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♦eSamizdat- (X), pp. -♦

Poezd na tret’em putidi Don Aminado: un’elegia della Russia di Čechov

Marco Caratozzolo

N

EL1954 lo scrittore russo emigrato Aminad Petrovič Špoljanskij (1888-1957), meglio conosciuto come Don Aminado, riuscì a dare alle stampe presso la casa editrice Če- chov di New York il suo ultimo libro, Poezd na tret’em puti [Treno sul terzo binario]. Erano anni non facili per lui, poiché dopo essere stato un indiscusso protagonista della vita cultu- rale russa di Parigi, nel periodo tra le due guerre, aveva dovuto dopo il 1940 guadagnarsi da vivere con lavori saltuari, anche umilianti, e accantonare l’attività culturale. Da alcuni anni era malato e conduceva vita ritirata nella città di Yerres, fuori Pa- rigi, dove possedeva una casa in cui aveva trovato rifugio con la moglie e la figlia dopo l’arrivo dei nazisti nella capitale fran- cese. L’uscita di questo libro passò quasi inosservata, anche perché gli scrittori dell’emigrazione a lui più vicini, nel frat- tempo avevano scelto l’America oppure erano morti. Eppure quest’opera, in cui sono contenute le memorie di Don Ami- nado, riferite a un periodo di tempo che va dalla giovinezza trascorsa in Ucraina fino ai fatti successivi alla fuga da Pa- rigi, costituisce un documento di particolare importanza per la ricostruzione della vita moscovita degli anni Dieci e del- l’ambiente dell’emigrazione russa di Parigi. Non solo: i capi- toli iniziali, considerati tra i più suggestivi dell’opera, offrono un colorito ritratto della provincia russa, con particolare riferi- mento alla zona della Nuova Russia e alla città di Elizavetgrad (oggi Kirovograd, in Ucraina), dove Don Aminado era nato. Nelle pagine che seguono, oltre ad alcuni cenni introduttivi sul libro, si propone la traduzione italiana e il commento dei primi sette capitoli dell’opera, in cui l’autore descrive la pro- pria infanzia e adolescenza nella città natale, da lui chiamata Novograd.

L’opera e la personalità di Don Aminado hanno avuto parti-

colare seguito nell’ambiente dell’emigrazione russa di Parigi, soprattutto negli anni Venti e Trenta. Prima di emigrare, in Russia egli si era costruito una non trascurabile fama come scrittore satirico (visto anche che le sue Pesni vojny [Canzo- ni di guerra, 1914], di ispirazione molto diversa, non avevano avuto particolare seguito), e aveva per anni collaborato con il Satirikon e con il Novyj Satirikon, pubblicando soprattutto versi ed entrando in contatto con altri satirikoncy della sua generazione: tra questi vi erano Saša Černyj, Teffi e Arkadij Averčenko, che del Novyj Satirikon fu anche direttore. Nella capitale francese, Don Aminado arrivò all’inizio del 1920 e, se non per brevi soggiorni a Berlino e New York tra il 1922 e il 1925, non lasciò mai la Francia, dove si mise in evidenza, non solo per la sua statura di scrittore satirico e poeta lirico (tra il 1921 e il 1951 uscirono cinque sue raccolte di versi e feuille- ton)1, ma anche per la gran quantità di eventi culturali e ini-

ziative editoriali che egli diresse e grazie alle quali divenne un punto di riferimento irrinunciabile nella cultura dell’emigra- zione russa: i balli, i tribunali letterari, le serate culturali (una di queste, il Večer Don Aminado [La serata Don Aminado], apriva sempre all’inizio di novembre la stagione teatrale russa di Parigi) con un folto programma di musica zigana, lettera- tura russa e francese e divertenti sketch teatrali che egli stesso dirigeva (nel suo passato c’era stata un’importante esperienza nel cabaret di Nikita Baliev). Ogni due o tre giorni su Posled- nie novosti i russi erano abituati a leggere un suo divertente pezzo sulla rubrica che dal 1920 al 1940 vi tenne, il Malen’kij

feuilleton[Piccolo feuilleton]. Non mancarono nemmeno progetti editoriali più ambiziosi, come quello di far rinascere,

