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2. Per una contestualizzazione della presunta misoginia di Nietzsche

2.2 La donna e il femminile

Per capire il contesto di partenza da cui muove la visione e considerazione della donna e del femminile da parte di Nietzsche, è inoltre fondamentale riconoscere il suo debito nei confronti di Schopenhauer. Nonostante su molti temi Nietzsche si allontani definitivamente dal protagonista della sua terza Inattuale, per quanto riguarda questo particolare argomento essi si trovano tutto sommato vicini.

Nell’intera storia della filosofia, del resto, si riscontra la tendenza a escludere il contributo delle donne alla storia del pensiero. Non sorprende che le affermazioni di Schopenhauer si trovino in linea con quelle di Kant e di Rousseau, e proprio per questo non stupisce nemmeno la convergenza che è possibile trovare con alcune tesi nietzschiane.

In Parerga e paralipomena Schopenhauer si occupa direttamente delle donne in un capitolo a loro dedicato, ma la trattazione sembra, più che un’analisi incentrata su di esse, una sorta di guida per mettere in guardia gli uomini da una

natura ritenuta non solo inferiore, ma addirittura menzognera e cattiva. In altre parole, il punto di vista della narrazione rimane in Schopenhauer esplicitamente maschile, senza che esso apporti delle novità sostanziali alle credenze consolidate in Occidente. È interessante notare – e non certo come giustificazione – che la madre di Schopenhauer, Johanna Trosiener Schopenhauer, era proprio una tra quelle donne che all’epoca si adoperavano per la loro emancipazione intellettuale e fisica.

È possibile ipotizzare che l’antifemminismo del filosofo, per nulla velato, avesse in qualche modo radici in un pessimo rapporto con la figura materna, il cui stile di vita riempiva Schopenhauer di gelosia e di sdegno. Le intenzioni di Schopenhauer, che avrebbero dovuto essere oggettive e scientifiche, mostrano invece un eccessivo coinvolgimento nel tema, rispetto al quale le sue personali vicende biografiche e amorose hanno avuto sicuramente un forte impatto. La sua lettura dunque non si spinge verso la comprensione dell’Eterno femminino: essa descrive piuttosto una donna del tutto senza qualità.103

Il lessico schopenhaueriano è particolarmente diretto ed esplicitamente misogino. Secondo Schopenhauer infatti, le donne sarebbero il secondo sesso, e la loro inferiorità rispetto agli uomini si mostrerebbe in ogni ambito. Il vizio di fondo di quest’argomentazione è, come accennato prima, quello di confondere il dato sociale di fatto con una presunta ragione metafisica, che in quanto principio innato e indubitabile non richiede alcuna giustificazione ulteriore.

L’inferiorità delle donne si evince dal fatto che esse non sarebbero in grado di avere alcun interesse o capacità; esse anzi sono incapaci di avere interessi

oggettivi, e questo principalmente perché il tipo di dominio che possono esercitare

è unicamente indiretto, e cioè sempre per mezzo dell’uomo – il quale invece domina direttamente le cose e le situazioni. Ciò motiva l’assunto che le donne siano sempre volte a conquistare le attenzioni dell’uomo, e che dunque siano dedite solo alla civetteria e lontane da qualsiasi stimolo intellettuale.

La bellezza – legata peraltro unicamente alla libido che sta nell’occhio maschile che la valuta in quanto tale – è vista come arma naturale della donna, utile

103 Sulle vicende biografiche di Schopenhauer e il suo rapporto con le donne cfr. Introduzione di F.

soltanto per la procreazione e destinata a scomparire dopo le gravidanze, così come le ali della formica scompaiono quando non le servono più. La natura delle donne è per Schopenhauer a metà fra quella dei bambini e degli uomini, e ciò le destinerebbe a essere per sempre infantili, lontane dunque dall’essere un vero essere

umano104. Proprio per questo, secondo l’opinione di Schopenhauer, la

rivendicazione di pari diritti da parte delle donne è quasi ridicola, fonte di profonda ingiustizia e spia del decadimento in cui versa l’Occidente:

