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CAPITOLO 3: L’ARTE DELL’ASIA ORIENTALE NELLE ISTITUZIONI MUSEALI MILANESI

8 C OLLEZIONI ORIENTALI IN ALTRI MUSEI CITTADINI

8.3 LA DONAZIONE MAURO AL MUSEO DELLA SCIENZA E DELLA TECNOLOGIA LEONARDO DA VINCI

Il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia conserva una collezione di oggetti cinesi e giapponesi donati dall’ingegnere Francesco Mauro. Le ragioni della donazione a questa istituzione si trovano nel forte legame avuto da Mauro con il Museo Nazionale fin dalla sua ideazione.

Il museo fu inaugurato il 15 febbraio 1953 dopo più di vent’anni dalla sua progettazione. Nel 1930 infatti il Comune di Milano aveva istituito una prima commissione per la realizzazione di un “Museo delle Arti e delle Industrie” presieduta da Guido Uccelli di Nemi, che già nel 1906 all’Esposizione Internazionale del Sempione aveva espresso l’auspicio che nascesse un museo industriale. Nel 1942 Guido Uccelli e Arnaldo Salamini inauguravano la Fondazione Museo Nazionale della Tecnica e dell’Industria. Il Museo aprì infine con il nome di Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica Leonardo da Vinci nell’ex caserma Villata, già monastero cinquecentesco dei monaci Olivetani.164

163 Cfr. Museo Poldi Pezzoli. Ceramiche. Vetri. Mobili e Arredi, Milano, Electa, 1983.

La donazione di oggetti orientali di Francesco Mauro fu fatta nel 1954, ad appena un anno dall’inaugurazione. L’ingegnere Mauro era stato un grande amico di Guido Uccelli e lo aveva vivamente appoggiato nella costruzione del Museo. Francesco Mauro, professore del Politecnico, era anche un viaggiatore e appassionato collezionista, attivo in tutta la prima metà del Novecento.165

Nel 1962 fu inaugurata la sezione dell’arte orafa presso la quale furono esposti anche 鍔 tsuba, giade e pietre dure, in una saletta intitolata a Francesco Mauro e alla moglie Edi.

La collezione lasciata in dono consta di circa 235 reperti.166 Il nucleo più importante di opere è

costituito dalle 133 guardie di spada giapponesi. Si trovano poi 43 sculture e vasi cinesi in pietra dura, per lo più giada e pietra saponaria, e infine 26 oggetti fra bronzi in gran parte giapponesi e ceramiche del XIX secolo della tipologia Satsuma e cantonese. I restanti sono avori di periodo Meiji,

netsuke, e bambù.

Nel complesso, la collezione di tsuba si rivela importante. In essa si osservano diversi stili decorativi e una grande varietà di tecniche artigianali e di materiali. L’Ing. Mauro prediligeva quelli in ferro, da sempre più apprezzati anche in Giappone. Sono infatti solo tre gli tsuba in bronzo, una tipologia che incontrava maggiormente il gusto occidentale alla fine Ottocento, ma che per tradizione è considerata separatamente, nella categoria del 金工 “kinkō”, i metalli morbidi, più appariscenti ed elaborati, patinati con acidi che rendono una grande varietà di colori.

I netsuke, una ventina, sono per la gran parte d’osso, pochi quelli d’avorio e non se ne trovano di altri materiali quali il legno di bosso, il corno, ecc. La passione del collezionista per le opere di cesello e intaglio si può ravvedere anche in altri oggetti, come le statuette in avorio, 置物 okimono, che rappresentano le “arti e i mestieri” giapponesi - una decina in tutto. Lo stile è quello, nuovo, apportato dai tecnici stranieri arrivati in Giappone a partire dal 1875 su incarico del governo giapponese per insegnare le arti occidentali.167 Le rappresentazioni sono a volte buffe, come quella

di un uomo spaventato da topi che escono da un nascondiglio, a volte idilliache o addirittura patetiche, come il buon vecchio che con aria pacata e sorridente torna dai campi o dalla pesca, talvolta accompagnato da un cagnolino. Oggi molto valutate per la rarità del materiale, rappresentano in verità il gusto “turistico” dei viaggiatori della fine dell’Ottocento.

In questo senso anche la maggior parte delle giade è costituito da oggetti decorativi adatti a un regalo per un’occasione importante. Non si tratta delle antiche giade del periodo classico, messe a protezione dei defunti, ma di lavori d’intaglio e di molatura destinati per esempio al tavolo di uno studioso o all’arredamento dell’abitazione di un funzionario civile o, in tempi moderni, di una famiglia benestante.168 La collezione non include solo giade, ma anche pietre dure e morbide, quali

il quarzo rosa, il cristallo di rocca, la pietra saponaria, il serpentino, ecc. in linea con la passione del collezionista per le pietre169.

bombardamenti del 1943, all'inizio degli anni cinquanta fu infine ristrutturato su progetto di Piero Portaluppi.