1

Don Aminado pubblicò a Parigi una raccolta di feuilleton intito- lata Naša malen’kaja žizn’ [La nostra piccola vita, 1927] e le se- guenti raccolte di versi: Dym bez otečestva [Fumo senza patria, 1921], Nakinuv plašč [L’impermeabile addosso, 1928], Neskuč-

nyj sad[Un ameno giardino, 1935], V te basnoslovnye gody [In

quegli anni favolosi, 1951]: quest’ultima, oltre ai versi, contiene una scelta di prose ed epigrammi pubblicati tra il 1932 e il 1938 sul quotidiano dell’emigrazione russa Poslednie novosti.

 eSamizdat2014-2015 (X) ♦Emigrazioni russe – Русские эмиграции ♦

nel 1931, il Satirikon a Parigi, e collaborazioni con la stam- pa e il cinema francese, nel cui ambiente Don Aminado era molto conosciuto come sceneggiatore. Si tratta di un autore poliedrico, a cui non si è ancora dedicata l’attenzione che me- rita2, se si considera la sua enorme produzione letteraria e la

sua attività nell’ambito della promozione della cultura russa in Francia, dove per questi meriti nel 1937 gli fu conferita la Legion d’onore.

La prima metà degli anni Cinquanta fu certamente la sta- gione più amara della sua vita: “он был болен, мрачно на- строен и все говорил об ушедших, о смерти Бунина”3. Essa

fa da sfondo, come si diceva, al libro di memorie Poezd na tre-

t’em puti, che fu concepito negli anni Quaranta e redatto tra il 1951 e il 1953.

L’opera si presenta come un’originale rielaborazione dei suoi ricordi, dai primi anni giovanili trascorsi nella provincia russa, fino al 1945, ed è ricca di spunti diversi. Don Aminado vi utilizza differenti registri stilistici che trasmettono spesso un’idea di indeterminatezza, una mancanza di uniformità del punto di vista dell’autore, il quale talvolta sembra infatti voler confondere il lettore esponendo in successione contenuti rife- ribili a generi letterari diversi: la prosa giornalistica, la poesia, l’epistola, il dialogo vivo. Gli studiosi, infatti, nel tentativo di definire il genere di quest’opera, si sono divisi: K. Petrovskaja parla di memuarnyj roman [romanzo memorialistico]4, men-

tre altri tendono a utilizzare indifferentemente le definizioni di

avtobiografija[autobiografia] e memuary [memorie]. Il li- bro si presenta come un montaggio di episodi autobiografici che non contempla gli eventi più tragici della storia russa o europea e non sempre segue un criterio cronologico (l’autore sembra talvolta volerlo sconvolgere o rovesciare). La ricostru- zione degli eventi e dei luoghi è abbastanza fedele alla real- tà, ma, come sottolinea uno dei commentatori della sua ope- ra, V. Korovin, “повествование не лишено художественного

2

Oltre a una recente monografia sulla sua opera (M. Caratozzolo,

Don Aminado. Una voce russa a Parigi tra le due guerre, Ba-

ri 2013), alla quale si rimanda per una bibliografia critica comple- ta delle opere di e su Don Aminado (pp. 289-301), va segnalato che alla fine del secolo scorso sono uscite in Russia due importanti raccolte di sue opere con commento: un volume che raccoglie una cospicua scelta delle sue composizioni in versi e in prosa, Naša

malen’kaja žizn’ (Moskva 1994), e una raccolta di tutti i suoi

aforismi, Čem noč’ temnej. . . Aforizmy i epigrammy (Moskva, Sankt-Peterburg 2000).

3

“era malato, cupo, e parlava sempre di quelli che se erano scompar- si, della morte di Bunin”, A. Sedych, Dalekie blizkie, New York 1962, p. 81 .