Esse sono sexus sequior, il secondo sesso, che da ogni punto di vista è inferiore al sesso maschile; perciò bisogna aver riguardi per la debolezza della donna, ma è oltremodo ridicolo attestare venerazione alle donne, essa ci abbassa ai loro stessi occhi. Quando la natura spaccò il genere umano in due metà, il taglio non fu da essa fatto proprio nel mezzo. Nonostante la polarità, la differenza fra polo positivo e polo

negativo non è soltanto qualitativa ma anche quantitativa.105

Se la differenza quantitativa rimanda alla dicotomia forza/debolezza, quella qualitativa riguarda tutta la sfera spirituale e dunque intellettuale, che per le donne sarebbe del tutto preclusa. Schopenhauer sostiene non solo che le donne non siano in grado di conoscere ciò che è oggettivo, ma più in generale che esse non siano in grado di conoscere affatto, da un lato perché non è destino proprio della loro natura, dall’altro perché dedite alla mera curiosità e al chiacchiericcio.

Per tutti questi motivi ciò che ne deriva sul piano pratico è una storia nota, e in particolare una storia di insindacabile sottomissione all’uomo e all’esercizio del suo dominio: «Che la donna, per natura, sia stata destinata all’obbedire, si può riconoscere dal fatto che ogni donna, che venga messa nella posizione per lei innaturale di completa indipendenza, subito si unisce a un uomo, dal quale si lascia guidare e dominare, perché ha bisogno di un padrone. Se è giovane sarà un amante, se è vecchia, un confessore»106.

104 A. SCHOPENHAUER, Parerga e paralipomena II, a cura di M. Carpitella, Milano, Adelphi,

1998, p. 832.

105 Ivi, p. 841. 106 Ivi, p. 848.

C’è però una dote che Schopenhauer ritiene essere connaturata alle donne in modo del tutto innato: la mancanza di raziocinio e l’incapacità di riflessione portano le donne a giocare d’astuzia e a sviluppare e a perfezionare quell’insopprimibile tendenza alla menzogna che la natura ha fornito loro come mezzo di difesa, nello stesso modo in cui lo sono gli artigli per il leone. Solo nella donna la finzione è innata. Vedremo come questo elemento sarà particolarmente importante nell’ultimo Nietzsche.

In ogni campo Nietzsche si è sempre scagliato contro la ristrettezza della veduta culturale e morale tipicamente borghese. Nel corso degli anni e nel susseguirsi delle opere, la sua critica estende la presa dai feticci tipici del suo tempo a quelli ritenuti come verità eterne. Il suo filosofare a colpi di martello, da Umano,

troppo umano a Il crepuscolo degli idoli ha reso possibile non tanto la distruzione

quanto il superamento di quei valori e di quelle credenze che la tradizione sembrava aver reso ormai inopinabili e granitiche. Anche le riflessioni nietzschiane sullo Stato tedesco, sulla sua cultura e sulla Bildung portano il segno di una critica assolutamente radicale a tutti i valori borghesi, che si risolvono, come abbiamo visto, in un’esistenza ritirata, lontana da una società percepita come distante e incapace di comprendere le necessarie novità che la filosofia – e più in generale il pensiero occidentale – si preparava ad accogliere dalla lezione nietzschiana.

C’è però un campo in cui Nietzsche pare non discostarsi troppo dalla mentalità piccolo-borghese maschilista ottocentesca, e anzi accettarne i presupposti senza troppe discussioni: si tratta della sua considerazione della donna, in cui compaiono tutti i più comuni pregiudizi maschili del suo tempo, in diretta concatenazione con le affermazioni di Kant e Schopenhauer.

In Nietzsche non si osserva – così come in altri temi – un’evoluzione consequenziale e lineare delle riflessioni sul femminile e le donne. Sull’argomento è possibile rintracciare un suo interesse a partire da Umano, troppo umano, senza però che sia possibile trovare una posizione univoca o solidamente posta. Dunque, per non rischiare di fraintendere il discorso nietzschiano, occorre sempre mantenere sullo sfondo la provenienza delle sue affermazioni, sia per quanto riguarda il periodo sia in relazione alla peculiarità di ogni singola opera.

