e “misurabili” rispetto alla più complessa rilevazione delle declinazione di home. Questa è invece una esperienza intangibile, sfuggevole che radica nell’atteggiamento atavico di appropriazione che l’uomo agisce sull’ambiente. «Home si riconferma così area di significato complessa, che la ragione da sola è incapace di spiegare e coprire» (idem, 38). Il significato profondo di home è in quel processo attraverso il quale incorporiamo il mondo nella costruzione della nostra identità. È un processo di comprensione da una parte e di espressione dall’altra. Quel processo per cui Heideggersostiene che «costruire, abitare e pensare» sono operazioni che giacciono su uno stesso piano esperienziale, poiché rimandano alla modalità specifica con cui l’uomo è. Con cui l’uomo è sulla terra.

«Abitare e costruire stanno fra loro nella relazione del fine al mezzo. Ma finché noi vediamo la cosa entro i limiti di questa prospettiva, assumiamo l’abitare e il costruire come due attività separate, e in questo c'è senz'altro qualcosa di giusto. Tuttavia, attraverso lo schema fine mezzo noi nello stesso tempo ci precludiamo l'accesso ai rapporti essenziali. Il costruire, cioè, non è soltanto mezzo e cioè per l'abitare, il costruire è già in se stesso un abitare» (Heidegger 1991, 96-97).

L’appropriazione non coincide immediatamente con il possesso fisico, ed ancor meno con la proprietà poiché è fatta della immaterialità che passa nella attribuzione e derivazione di senso. Così “non ci appropriamo solo di uno spazio o di una cosa ma di certi significati che si stabiliscono in relazione ad essa” (Corigliano, 27). La casa è luogo ed esperienza specifica dell’abitare umano. Cogliere il suo significato più profondo, in un certo senso è sfidare la realtà più intima e remota dell’essere al mondo.

81 Ma, tornando alla domanda di partenza, qual è il significato della casa a cui più possiamo tendere entro un orientamento sociologico?

La dimensione spazio temporale è il primo e sistematico criterio di definizione dei significati della casa che ingloba al suo interno una pluralità di declinazioni. Non è un significato in sé, ma uno strumento che ci permette di avanzare nella sistematizzazione speculativa e facilitare la costruzione di indicatori nella ricerca empirica.

Per Mary Douglas uno spazio, per essere casa, deve essere «sotto controllo». Non sono rilevanti le caratteristiche quali la fissità e le dimensioni dello spazio, né i materiali impiegati per la costruzione, non la felicità che in essa si può esprimere. Anche un caravan, una barca o una tenda – dice l’antropologa – possono essere una casa. Ciò che fa di un luogo una casa è qualcosa che ha una valenza regolativa dello spazio nel tempo. È la memoria istituzionalizzata, cioè codificata nello spazio, che definisce la prevedibilità degli eventi. Ne sono un classico esempio le provviste e le scorte in scaffali e credenze. L’operazione con cui immagazziniamo cibi o prodotti implica la capacità di pianificare, collocare, stabilire le variabili del tempo (scadenze) in funzione di quelle dello spazio (avanti/dietro; sopra/sotto). Per tali esigenze, lo spazio viene differenziato, parcellizzato, finalizzato. La casa è il luogo della organizzazione spazio temporale per antonomasia.

«La capacità della casa di allocare spazio, tempo e risorse nel luogo termine è una legittima questione per stupirsi. Non siamo sorpresi se l’armadio è spesso vuoto; dovremmo sorprenderci se spesso contiene una straordinaria varietà di cose che saranno utilizzate negli anni, etichettati mentalmente per tipi differenti di eventi attesi. Più sorprendentemente, vengono sistemati in modo da essere trovati al tempo giusto. I più preziosi devono essere utilizzati nelle grandi occasioni, sono più sicuri sugli scaffali più alti e fuori dalla portata di un utilizzo frequente, mentre gli oggetti della quotidianità più resistenti ed economici sono a portata di mano. Lo spazio delle provviste offre un altro promemoria per la totalità della vita all’interno della casa» (idem, 20).