4

Si veda K.M. Petrovskaja, “Don-Aminado: poetika kataloga”,

Studia Litteraria Polono-Slavica, 1999, 3, p. 110.

вымысла и даже мистификации”5. Il materiale autobiogra-

fico è molto eterogeneo: compaiono circostanze tratte dalla vita privata dell’autore e arricchite dalla presenza di altri per- sonaggi, scene collettive che coinvolgono il protagonista (ad esempio i funerali di Tolstoj), conversazioni private (ad esem- pio i dialoghi tra Don Aminado e il direttore di Poslednie novo- sti Pavel Miljukov), rappresentazioni liriche di luoghi dimen- ticati e descrizioni più ampie e impersonali dell’attività cul- turale in luoghi cari all’autore, come Odessa, Mosca, Parigi. Quasi come se Don Aminado volesse rinunciare all’autorialità del racconto, esso è cadenzato dall’inserzione di testi più vivi, come lettere, recensioni, titoli di giornale e poesie.

L’opera si può comunque distinguere in due parti fonda- mentali: la prima dedicata alla Russia e costituita dai capi- toli I-XIX, in cui come tappe di un viaggio dal passato viene ricostruito un itinerario di vita attraverso alcune città fonda- mentali: Novograd, Mosca, Odessa, Kiev; la seconda parte, costituita dall’unico lungo capitolo XX, è dedicata alla Fran- cia dell’emigrazione: l’autore vi tratteggia la vita culturale dell’emigrazione russa attraverso il prisma della produzione giornalistica e letteraria, facendo anche riferimento ad alcu- ni importanti eventi di cronaca. In pagine di grande interes- se, viene raccontata la vita di redazione dei principali organi di stampa e cultura russi a Parigi: Illjustrirovannaja Rossija, Sovremennye zapiski, Poslednie novosti e il Satirikon di Pari- gi, che fu diretto da Don Aminado stesso nel 1931. Conclude questa rassegna di quadri l’omicidio, nel 1932, del Presidente Francese Paul Doumer a opera dell’emigrato russo Gorgulov, evento che Don Aminado ricorda con grande amarezza.

Le tappe esistenziali che hanno portato Don Aminado dalla provincia meridionale russa alla capitale francese vengono nel tessuto delle memorie chiamate antrakty [intervalli] e cor- rispondono alle stazioni ferroviarie di un viaggio, in cui ogni nuova tappa veicola un diverso binario di partenza e il cui ter- mine è richiamato dal titolo dell’opera. D’altra parte il motivo del viaggio ferroviario, come si può vedere dai brani presentati di seguito, è fondamentale in Don Aminado.

I primi capitoli di Poezd na tret’em puti si sviluppano su uno degli assi portanti della poetica del suo autore, messo in evidenza da R. Jangirov, che ha parlato di sindrom obraščen-

nogo vremeni[sindrome del tempo invertito]6. Si tratta di

5

“nella narrazione non mancano elementi d’invenzione letteraria e persino di mistificazione”, V.I. Korovin, “Don Aminado”, Russkie

pisateli XX veka. Biografičeskij slovar’, a cura di P. Nikolaev,

Moskva 2000, p. 242.

6

Don Aminado, Treno sul terzo binario. (Capitoli I-VII), a cura di M. Caratozzolo 

un’idea mutuata dal cinema, dal grande tema del montaggio, che riflette i numerosi interessi che Don Aminado maturò in questo campo soprattutto negli anni Trenta. Possiamo defi- nirla meglio riferendoci al concetto di “inversione storica”, che Bachtin, parlando del pensiero mitologico e artistico, ha così definito:

L’essenza di questa inversione sta nel fatto che il pensiero mi- tologico e artistico localizza nel passato categorie come il fine, l’ideale, la giustizia, la perfezione, lo stato armonico dell’uomo e della società, ecc. I miti del paradiso, dell’età dell’oro, dell’e- tà degli eroi, dell’antica giustizia e le più tarde rappresentazioni dello stato di natura, dei diritti naturali innati, ecc. sono espres- sioni di questa inversione storica. La forza e la certezza della realtà appartengono soltanto al presente e al passato, al “c’è” e al “c’è stato”, mentre al futuro appartiene una realtà d’altro tipo, una realtà, per così dire, più effimera [. . . ] tutto ciò che è positivo, ideale, giusto, desiderato mediante l’inversione viene riportato nel passato [. . . ]7.