Preliminare a questo tipo di ricerca è una distinzione tra la donna e il

femminile, che in senso più ampio permette di rivalutare alcune idee nietzschiane

svincolandole – seppur parzialmente – dai pregiudizi ottocenteschi e contestualizzandoli nell’ambito del suo pensiero. In Nietzsche i due termini sono distinti e rimandano a due concetti che si estendono in modo diverso sia per qualità che per quantità: il femminile comprende la donna ma non s’identifica strettamente con essa; oltrepassa il caso singolo in quanto si radica in una dimensione molto più ampia e primitiva, definibile come una realtà vitale: «Il femminile infatti comprende in sé i concetti di divenire, di fecondità, di immediatezza ma anche di gioco, creazione e sentimento»107.

Da un lato sussiste dunque la realtà contingente, socialmente e storicamente condizionata della donna e del suo ruolo secondo canoni standardizzati e statici; dall’altro invece questa stessa figura può rendersi allegoria di un principio che la oltrepassa interamente e che ha in Nietzsche una connotazione del tutto positiva in quanto dinamica. Non è strano allora che il discorso nietzschiano sulle donne presenti delle insuperabili ambivalenze, che paiono talvolta vere e proprie contraddizioni: infatti, se per quanto riguarda il discorso sulle donne Nietzsche mostra di essere un uomo del suo tempo, con i limiti che da una tale visione conseguono, il femminile in quanto principio è valutato dal filosofo positivamente, e costituisce nell’economia del pensiero nietzschiano un punto per nulla marginale. Ciò non toglie che il carattere di molte affermazioni di Nietzsche risulti sotto certi aspetti anti-femminista, nella misura in cui – come scrive pure Schopenhauer108 – anche la loro smentita da parte di casi singoli non inficia l’assunto di base che considera le donne come esseri inferiori e infidi.

Se in Nietzsche l’ambivalenza è spesso il segno di un pensiero che ritorna su se stesso per poi evolversi dinamicamente, lo stesso non si può dire della sua posizione sulle donne, che mostra invece un carattere statico. Più che di un vero e proprio conflitto, qui si tratta, come accennato prima, di una distinzione di piani che non sempre emerge con chiarezza dagli scritti: uno, quello delle donne, ha carattere sociale e politico, ed è argomentato su base biologica; l’altro, quello del femminile,

107 S.I. RIZZI, Friedrich Nietzsche e Lou Salomé: il femminile e le donne, cit, p. 47. 108 S. SCHOPENHAUER, Parerga e paralipomena II, cit., p. 840.

si articola secondo un punto di vista più prettamente filosofico e in particolare estetico, avendo esso a che fare con il principio generativo del dionisiaco.

È facile comprendere come questi piani possano interagire facilmente e confondersi, nella misura in cui la possibilità di generare, per quanto accordato a un principio che si pone come trasversale ai sessi, di certo non può essere espulsa dalla figura della donna in quanto tale.

Concentrandoci ora sul primo dei due aspetti, si osserva che i riferimenti nietzschiani alle donne si estendono per tutta la sua opera. Il primo compare in

Umano, troppo umano, nella parte intitolata La donna e il bambino. Secondo

Nietzsche, l’immagine che ogni uomo porta della donna è derivata da quella della madre: «da essa ognuno viene determinato a rispettare o a disprezzare le donne in genere, o a essere generalmente indifferente verso di loro»109.

Al contrario, le donne hanno bisogno dei figli e di amarli in modo possessivo, e in questo stesso modo amano i loro mariti, che nel matrimonio vengono abbassati – al contrario delle donne, che nell’istituzione matrimoniale trovano la possibilità di un innalzamento. Alcune donne sono infatti definite da Nietzsche come maschere, in quanto non hanno interiorità.

Più in generale sono le donne ad avere l’intelletto e gli uomini il sentimento: occorre specificare però che per Nietzsche l’intelletto è un elemento meramente passivo che ha bisogno dell’impulso della volontà per realizzarsi in tutta la sua grandezza. In questo senso, nonostante sembri qui rovesciarsi la concezione secondo la quale le donne sono esseri irrazionali o poco capaci, le conclusioni cui Nietzsche arriva sono le stesse di Schopenhauer:

Sull’emancipazione delle donne. Possono le donne in genere essere giuste, quando sono così abituate ad amare, a sentire subito pro o contro? Perciò, anche, esse si infiammano più raramente per una causa, ne diventano subito partigiane, sciupandone in tal modo l’azione pura e innocente. Così un pericolo non piccolo sorge quando vengono loro affidate la politica e certi settori della scienza (per esempio la storia). Giacché: che cosa è più raro di una donna che sappia veramente che

109 F. NIETZSCHE, Umano, troppo umano I, a cura di S. Giametta e M. Montinari, Milano, Adelphi,

cos’è la scienza? Le migliori nutrono addirittura in senso un segreto disprezzo nei suoi riguardi, come se in qualche modo le fossero

superiori. Forse tutto ciò potrà cambiare, ma intanto è così.110

Le donne sono sempre dipinte come più interessate alle persone che non alle cose, e sono qui descritte come volubili e dunque incapaci di dedicarsi all’attività politica ma anche a quella intellettuale, come la storia e la scienza. I loro giudizi repentini sono sintomo di una mancata profondità di conoscenza, che si limita alla sola superficie delle cose e che le rende «tanto più personali che oggettive»111, e dunque incapaci di esercitare una qualsiasi forma di potere secondo giustizia.

Nonostante l’apparenza di una posizione moderata e non innervata di stereotipi, il motivo antifemminista e conservatore nietzschiano emerge più chiaramente nell’aforisma 425, intitolato Lo «Sturm und Drang» delle donne, in cui è possibile vedere un non troppo velato riferimento al Romanticismo tedesco e al ruolo in esso giocato dalle donne:

Nei tre o quattro paesi civilizzati d’Europa si potrà fare delle donne, con alcuni secoli di educazione, tutto ciò che si vorrà, perfino degli uomini, non certo da un punto di vista sessuale, ma comunque sotto ogni altro punto di vista. […] Ma come sopporteremo il conseguente stato di transizione, che forse potrà durare persino un paio di secoli, durante i quali le follie e le ingiustizie femminili, loro antichissimo retaggio, pretenderanno in più di prevalere su tutto ciò che è stato acquisito e appreso? Sarà questo il tempo in cui la collera costituirà la vera passione virile, la collera per il fatto che tutte le arti e scienze saranno inondate e sommerse da un inaudito dilettantismo, la filosofia sarà condannata a morte da un chiacchiericcio dissennato, la politica diventerà più fantastica e partigiana che mai, la società sarà in piena dissoluzione, perché le custodi dell’antico costume saranno diventate ridicole a se stesse e in ogni rapporto si saranno adoperate per rimanere al di fuori del costume. Se infatti le donne avevano la loro più grande potenza nel

110 Ivi, p. 231. 111 Ivi, p. 232.

costume, a che dovranno appigliarsi, per riconquistare una simile

pienezza di potenza, quando avranno rinunciato al costume?112

Non l’arte, né la filosofia né la politica riguarda le donne, ma esclusivamente il costume, il pudore, l’apparenza e, inevitabilmente, il dilettantismo. In quanto le donne «vogliono servire, e trovano in ciò la loro felicità»113, esse difficilmente possono mostrarsi autonome, fosse anche solo nella loro vita intellettuale. Il loro essere rimane legato al ruolo che la tradizione definisce come costume, e solo in questo ambito può risolversi il loro potere. In questo senso, la donna non determina se stessa, ma al contrario è la sua condizione di fatto a retroagire continuamente e a determinare la chiusura di ogni prospettiva futura.

Scrive Nietzsche in Ecce Homo:

«Emancipazione della donna» – questo è l’odio istintivo della donna malriuscita, cioè di quella che non può procreare, per la donna benriuscita, la lotta contro l’«uomo» è sempre solamente pretesto, tattica. Innalzandosi a «donna in sé», «donna superiore», «donna idealista», vogliono abbassare il rango normale delle altre donne; a questo fine istruzione liceale, pantalone e diritti del gregge elettorale sono il mezzo migliore. Infondo le donne emancipate sono le anarchiche del regno dell’«Eterno Femminino», le disgraziate, il loro

istinto più profondo è la vendetta...114

L’antifemminismo nietzschiano emerge in questo passo ancora con maggiore forza. Infatti, il femminismo è qui messo in stretta correlazione con un modo di essere malato tipicamente moderno, nel caso specifico la sterilità, la cui cura – o meglio, la redenzione – è proprio la maternità.