165 Cfr. Federico MORELLI, “Sezioni del Museo: ‘Arte Orafa, Sala Mario Negri – Sala Edi e Francesco Mauro’”, in

Museoscienza: periodico del museo nazionale della scienza e della tecnica ‘Leonardo da Vinci’, Milano, s.d.

166 Gli oggetti sono stati inventariati e catalogati nell’anno 2010 da Isabella Tedeschi, sotto la mia supervisione e dal

2012 sono stati pubblicati nel sistema informatico regionale SIRBeC consultabile online.

167 In particolare si rifanno all’opera dello scultore Vincenzo Ragusa presso la Kōbu Bijutsu Gakkō 工部美術学校,

la scuola d’arte aperta nel 1876 a Tokyo e che fu all’origine di questo cambiamento stilistico.

168 La funzione, quando esiste, è quella di ferma carte, vasetto per l’acqua del pennello o per contenere i pennelli,

poggia pennelli, e tutto ciò che si poteva trovare sulla scrivania del letterato. Si trattava anche di regali: la loro valenza benaugurale era spesso giocata sull’omofonia del soggetto con parole quali fortuna, soldi, salute, longevità, ecc. creando rebus che equivalgono in un certo modo ai nostri “detti” o a delle “massime”.

Infine, i bronzi, ritenuti per lo più opere cinesi, si sono rivelati essere in realtà di provenienza giapponese. Come si è potuto riscontrare in tutte le collezioni di bronzi, e in particolare in quella del prof. Carlo Puini, venduta alle Raccolte Artistiche di Milano nel 1926,170 questa confusione è restata

sempre molto forte, fino almeno agli anni Settanta, quando i primi studi inglesi hanno iniziato a distinguere i bronzi cinesi da quelli giapponesi.171

Nel complesso si trova un discreto numero di oggetti antichi, in particolare fra le guardie di spada, che vanno dal XV e XVI secolo a tutto il XIX secolo, e fra le giade, riconducibili in gran parte

al XVIII e al XIX secolo. Il resto della collezione appartiene alla fine del XIX secolo e alla prima metà

del XX.

Per quanto concerne gli acquisti, è possibile che qualche manufatto, soprattutto contemporaneo, sia stato comprato dall’ingegnere durante i suoi viaggi, ma è più probabile che gli oggetti giapponesi fossero già in Europa da diverso tempo, così come le porcellane cantonesi e i cloisonné di fine Ottocento. Il mercato delle pietre e quello delle giade, invece, si andava sviluppando in Europa negli stessi anni in cui l’ingegnere formava la sua collezione, cioè tra gli anni Trenta e l’inizio della Seconda guerra mondiale. Comunque, già nel 1922, l’ingegnere partecipava alla “Mostra d’arte cinese e giapponese” tenutasi a Milano, con alcuni suoi oggetti.172

Il fatto che la maggior parte della raccolta si concentri sui piccoli oggetti finemente lavorati, come nestuke e tsuba, non è forse un caso, poiché proprio agli inizi del novecento comparvero le prime pubblicazioni sistematiche su questi oggetti che riportavano le foto dei pezzi e i nomi degli artigiani, cosa che stimolò questo tipo di collezionismo che ancora oggi è più che mai prospero. Per quanto riguarda le guardie di spada, si tratta della collezione di un vero appassionato, mentre quella dei netsuke e degli okimono sembra essere una passione suscitata per lo più dalla presenza sul mercato di molte opere del tardo periodo Meiji.

9 Considerazioni finali

Come si è potuto vedere, la costituzione delle raccolte d’arte asiatica dei musei civici ha avuto un passato difficile, in comune con quello dell’arte occidentale, sia per i ripetuti spostamenti avvenuti fra le diverse istituzioni, sia per l’iniziale discriminazione sofferta dalle arti applicate, considerate all’epoca “minori”. Esistendo già in città l’Accademia di Belle Arti con una Pinacoteca, e l’Ambrosiana, che esponeva elaborati di varia natura, le collezioni ricche di opere d’arte applicata, e in alcuni casi anche di materiali etnografici o di esemplari naturali, ricevettero inizialmente una fredda accoglienza da parte della municipalità. Solo alla fine degli anni settanta dell’Ottocento, non senza alcune resistenze, al seguito del primo slancio generoso di cittadini emeriti e con l’arrivo di sempre nuove donazioni si procedette all’apertura di un nuovo museo cittadino con un’operazione che vedeva la trasformazione del giovane Museo d’Arte Industriale e delle sue sale in un più “idoneo” Museo Artistico Municipale. Ironicamente, quando le istituzioni civiche furono finalmente

semipreziose.