Sembra piuttosto evidente che particolari momenti di un certo passato siano visti da Don Aminado come “ideali”, e rappresentati come un punto di arrivo, come un futuro auspi- cabile piuttosto che un passato da superare, e tuttavia sem- pre un futuro immobilizzato nel passato e caratterizzato dal motivo ricorrente del “ritorno”. Alcuni rimandi a mondi idea- lizzati testimoniano chiaramente questa inversione: in Don Aminado infatti compaiono costantemente riferimenti al mito del poterjannyj raj [paradiso perduto], già ampiamente te- matizzato anche nei versi, ma anche a quelli dell’abbondanza8

e dell’antica giustizia, ad esempio nelle descrizioni delle esem- plari lezioni alla Facoltà di Legge presso l’Università di Kiev o nella rievocazione delle rigide regole di comportamento sco- lastiche, che dall’autore vengono peraltro ricordate con parte- cipato compiacimento (con tanto di citazione dei diversi libri

Aminado, Don Aminado, “Miška verti nazad. Živoj fil’m rus-

skoj žizni za tridcat’ let, no v obratnom porjadke”, a cura di R.M. Jangirov, Novoe literaturnoe obozrenie, 1995, 12, pp. 24-28.

7

M.M. Bachtin, Estetica e romanzo, Torino 1979, pp. 294-295. Si veda a questo proposito anche questa osservazione della Petro- vskaja: “Даже ностальгия, столь очевидная для эмигрантского поэта, проявляется в творчестве Дон-Аминадо не как самодо- статочная эмоция, а лишь как часть изнурительной усталости от истории. Все уже было, и единственное будущее – это про- шлое” [“Persino la nostalgia, così evidente per il poeta emigrato, si manifesta nell’opera di Don Aminado non come un’emozione a sé bastante, ma solo come parte di una estenuante stanchezza del- la storia. Tutto è già stato, e l’unico futuro è il passato”], K.M. Petrovskaja, “Don-Aminado”, op. cit., p. 110.

8

Si veda ad esempio nel capitolo V: “От всего этого изобилия и щедрот земных шел прелый, душный и щекочущий обояние за- пах” [“Da tutta questa abbondanza e questo ben di dio proveni- va un soffocante odore di putrido, che aggrediva l’olfatto”], Don Aminado, Naša malen’kaja žizn’, op. cit., p. 493.

di testo). Simili atmosfere si potevano d’altra parte leggere già in Siren’ [Lillà], un feuilleton scritto da Don Aminado nel 1932, dal quale ha poi preso le mosse la prima parte di Poezd

na tret’em putie in cui si percepisce questo profondo rispetto per il passato, considerato da lui tempo paradigmatico:

Аэропланов не было. Цеппелинов не было. И никакого без- проволочного телеграфа не было. Были честные телеграфные столбы, на столбах проволоки, а на проволоках сидели ла- сточки и щебетали. . . Небо было синее, облака в небе белые, а всем, кому теперь пятьдесят, было десять9.

Come mostrano quest’ultima citazione e i primi capitoli del libro di memorie che si presentano in traduzione, lo stile di Don Aminado in questo tipo di composizioni – uno stile len- to, costruito su un’alternanza tra alcuni periodi molto lunghi e le brevissime frasi che li introducono in forma di sentenze – si giova di un largo uso di aggettivi (talvolta quattro o cinque riferiti allo stesso nome) e sull’utilizzo di verbi imperfettivi che si articolano in proposizioni coordinate. Si ha talvolta l’im- pressione che oggetti, sentimenti e azioni facciano parte di un lungo catalogo di cose e sensazioni smarrite che non occor- re descrivere poiché già nel nome evocano intere porzioni di vita passata: è ciò che K. Petrovskaja chiama kataložnaja