Al contrario, quando le donne avanzano la pretesa di emanciparsi da questo compito prestabilito, ciò mostrerebbe, secondo Nietzsche, il conflitto in cui si trovano con le donne ben riuscite, che sarebbe da ascrivere a un mero sentimento

112 Ivi, p. 235. 113 Ivi, p. 237.

di vendetta e di odio verso le proprie simili. Ogni attività in cui l’emancipazione può esplicarsi, come ad esempio lo studio, si pone in una relazione di aut-aut rispetto al dare alla luce dei figli, una questione che oltretutto Nietzsche non analizza né problematizza più di tanto.

Il fatto che Nietzsche abbia ridotto l’identità femminile alla maternità biologica, allontana dalla femminilità stessa chiunque voglia sottrarsi a questo pregiudizio sociale radicato da secoli nella cultura occidentale. Ed è proprio su questa base che Nietzsche attacca le femministe: la sua critica infatti sta tutta nel negare l’identità femminile delle donne che si dicono femministe. In Ecce Homo le donne che non procreano sono definite come minorate, diminuite cioè nel ruolo che spetta loro, ovvero quello di madri: «Women who chose emancipation are

incapable of giving birth»115.

Dunque, la dicotomia tra uomo e donna dev’essere mantenuta, e per accrescere la distanza occorre necessariamente tracciare una dinamica di potere, che vede l’uomo responsabile di contenere la donna entro il ruolo prestabilito, quasi come se dovesse metterla al riparo dai possibili sentimenti negativi di coloro che invece vogliono metterlo in discussione. Per le donne, non esiste la libera scelta di non generare – come accade ad esempio, nel caso dell’artista e della sua maternità spirituale, ma soltanto il dir di sì al proprio ruolo di madri biologiche.

Ne La volontà di potenza, Nietzsche elabora la metafora della salute e della malattia per spiegare l’origine della morale, sino alla Cristianità, in cui i malati e i deboli detengono l’intero potere. Passando in rassegna diversi tipi di figure che incarnano al meglio la debolezza, tra queste compaiono le donne. È interessante notare che tra tutti i tipi elencati – connotati negativamente nella filosofia nietzschiana per diversi motivi – solo nelle donne la natura di debolezza è determinata dal loro essere biologico. Certo Nietzsche non esclude possibilità di eccezioni, ma la motivazione strettamente biologica che sta alla base del suo ragionamento, così come in altri luoghi, lo rinchiude in una sorta di inappellabilità.

La solidità di queste affermazioni non è guadagnata grazie a un lavoro del pensiero, bensì è preliminarmente assunta come valida per poi essere esplicitata di

115 L. CLARK, L. LANGE (a cura di), The sexism of social and political theory: women and

volta in volta nelle diverse tematiche. In questo senso, il discorso nietzschiano sulla donna risulta intriso dell’antifemminismo tipico dell’epoca.

Nella dicotomia tra uomo e donna è solo quest’ultima a rivestire tutti gli elementi negativi, ovvero quelli che occorre superare per la nascita di una nuova umanità, il cui carattere superiore si esprime nell’esercizio di una sempre più forte – e innegabilmente maschile – volontà: «women have reason, but it doesn’t count; women have passion, but the wrong kind; men have less reason ad less passion than women – but mysteriously, their combination of both is just the right one»116.

Queste riflessioni sembrano contrastare con alcune preziose amicizie che Nietzsche ha avuto modo di coltivare con donne non solo emancipate ma anche saldamente inserite nella propria cerchia sociale, come Lou Salomé, Malwida von Meysenbug e Cosima Wagner. È possibile ipotizzare un cambiamento nel pensiero di Nietzsche dopo il 1882117, anno in cui – come abbiamo visto – egli conosce e frequenta Lou Salomé. In quello stesso anno pubblica La gaia scienza, in cui compare un aforisma, Le padrone dei padroni, in cui Nietzsche scrive:

Una profonda, potente voce di contralto, come si ascolta talora in teatro, ci solleva all’improvviso il sipario dinanzi a possibilità alle quali ordinariamente non crediamo: pensiamo ad un tratto che possano

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