Anche nelle relazioni fra persone, la “sincronia” (coincidenza spazio tempo appunto) è la modalità regolativa dei rapporti che, per questo, riduce le possibilità di manifestazioni conflittuali. Nella quotidianità essa si presenta in innumerevoli modi, spesso poco evidenti alla semplice osservazione. È il caso per esempio del consumo dei pasti. Un momento in cui i posti assegnati, la ritualità della distribuzione del cibo, la quasi contemporaneità con cui si impugnano le posate, diventano regolativi dei rapporti sociali. In tali occasioni si ribadiscono continuamente i ruoli e le posizioni sociali dei membri del gruppo. La cerimonia del pranzo inizia appena tutti sono seduti al loro posto,

82 talvolta introdotta da un atto di auspicio o di ringraziamento (un brindisi, una piccola preghiera, farsi il segno della croce, o augurarsi “buon appetito”). Anche le pietanze hanno una scansione temporale e lemmi ordinativi (c’è un primo, un secondo ecc..) che tutti sono tenuti a rispettare. Infine, l’operazione si chiude rendendo visibili determinati comportamenti. Si lascia il posto a tavola solo quando tutti hanno finito di mangiare. Qualcuno poi comincia a sparecchiare, lavare piatti, bicchieri e tegami, passare la scopa. Con questi atti si ripristina un ordine precedente cancellando i segni dell’organico presente sul tavolo, sulle stoviglie o sul pavimento. Proprio perché la cucina, intesa come luogo in cui preparare e consumare i pasti, si configura come spazio in cui si ridefiniscono continuamente i confini di puro ed impuro, il suo accesso è riservato ai membri familiari o in casi particolare ai parenti o alle amicizie più intime, appunto. Quelle a cui possiamo svelare – senza provarealcun senso di vergogna – un certo grado di disordine (Douglas 1975). Inoltre, i momenti in cui si consumano i pasti sono quelli che mostrano un maggior grado di socializzazione poiché in essi si esprime una forma di addomesticazione della violenza simbolica. Come sostiene Elias Canetti(1972) la condivisione dei pasti è il momento in cui – mostrando i denti – si socializza la propria aggressività e ci si rende vicendevolmente rassicuranti. Probabilmente non è un caso se in molti recenti progetti di cohousing si ponga una forte enfasi sulla capacità della cucina – che è frequentemente lo spazio condiviso – di essere un luogo determinante per la socializzazione fra cohouser. Socializzazione – aggiungiamo – il cui esito non è in alcun modo prevedibile né pianificabile9.

Restando ai criteri ordinativi degli spazi, Douglas prende come riferimento ulteriore il bagno, che è il luogo di maggiore separazione fra singolo e gruppo, di minore controllo del corpo e di esasperazione del confine fra puro ed impuro. Qui si ha la necessità di differenziare lo spazio/tempo, in termini individuali, in forma ancora più decisa. Se la cucina mantiene un grado di tolleranza esteso ai membri familiari, il bagno è uno spazio esclusivamente personale proprio in riferimento al grado di accettazione della contrapposizione di ciò che è ritenuto puro rispetto a quanto ci sia di impuro del corpo. Il bagno è il luogo in cui si pone la maggiore enfasi sull’igiene: gli strumenti preposti a questo si chiamano non a caso sanitari. È lo spazio in cui ciò che di impuro si possa produrre all’interno della propria abitazione deve essere soggetto a rimozione con

9 Francesco Chiodelli per esempio evidenzia la radice comune fra le pratiche di cohousing e le gated

83 saponi, profumi, deodoranti, detersivi ma, soprattutto con l’acqua, simbolo universale di purificazione. La rotazione per l’accesso a questa stanza diventa la pratica regolativa contro la “monopolizzazione” dei singoli e ne esclude contemporaneamente l’uso collettivo. Tale espediente ci risulta ovvio, perché acquisito socialmente attraverso un sistema di obblighi e scelte interiorizzate culturalmente, ma è una dinamica fondamentale con cui si garantisce la salvaguardia delle relazioni intra-familiari. Questa riduce i conflitti e le tensioni individuali e di gruppo date dalle limitazioni contingenti degli spazi fisici.