struktura[struttura a catalogo] di Don Aminado. Non sono tuttavia solo questi artifici a ricreare la bellezza di un tempo irrecuperabile: va ricordato infatti che l’opera di Don Ami- nado è costruita su un intertesto molto complesso e a tratti si presenta come un denso mosaico di citazioni, non sempre facili da interpretare. Di tutti gli autori che lo compongono, sono tuttavia due quelli più importanti: Aleksandr Blok e An- ton Čechov. Al primo Don Aminado è debitore per quel ricco sistema di riferimenti ai colori, ai tessuti, ai sapori e agli odo- ri che troviamo nelle sue pagine e che ricordano la raffinata sensibilità del poeta simbolista, soprattutto riguardo a motivi cardinali come la ferrovia, o meglio il “sesto senso ferrovia- rio”10. Ancor di più, soprattutto nei primi capitoli di Poezd

na tret’em puti, Don Aminado però ricorda Čechov: lo fa con riferimenti continui, più o meno nascosti, richiamando opere, atmosfere, personaggi ed episodi della vita di Anton Pavlovič. Tutto viene filtrato attraverso le esperienze giovanili di Don Aminado e dei suoi compagni, che interpretano la loro vita

9

“Non c’erano gli aeroplani. Non c’erano i dirigibili. E non c’era nessun telegrafo senza fili. C’erano dei semplici pali del telegrafo, sui pali i fili e sopra sui fili le rondini che cinguettavano. . . Il cielo era blu, le nuvole in cielo bianche e tutti quelli che ora hanno cin- quant’anni, ne avevano dieci”, Don Aminado, “Siren’”, Poslednie

novosti, 1 maggio 1932, p. 3.

10

 eSamizdat2014-2015 (X) ♦Emigrazioni russe – Русские эмиграции ♦

spensierata nella provincia russa di fine Ottocento attraverso i libri: Marlitt, Spielhagen, Auerbach, poi Zola, Hugo, Tol- stoj e infine, soprattutto, Čechov, definito “целого поколения верный и неизменный спутник”11. Dalle vie di Elizavetgrad

alle scorribande liceali, dalle botti dell’acquaiolo alle conserve invernali nelle case, i particolari della vita di provincia nel te- sto di Don Aminado compongono una partecipata elegia della Russia di Čechov, che si avvita su numerose citazioni, anche indirette: dal racconto Mal’čiki [Ragazzi], in cui compaiono dei ragazzi che come i compagni di Don Aminado si imme- desimano nei colonizzatori della grande America e inseguono Artiglio di Sparviero, alle memorie di Alfred Dreyfus, di cui Čechov era stato uno dei maggiori difensori. E poi ancora lo scrittore Osip Dymov (1878-1959, pseudonimo che, come noto, egli si scelse pensando all’omonimo personaggio di Po-

prygunja[La cicala, 1892]), che ricordava in un saggio sulla tomba di Čechov il grande retaggio dell’autore del Giardino

dei ciliegi. Don Aminado fa poi esplicito riferimento al va- gone per le ostriche (e allo sdegno che in lui tale circostanza aveva provocato) in cui fu rimpatriato il corpo dello scrittore da Badenweiler, e infine a quella domanda sommessa ma pie- na di sconforto, che chiude Dom s mezoninom [La casa con la mansarda, 1896], ma anche il capitolo VII di Poezd na tre-

t’em puti. Una domanda che si ripete in continuazione nel- l’opera di Don Aminado, a ricordare il paradiso della provincia russa che nello scontro con le catastrofi della grande storia è sprofondato in un territorio di irrealtà: “Misjus’, dove sei?”12.

Fig. 1. Copertina di Don Aminado, Poezd na tret’em puti, Moskva 2000.

♦♦♦

11

“Insostituibile e fedele compagno di viaggio di un’intera ge- nerazione”, Idem, Naša malen’kaja žizn’, op. cit., p. 497.

12

Si vedano le note 13 e 45.

