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Deduzione diretta dalla busta paga

6. Le donazioni delle imprese

Le imprese del settore a fine di lucro possono effettuare sin-gole donazioni di ammontare massimo pari al 3% dei dividendi ordinari annuali. Le imposte sono dedotte al tasso base stan-dard, attualmente pari al 25%. Il pagamento lordo può essere dedotto dai profitti prima del calcolo dell'imposta sulle imprese. Questo vantaggio fiscale è stato introdotto nel 1986 (insieme alla deduzione diretta dalla busta paga fiscalmente esente) seb-bene esistesse già la possibilità per le imprese di effettuare do-nazioni secondo lo schema del «covenant». La Charity Aid Foun-dation ha raccolto dati sulle imprese che effettuano le donazioni più elevate in Gran Bretagna e, dal 1987, ha anche condotto una indagine sulle donazioni delle piccole imprese ed ha studiato il «coinvolgimento comunitario» delle imprese, nei casi in cui lo stesso non può essere misurato dalle donazioni in denaro. Le considereremo entrambe.

Il filantropismo di impresa non ha mai raggiunto, in Gran Bretagna, il livello degli Stati Uniti. Le 400 imprese che effet-tuano maggiori donazioni hanno dato alle charities solo lo 0,2% dei loro profitti lordi (di tasse), mentre l'insieme delle donazioni effettuate dalle imprese ammonta a meno di un quinto delle donazioni individuali e delle famiglie (Ashworth, 1985). Nel 1987,

le donazioni per impiegato delle 400 imprese suddette era pari, in media, a 13,2 sterline. Nel corso dei primi tre anni le dona-zioni totali di queste imprese sono cresciute, in termini reali, di un terzo sebbene non vi sia cambiamento apparente nella quota dei profitti lordi donati alle charities (Tabella 5). La ten-denza, su un periodo di 11 anni, per le 200 imprese con maggio-ri donazioni porta alle stesse conclusioni: un sostanzioso incre-mento nel livello di donazioni corretto per l'inflazione ma nes-suna volontà di dirottare una quota più elevata dei profitti di impresa.

Queste donazioni di impresa sono deducibili e può essere dif-ficile distinguere tra donazioni genuine ed operazioni promozio-nali. Inoltre, alcune grandi imprese spendono cifre rilevanti per pubblicizzare le loro «buone azioni». Il Council for Support of Charities fa diretto appello a questi sentimenti contrastanti in un volantino inviato alle imprese:

Le imprese fanno donazioni sia per ragioni economiche che per altrui-smo. Esse affermano che ... le donazioni filantropiche migliorano la reputazione dell'impresa nelle comunità locali. La società si aspetta in maniera crescente che le imprese siano buoni cittadini. Il sostegno filantropico aiuta a proiettare una immagine positiva dell'impresa. Molte persone nell'industria, prima di tutto gli impiegati, desiderano aiutare le charities (Council for Support of Charities, 1986, p.l).

Qualcuno ha affermato che ci si è allontanati dalle donazioni ad hoc in direzione di una più attenta responsabilità sociale e di un genuino tentativo, da parte di molte imprese, di avere un impatto sociale nel territorio (Saxon-Harrold e Hunter, 1987a). Gruppi come il Council for Support of Charities ed il Per Cent Club (che vuol incoraggiare le imprese a donare 1' 1 % dei profit-ti lordi) stanno ora promuovendo campagne per aumentare il livello delle donazioni da parte delle imprese.

Non è vero che, tra le 400 imprese con donazioni più elevate, quelle con profitti e numero di impiegati maggiori siano anche quelle che donano di più. Ha perciò un senso analizzare le pic-cole imprese ed il loro contributo al settore nonprofit. E stata condotta una indagine sulle imprese con meno di 100 addetti ed un fatturato annuale non superiore ai 10 milioni di sterline

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(Saxon-Harrold, 1988b). La percentuale di risposte alla indagine è stata modesta (58%), ma il 74% di coloro che hanno risposto ha dichiarato contributi finanziari alle charities, con un contri-buto medio annuo per il 1986-87 di 200 sterline, considerando il valore mediano, e di 900 sterline, considerando il valore me-dio. Oltre a ciò, il 76% di coloro che hanno risposto ha dichia-rato di avere effettuato contributi non monetari (si veda oltre), ed il 18% di avere incoraggiato gli impiegati a partecipare a piani di deduzione diretta dalla busta paga. La maggior parte del sostegno si è indirizzata ad organizzazioni locali piuttosto che nazionali e ha generalmente preso la forma di una singola donazione. Se i valori del campione fossero estesi all'intera po-polazione di circa 80.000 piccole imprese attive in Gran Breta-gna, il contributo totale in denaro ammonterebbe a circa 720 milioni di sterline.