La coincidenza spazio temporale, che si esprime nella casa, non si gioca solo nel dettaglio dei singoli spazi differenziati funzionalmente. La casa è coincidenza spazio temporale in senso più ampio. La casa è entità che supporta la quotidianità e la biografia dei singoli e delle famiglie. «Home è “rassicurante” innanzitutto perché essa costituisce il contenitore spaziale del nostro quotidiano, della nostra vita di ogni giorno organizzata sull’asse del tempo». (Corigliano 1991, 79) La casa racchiude e comprime il tempo «senza sorprese» di giorni in-differenti della vita quotidiana. Così il quotidiano domestico è ordine, routine, atteggiamento mentale. Nella casa gli oggetti e le fasi temporali delle attività sono ordinati, sono soggetti ad una regolarità: è il carattere normativo dello spazio domestico. «Se c’è un vantaggio nell’ordine è proprio quello di non dover scegliere, ma solo seguire delle regole che funzionano da riduttore della complessità ed imprevedibilità dell’esperienza» (Pasquinelli, 2004, 25). Benché possano apparire banali, si tratta di regolarità fondamentali per le conseguenze che comportano, non solo per il singolo ma anche per la società nel suo complesso. Le regolarità ci permettono di prevedere al contrario delle irregolarità che invece producono incertezza. Così, la casa è il luogo della sicurezza non perché ci protegge da qualcosa – il numero di incidenti e di violenze domestiche direbbero il contrario – ma perché è luogo di ciò che è prevedibile. È in questo essere congiunzione di spazio e tempo che la casa si contrappone con forza al dinamismo della fase avanzata della modernità che è invece separazione delle due categorie (Giddens 1990, trad.it. 1994). In un epoca di forti cambiamenti ed incertezze, la casa resta l’ultimo baluardo di unificazione spazio temporale e per questo è fonte di sicurezza. La casa è il luogo della “coscienza pratica” ossia di quell’atteggiamento naturale di risposta alla quotidianità su cui si fonda l’esperienza della “sicurezza ontologica”. In questo senso essa è un provincia finita di

84 significato, dell’ovvio e del non problematizzato, dell’immediatamente conosciuto. Solo interrompendo questi meccanismi automatici di comprensione – come fa Garfinkel nei suoi esperimenti – possiamo cogliere la loro potenza ed influenza nella vita quotidiana così come nell’ordine sociale. La “familiarità” dello spazio domestico deriva proprio da tale ripetizione, da questo automatismo: è il farsi inconsapevole della esperienza. La casa è il luogo della abitudine che per questo “risparmia” all’abitante le energie per pensare, elaborare, ripartire da zero. La casa libera energie necessarie ad affrontare il mondo meno prevedibile che è l’extradomestico. Ciò che sta fuori è da valutare continuamente, osservare, agire “strategicamente”. Per questo la casa è il luogo del ristoro, del relax.

Tutte le declinazioni della casa sono accomunate dal fatto che essa costituisce il riferimento con cui l’individuo costruisce la sua identità storica e sociale che, in quanto tale rimanda alla continua congiunzione di passato e futuro. Attraverso la dimensione del tempo la casa è anche il luogo di costruzione ed espressione di una identità. «Si configura come elemento fondamentale intorno a cui l’individuo costruisce il proprio sé temporale, quel self della temporalità complessa – biologica, esistenziale e sociale – che costituisce l’elemento cardine della sua identità» (Corigliano, 52). In quanto spazio della quotidianità costituisce molto delle memorie e dei ricordi di una persona. In essa, per esempio, conserviamo oggetti evocativi che hanno perso la loro praticità funzionale e ricostruiamo eventi importanti e per noi significativi in cui essa fa da sfondo.

Non si tratta di una temporalità lineare, che ne è solo una possibilità, ma del continuo processo con cui la memoria interagisce con le prospettive, le progettualità: i ricordi con l’immaginazione. Il già vissuto è messo in relazione con ciò che dovrà essere ed in tale dinamica i ricordi e le esperienze vengono continuamente selezionate, adattate, talvolta rinnovate o ricostruite. La casa è il luogo in cui sviluppiamo una relazione con il tempo vissuto e quello non ancora sperimentato, un nodo attraverso cui si articolano le biografie di ognuno che sono sempre processuali, ossia mai determinate. La casa da forma e sostanza al tempo attraverso un doppio registro: quello oggettivamente codificato o sociale (orologi, calendari, bollette in scadenza) e quello esperienziale elaborato soggettivamente ed inter-soggettivamente (è l’immagine e la funzione rassicurante del pendolo descritta da Baudrillard che è tale poiché segue il ritmo del cuore (2003, 196). Nella casa convivono contemporaneamente tali accezioni che,

85 rimandandosi l’un l’altra continuamente, permettono al soggetto abitante di definirsi (vedremo successivamente come i percorsi abitativi si intrecciano ai cicli di vita familiare e quanto i relativi significati della casa sorreggano il senso della famiglia). Il riferimento spaziale è, insieme al tempo, l’altro asse fondamentale con cui definire l’esperienza della casa. Questa è il punto centrale dell’orientamento umano nello spazio: il luogo da cui partire per farvi rientro. È un punto fisso a partire dal quale non solo ci

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