“Rautendelein, dove sei?”. . .

G. Hauptmann, La campana sommersa13

I

E

SISTE una sacra parola: provincia. Esiste una meravigliosa parola: distretto. Per le ca- pitali si prova estasi, fascino, orgoglio. Ma solo la provincia intenerisce l’anima. Una piccola città, di- menticata sulla carta geografica, da qualche parte nelle steppe della Nuova Russia, sulle rive del fiu- me Ingul14, ti riempie il cuore di commovente te- nerezza, di dolce passione. Perduto, irrecuperabile paradiso!15 Gli abbonati ai concerti sinfonici, tutti in tiro, che pensano di amare e comprendere la mu- sica, elargiscono cerimoniosi applausi a celebri di- rettori d’orchestra, ai grandi di questo mondo. Ma nel Regno dei Cieli sarà ammesso solo chi non si vergognava delle lacrime che sgorgavano sincere, quando sotto una finestra potevi sentire la melodia di un organo a rullo, e il lillà si sfiniva in un delirio di viola16, e l’autore tanto amato (lo si leggeva in con- 13

Nel dramma fiabesco Die Versunkene Glocke (1896), Rautende- lein è una fata che ha forme di bambina e che si prende cura, inna- morandosene, del campanaro Heinrich, dopo che gli spiriti maligni della foresta in cui tale campana doveva essere posta provocano un incidente a causa del quale la campana finisce in un lago e Heinri- ch viene seriamente ferito. Alcune lontane analogie legano quindi la figura di Rautendelein al personaggio čechoviano di Misjus’ che compare nel racconto Dom s mezoninom, richiamato proprio alla fine del capitolo VII con la stessa domanda: entrambe simboleg- giano l’intimità domestica, le cure familiari, la salvezza dal male, il calore quasi fiabesco dei luoghi nativi da cui ci si allontana e verso i quali non c’è possibilità di ritorno.

14

Il fiume Ingul (oggi Ingulec) scorre nell’Ucraina meridionale e sfo- cia nel fiume Južnyj Bug, dopo aver attraversato una vasta zona che tocca anche i dintorni di Elizavetgrad (ora Kirovograd), la cit- tà, come si è detto nel saggio introduttivo, a cui Don Aminado si ispira in queste pagine e dove lui è nato.

15

L’espressione “Потерянный, невозвращенный рай!” è costruita sul titolo dei due più celebri poemi di John Milton, Paradise lost (1667) e Paradise regained (1671), il secondo dei quali viene in- vertito semanticamente da Don Aminado per ricordare la tragedia degli emigrati che non fecero più ritorno in Russia.

16

Molto alta è la ricorrenza nell’opera di Don Aminado di questa pianta, che come è stato mostrato, ad esempio in Aleksandr Be- lousov, “Akklimatizacija sireni v russkoj poezii”, Sbornik statej

k 70-letiju prof. Ju.M. Lotmana, Tartu 1992, pp. 311-322, ha

un alto valore simbolico in tutta la cultura russa del Secolo d’Ar- gento. Nella poetica di Don Aminado il lillà è un motivo ricorren- te. Si veda in particolare il testo di Siren’ (Poslednie novosti, 1 maggio 1932, p. 3), ma anche i versi di Uezdnaja siren’ [Il lil- là di provincia, 1929], “Svjaščennaja vesna” [“Sacra primavera”,

Don Aminado, Treno sul terzo binario. (Capitoli I-VII), a cura di M. Caratozzolo  tinuazione) non era Jean-Paul Sartre, ma Vsevolod

Garšin17.

II

La città si reggeva su tre pilastri: la stazione. Il carcere. Il ginnasio femminile. Il sesto senso, che possedeva solo il distretto, era il senso della ferrovia18.

Nei nomi delle piccole e grandi stazioni c’era un’ineffabile, intima poesia, un ritmo particolare, il segreto della prima magia e di un grande incanto.

Si può sopravvivere a tre guerre e a tre rivoluzio- ni, attraversare mari e oceani, superare, contando il