Al sostegno finanziario che le charities ottengono dalle impre-se private si aggiunge molto spesso una assistenza «in natura». L'indagine sul contributo filantropico delle piccole imprese ha messo in evidenza, ad esempio, che poco meno della metà delle imprese ha donato prodotti come computers ed attrezzature per ufficio a charities, scuole e università, che circa un quinto le ha assistite con addestramento dei lavoratori e che una propor-zione simile ha concesso l'uso gratuito di strutture aziendali per incontri e attività simili (Saxon-Harrold, 1988b). Come altra forma di assistenza non monetaria, un piccolo numero di impre-se ha distaccato alcuni impiegati per brevi periodi di tempo. Una inchiesta separata, condotta nel 1988 per indagare il

coin-volgimento comunitario delle imprese, ha puntato alle imprese

che effettuano donazioni più elevate e, oltre alle donazioni mo-netarie, ha indagato il distacco di personale, le sponsorship (so-stegno monetario di attività specifiche come le arti, lo spettaco-lo o gli avvenimenti sportivi), il sostegno alle agenzie, i piani occupazionali per i giovani, l'uso e la donazione di strutture ed altro ancora (Saxon-Harrold, 1988b). Ai contributi non mo-netari è stato attribuito un valore economico convenzionale. L'in-dagine conclude che il valore monetario di questa serie di forme di assistenza è forse doppio rispetto al valore dei contributi in denaro. L'assistenza finanziaria rappresenta circa il 32%

del-l'aiuto totale delle imprese alle charities (negli Stati Uniti i con-tributi in denaro rappresentano una quota molto più alta, circa l'80% del coinvolgimento comunitario totale delle imprese. Si veda Cardillo Platzer, 1987).

Sulla base di queste diverse fonti, il valore dei contributi mo-netari delle imprese alle charities può essere stimato in 800 mi-lioni di sterline annue, pari a circa il 5% del reddito totale annuale delle charities britanniche; ad esso vanno aggiunti circa 1.600 milioni di sterline di contributi non monetari (che non sono registrati dalle charities come reddito). Gli incentivi fiscali alle donazioni non sono così generosi come quelli che si possono trovare in molti altri paesi, il che influenza certamente il basso livello delle donazioni, ma non esiste nemmeno una tradizione consolidata di impegno del settore delle imprese per l'attenua-zione dei problemi sociali e per la promol'attenua-zione delle attività cul-turali. Poiché il paese si è allontanato da quello che la signora Thatcher ha chiamato «lo stato balia», confidando molto meno su servizi finanziati e forniti dallo Stato, esiste una pressante necessità per le imprese di giocare un ruolo sociale più ampio e responsabile. Al momento non sembra che grande entusiasmo si manifesti in questa direzione.

7. «Trusts» e fondazioni

Al volgere del Secolo, il processo di rapida industrializzazione ha consentito ad alcuni individui di ammassare vaste fortune personali. Nei secoli precedenti, gli individui più ricchi finanzia-vano solitamente attività che favorifinanzia-vano il benessere sociale, co-me le chiese, le scuole e gli ospedali, ed alcuni avevano formato dei fondi fiduciari (trust) per realizzare i propri desideri filan-tropici. Nei primi anni del Ventesimo Secolo l'idea di costituire fondi fiduciari prese piede. Queste istituzioni filantropiche con scopo generale vennero istituite per affrontare alcune delle cau-se fondamentali dei problemi sociali e per incoraggiare donazio-ni più sistematiche. La Charities Aid Foundation ha raccolto da-ti riguardanda-ti i 200 trust che hanno distribuito la maggior quan-tità di fondi nel corso degli ultimi venti anni, ed è su questi ultimi che baseremo la nostra descrizione (Saxon-Harrold e