170 V. Capitolo 4:5.2.

171 Gli studi sui bronzi recenti, sia cinesi, sia giapponesi, sono ancora esigui e in gran parte imprecisi. In particolare,

i cloisonné giapponesi del primo periodo Meiji (1868-1912) sono spesso pubblicati sui cataloghi d’asta italiani come opere cinesi.

172 Cfr. Guida alla mostra d’arte cinese e giapponese preceduta da brevi cenni storici a illustrazione degli oggetti

pronte a ricevere gli oggetti, la congiuntura favorevole svanì, o in qualche modo diminuì, per il cambiamento politico e sociale che aveva costretto molte importanti case patrizie a vendere i propri beni, e il nuovo museo si trovò a effettuare un numero inaspettato di acquisti per incrementare il proprio patrimonio.

Il ruolo delle parentele e delle frequentazioni fra nobili, commercianti e imprenditori, fu fondamentale per fare confluire in vario modo alcune raccolte all’interno dei musei milanesi. La figura poliedrica di Carlo Ermes Visconti, primo curatore del Museo Artistico Municipale, al quale si deve fra l’altro il merito dell’acquisto della raccolta Passalacqua, fu estremamente importante per la formazione delle raccolte cittadine, soprattutto per l’opera imponente di conservazione, catalogazione e incremento che il Marchese poté operare grazie anche ai numerosi incarichi svolti all’interno delle istituzioni pubbliche e private milanesi.

Naturalmente al Museo Artistico arrivarono solo una parte delle collezioni cittadine. Molte andarono purtroppo disperse, prima fra tutte quella del museo privato del conte Aldo Annoni, che una guida dei musei milanesi del 1881173 indicava per il possesso dei più grandi vasi giapponesi

visibili in città, per i bronzi artistici e per le armi e armature giapponesi.174 Altre collezioni finirono

in differenti istituzioni museali, mentre alcune, rimaste agli eredi, potrebbero ancora trovarsi fra le stanze delle case di famiglia. Le ragioni per le quali un collezionista decida di lasciare i propri oggetti a una istituzione pubblica, piuttosto che lasciarla agli eredi, o venderla, sono le più varie, per cui in mancanza di testimonianze scritte affidabili175 non è possibile comprendere da quali idee

siano stati mossi molti dei personaggi i cui nomi compaiono fra le liste dei registri museali. Si tenga conto inoltre che, come si è potuto vedere, vi sono momenti di maggiore o minore risposta da parte delle istituzioni alle esigenze e ai desideri dei donatori, per cui una collezione può essere accettata solo parzialmente o rifiutata, e in caso di inerzia da parte di un’istituzione, può finire in un’altra.176

L’osservazione di ciò che è confluito nelle raccolte milanesi aperte al pubblico offre oggi un’idea dell’attenzione riservata da alcuni cittadini, fra la metà del XIX secolo e la fine del XX, alle arti

dell’Asia Orientale. Attraverso l’unione di questi dati con quelli forniti dai registri del Museo Artistico Municipale al Castello Sforzesco sulle maggiori acquisizioni d’arte orientale dal 1900, sarà possibile osservare i cambiamenti avvenuti sul mercato antiquario e d’importazione in città, e l’alternarsi delle preferenze per l’uno o l’altro aspetto delle produzioni artistiche giapponesi e cinesi.

173 Cfr. Antonio GRAMOLA, op. cit., p. 206.

174 Paola Zatti segnala anche altre collezioni disperse, fra le quali quella di Ettore Viola, acquistata durante i

soggiorni a Tokyo, ed esposta in più occasioni, e la collezione Bordoni Bisleri, finita all’asta nel 1933. Cfr. Paola ZATTI, Tra le sale di casa Morando, cit., p. 197. Anche delle preziose raccolte di porcellane e tessuti orientali di casa Trivulzio non si ha traccia all’interno delle Raccolte Extraeuropee del Castello Sforzesco.

175 Ad esempio quelle di Carlo Giussani, che volle offrire le sue collezioni alla cittadinanza per la formazione di

artisti e operai, o quelle di Gian Paolo Poggi o di Nedda Mieli date in ricordo dei figli defunti.

176 È successo ad esempio recentemente con la collezione indiana di un privato cittadino che, dopo una lunga attesa

Capitolo 4: Le collezioni dell’Asia Orientale al Castello

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