Hun-ter, 1987b; Charities Aid Foundation, 1988). Le attività reali e finanziarie dei 200 trust che distribuiscono la maggior quanti-tà di fondi sono cresciute nel corso degli ultimi 10 anni, in parte per la rivalutazione delle proprietà e degli immobili dete-nuti. Ciò è particolarmente vero nel caso di Londra, dove il valore degli immobili è cresciuto in modo sostanziale. Il valore del patrimonio dei trust, aggiustato per l'inflazione, è cresciuto poco, o per niente, nel periodo 1979-82, ma ha mostrato un grande incremento a partire da quel momento. I 400 trust di dimensioni maggiori detengono ora attività per un valore supe-riore a 6 miliardi di sterline, hanno avuto un reddito annuale pari a 254 milioni di sterline nel 1986-87 e, nello stesso anno, hanno distribuito contributi per un valore di 204 milioni di ster-line (l'80% del loro reddito). Quest'ultima percentuale si è mo-dificata leggermente nel corso degli ultimi anni — decrescendo lievemente — nonostante il valore reale dei contributi dei trust alle charities abbia potuto crescere del 37% in un periodo di 10 anni a causa della crescita del valore delle attività. 8. Problemi e questioni

Questo profilo quantitativo ha messo in evidenza numerose importanti tendenze del settore nonprofit britannico, in partico-lare la crescita, il crescente affidamento sul sostegno governati-vo, la sensibilità alla politica fiscale ed ai più vasti cambiamenti economici ed i vari tentativi di diversificare tanto le attività che le fonti di reddito. Questi cambiamenti hanno comportato alcuni problemi e sollevato alcune questioni di indirizzo politi-co. Sinora la risposta politica è stata relativamente limitata, ma gli ultimi cinque anni hanno visto una crescita di attenzione da parte del governo e dei mass-media. Perché ciò è accaduto? Si possono suggerire diverse ragioni. In primo luogo, a partire dal 1979 il governo conservatore ha ridotto in termini reali qua-si tutte le forme di spesa pubblica. La qua-signora Thatcher è stata eletta Primo ministro con quella che, a posteriori, può essere definita una versione poco sofisticata del pensiero monetarista. La convinzione fondamentale della sua strategia economica del tempo era quella secondo cui la spesa pubblica spiazza

l'investi-mento privato e soffoca la crescita economica. Vi era un urgente bisogno, sosteneva il suo governo, di rimettere al passo la spesa pubblica. Nonostante il sostegno governativo al settore nonpro-fit sia cresciuto, le organizzazioni non statali sono state spinte ad offrire, e parzialmente anche a finanziare, servizi di assisten-za sociale. Le organizassisten-zazioni nonprofit hanno svolto un ruolo significativo in questa politica. In secondo luogo il settore non-profit ha contribuito ad accrescere la consapevolezza pubblica in ordine ai problemi sociali ed alle mancanze del sistema di welfare. La migliorata immagine pubblica del settore si è rifles-sa in una accresciuta attenzione da parte dei mass-media e in un aumentato coinvolgimento nel processo politico attraverso l'azione di lobby svolta con i ministeri e con il Parlamento, espressione di un più avanzato ruolo politico e di difesa dei diritti. In terzo luogo un numero di charities compreso tra 3.000 e 4.000 vengono ora registrate ogni anno dalla Charity Commis-sion. Questa enorme espansione nel numero delle charities ha creato preoccupazioni in ordine alla responsabilità pubblica. Tre recenti rapporti — Efficiency Scrutiny of the Supervision of

Chari-ties di Sir Philip Woodfield ed altri (1987), il rapporto del

Na-tional Audit Office (1987) sul ruolo della Charity Commission ed un rapporto prodotto dal Parliamentary Committee of Public Accounts (1988) — hanno sollevato le questioni della registra-zione, del monitoraggio e della supervisione delle charities. Vi è infine stato un buon numero di «raccolte pubbliche di fondi», ben pubblicizzate e di successo, dopo alcuni disastri: Band Aid (dopo la carestia etiopica del 1985-86), la raccolta dopo il disa-stro del campo di calcio di Bradford (dopo l'incendio del 1985), e quella per il disastro del traghetto Zeebrugge (1987-88). Que-sti sforzi di successo, ed alcuni altri, hanno dato vita ad un dibattito sulla raccolta professionale di fondi, sullo stimolo ad ulteriori donazioni rappresentato da concessioni fiscali e sul mo-do in cui il settore viene rappresentato dai mass-media.

Nonostante le difficoltà nel distinguere i flussi di finanzia-mento, il mutamento del modello di sostegno governativo al set-tore è innegabile. Le tre forme più importanti di questo soste-gno sono la concessione di sussidi, le agevolazioni fiscali e le tariffe in regime di contrattazione per la fornitura di servizi.

I sussidi fluenti da organismi statali a organizzazioni nonprofit sono cresciuti di circa il 200% in termini reali tra il 1975 ed il 1985 (con l'incremento più cospicuo realizzato durante la se-conda metà del periodo). La crescita nei sussidi concessi dalle autorità locali si è riportata su livelli normali a partire dalla me-tà degli anni Ottanta e la prevista fine del sostegno proveniente da una delle maggiori agenzie pubbliche, quello della Manpower Service Commission (Msc) attraverso il Community Program-me (che abilita le organizzazioni nonprofit ad ottenere posti di lavoro sussidiati per lavori di interesse pubblico e per assistere persone altrimenti disoccupate), preoccupa molte organizzazioni. Nel 1987-88 i progetti riguardanti il settore nonprofit am-montavano a poco meno della metà del miliardo di sterline spe-so per il Msc Community Programme. La maggior parte di que-sti progetti forniscono servizi sociali personali (metà, ad esem-pio, fu spesa per aiuti agli anziani). Nel 1988 queste misure speciali a favore dell'occupazione costituivano una quota enor-me del sostegno finanziario governativo al settore nonprofit. Que-sta situazione muterà drasticamente al seguito della transizione dal Community Programme verso programmi di addestramento lavorativo con differenti obiettivi. La questione aperta è quella del modo in cui lo spostamento nelle modalità e nella fonte del finanziamento pubblico influirà sia sul livello aggregato di soste-gno che sul tipo di organizzazioni nonprofit che ottiene i fondi. In che modo sarà influenzato il modello dei servizi forniti dal settore nonprofit? Che grado di indipendenza saranno in grado di mantenere le organizzazioni nel promuovere le proprie attività?

Le concessioni fiscali

Contemporaneo ai cambiamenti nel regime dei sussidi pubbli-ci è il tentativo del governo, attraverso successive modifiche delle regolamentazioni fiscali, di aumentare la quota di fondi che le organizzazioni nonprofit ottengono da fonti non pubbli-che. I più importanti cambiamenti sono stati la riduzione delle regole che riguardano la deducibilità fiscale dei covenants, attra-verso l'abolizione del tetto massimo di donazione; l'introduzio-ne, nel 1986, dei piani di deduzione diretta dalla busta paga e l'autorizzazione ad effettuare singole donazioni deducibili dal

reddito di impresa, nel caso in cui il totale delle stesse non ecce-da il 3% dei dividendi ordinari dell'impresa, pari a circa l ' l % dei profitti lordi (di tasse), livello molto superiore alle attuali donazioni delle imprese. Sfortunatamente il governo non si è ritenuto in grado di introdurre un sistema simile a quello ameri-cano che concede esenzione fiscale sulle donazioni degli indivi-dui. Negli Stati Uniti, la deducibilità delle donazioni individuali rappresenta uno stimolo enorme alle donazioni da parte delle persone più ricche perché le donazioni possono essere usate per bilanciare passività fiscali, assicurando perciò un costo partico-larmente basso per le donazioni di grande ammontare.

Esistono dubbi sull'impatto delle concessioni fiscali del gover-no britannico. L'effetto delle nuove concessioni fiscali sulle do-nazioni delle imprese è impossibile da prevedere poiché in Gran Bretagna non sono mai stati effettuati studi sul fenomeno; in ogni caso le imprese hanno storicamente contribuito in quantità relativamente ridotta al reddito delle charities. Gli effetti delle incentivazioni fiscali sulle donazioni individuali saranno proba-bilmente ridotti dai tassi di crescita del reddito piuttosto bassi, dalla diminuzione delle aliquote marginali di tassazione e dalle elasticità delle donazioni al reddito ed al prezzo, stimate da Po-snett (1988) per il Regno Unito. Lee (1989, p. 10) suggerisce che «è poco probabile che la crescita dell'economia britannica ed ulteriori concessioni a favore delle donazioni portino, di per sé, ad un sostanziale incremento nel reddito da donazioni del settore nonprofit. Un valore dell'elasticità prezzo delle donazio-ni non superiore a -1 è un potenziale di preoccupazione dal pun-to di vista del management della organizzazione nonprofit e dal punto di vista delle politiche pubbliche».

Tariffe e prezzi

Esistono altri modi attraverso cui le organizzazioni nonprofit possono aumentare i propri redditi? Come abbiamo osservato il reddito stimato da tariffe e prezzi sarebbe cresciuto di circa il 200 per cento durante gli ultimi 10 anni (Posnett, 1987). Il reddito da tariffe deriva principalmente da pagamenti effettuati dai governi locali e centrale per contratti relativi alla fornitura di servizi di welfare. Una ulteriore crescita dei finanziamenti

attraverso questo canale solleva ampie questioni relative al ruolo appropriato della fornitura di servizi da parte del settore pubbli-co, di quello nonprofit e di quello a fine di lucro, nonché alla relazione e collaborazione esistente tra gli stessi. Inoltre, le cha-rities che contrattano servizi con le autorità locali sulla base di bisogni generali, piuttosto che sullo specifico terreno del «so-stegno della povertà», potrebbero veder messo in discussione il loro status di charities. Ciò si è già verificato nel campo degli alloggi, settore in cui il governo centrale spinge le charitable

hou-sing associations (costituite per il «sostegno dei poveri») a farsi

carico dei bisogni di alloggio più generali, che dovrebbero essere abbandonati dalle autorità locali, rilevando interi lotti di edifici pubblici. È assai improbabile che l'acquisto di edifici pubblici possa essere visto come strumento di promozione della finalità filantropica della fornitura di alloggi ai poveri. Se una charity intraprende attività tali per cui gran parte del suo sforzo è indi-rizzato a soddisfare i bisogni di persone che non rientrano nello scopo filantropico (come sarebbero gli affittuari di alloggi delle autorità locali) l'organizzazione potrebbe incorrere in problemi legali.

Le tendenze demografiche prevalenti, in particolare la cresci-ta della popolazione più anziana, rendono probabile un incre-mento della domanda di servizi che le organizzazioni senza fine di lucro hanno tradizionalmente fornito. Se saranno in grado di soddisfare questa domanda, le organizzazioni nonprofit po-tranno catturare una rilevante quota del mercato ed assisteran-no ad un incremento del reddito proveniente da tariffe e prezzi. Ciò solleva la questione della relazione più appropriata tra setto-re nonprofit e settosetto-re a fine di lucro, e di quale sia la dimensio-ne desiderabile delle attività del settore nonprofit. Una espan-sione del mercato per i servizi di welfare potrebbe condurre ad uno scenario di tipo americano, dove l'aumentata attività commerciale delle organizzazioni nonprofit ha condotto ad una aspra competizione con il settore a fine di lucro, ed alla richie-sta dell'eliminazione dello richie-status di organizzazione esente. In secondo luogo, il settore non vede certo con entusiasmo un si-mile incremento e la probabile maggior dipendenza dallo Stato. L'accresciuta dipendenza da tariffe e prezzi pagati dallo Stato

porta con sé controlli assai più severi, minor flessibilità e la possibilità di allontanarsi dalla «missione» dell'organizzazione (Knapp ed altri, 1989). Inoltre, nel caso in cui il governo con-servatore dovesse tagliare il cordone ombelicale e trasformare i sussidi all'offerta in assistenza alla domanda di persone con bisogni particolari, le organizzazioni si troverebbero presto a ra-zionare i servizi sulla base della capacità di pagare.

Charities, raccolta di fondi e mass media

Nel momento in cui raccolgono fondi, le organizzazioni non-profit si trovano ad affrontare altri problemi che possono essere bene illustrati considerando gli effetti della campagna di Band Aid nel 1985. Il Band Aid trust (che indirizzava fondi all'Etio-pia dopo la carestia) divenne la più grande organizzazione di raccolta fondi (Charities Aid Foundation, 1988). Ciò generò una notevole pubblicità per le organizzazioni impegnate nell'a-rea dell'aiuto internazionale ed il reddito raccolto da fonti filan-tropiche crebbe, nel 1985-86, del 21% rispetto all'anno prece-dente. Le donazioni alle organizzazioni impegnate nell'aiuto in-ternazionale influenzarono tuttavia negativamente le donazioni ad alcune altre categorie di charities, in particolare quelle delle

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