then I began the sacrifice, thrusting the sword into my mother’s throat.
7 nunquam Cougny || 10 moeror Cougny || 12 PERFRUERERE Henzen,
3.1. Se la dottrina dell’actio insegna ad utilizzare nel modo più adatto il corpo dell’oratore, se la drammaturgia stessa
dell’orazione richiede che l’oratore a sua volta utilizzi il corpo del proprio cliente, dei testimoni e talora degli stessi avversari come efficacissimo prop visuale a corredo della parola, un caso particolare di uso del corpo di un personaggio oggetto dell’ora- zione è quello estremo dell’ostensione del suo cadavere.
Un caso eclatante fu a questo riguardo quello che accadde al- la morte di Clodio:
Perlatum est corpus Clodi ante primam noctis horam, infimaeque plebis et servorum maxima multitudo magno luctu corpus in atrio domus positum circumstetit. Augebat autem facti invidiam uxor Clodi Fulvia quae cum ef- fusa lamentatione vulnera eius ostendebat. Maior postera die luce prima
multitudo eiusdem generis confluxit, compluresque noti homines visi sunt. [...] vulgus imperitum corpus nudum ac calcatum, sicut in lecto erat positum, ut vulnera videri possent in forum detulit et in rostris posuit. Ibi pro contione
Plancus et Pompeius qui competitoribus Milonis studebant invidiam Miloni fecerunt. Populus, duce Sex. Clodio scriba, corpus P. Clodi in curiam intulit
cremavitque subselliis et tribunalibus et mensis et codicibus librariorum... 13
Il corpo di Clodio fu portato a Roma prima della prima ora della not- te, e una grande folla composta di gente del popolino e di schiavi lo cir- condò con grandi manifestazioni di afflizione nell’atrio della sua casa, dove era stato deposto. E, cosa che eccitava ancora di più la riprovazione dell’uccisione, la moglie di Clodio, Fulvia, con grandi lamenti mostrava le ferite del marito. [...] la folla ignorante sollevò il corpo, nudo e pesto, come era stato posto sul letto funebre, perché si potessero vedere le ferite, lo tra- sportò al Foro e lo depose sui Rostri. Qui, davanti all’assemblea, Planco e Pompeio, che sostenevano i nemici di Milone, eccitarono la riprovazione contro quest’ultimo. Trascinata dallo scriba Sesto Clodio, la folla trasportò il corpo di Publio Clodio nella Curia e lo bruciò là, su una pira fatta con i ban- chi, le predelle, i tavoli e i libri dei cancellieri....
È evidente lo stretto rapporto fra questo eccezionale impiego politico del cadavere del defunto e la tradizionale e pregnante dimensione visuale della cerimonia del funerale romano, che tanto aveva colpito un osservatore come Polibio. Le stazioni dell’ultimo viaggio del corpo di Clodio sono infatti da un certo punto di vista quelle convenzionali del funerale gentilizio:
13
l’ostensione semiprivata nell’atrio della domus, l’ostensione pubblica dai rostra accompagnata da una performance oratoria, e infine il rogo. Ma l’antico rituale è profondamente innovato al proprio interno dall’immediato scopo di attacco politico contro i responsabili dell’uccisione: e all’ostensione del cadavere si co- niuga, a quanto appare dalla testimonianza di Asconio Pediano, non tanto una tradizionale laudatio del defunto e della sua gens, quanto piuttosto un atto d’accusa e un vero e proprio attacco po- litico contro Milone e i suoi seguaci. Tale attacco viene condot- to prima attraverso una lamentatio per bocca della moglie Ful- via nell’ambito domestico dell’atrium, con l’esibizione delle fe- rite sul corpo del marito (Augebat autem facti invidiam uxor
Clodi Fulvia quae cum effusa lamentatione vulnera eius osten- debat), e poi attraverso una vituperatio di Milone per bocca di
Planco e Pompeo nel luogo del discorso pubblico per eccellen- za, i rostra (ibi pro contione Plancus et Pompeius qui competi-
toribus Milonis studebant invidiam Miloni fecerunt): la rilettura
eversiva del rituale culminerà infine nel rogo che causerà l’in- cendio e la distruzione della Curia.
3.2. Questa reinterpretazione creativa del tradizionale rituale della laudatio funebris avrà ancora molti altri esempi nella cul- tura romana successiva. I funerali di Clodio costituirono proba- bilmente un modello per l’organizzazione dei riti funebri per Cesare dopo il suo assassinio – su cui avremo modo di ritornare più avanti – con il fine di suscitare ostilità (invidia) contro i re- sponsabili della sua morte.
Al contrario, l’ostensione del capo e delle mani mozzate di Cicerone dai rostra,14 dove in vita aveva troneggiato in tutta la
14
Cfr. DCass. 47, 8; App. BC 4, 19; Plut. Cic. 48-49; Ant. 20-21; Iuv. 10, 120. Cornelio Severo dedicò in particolare all’episodio un lungo passo, che doveva presumibilmente appartenere alle Res Romanae (cfr. fr. 13, vv. 1-25 Courtney: devo ad Alessandro Perutelli, in un colloquio di poco precedente la sua prematura scomparsa, la segnalazione di questi versi dalla qualità squisi- tamente visiva, per cui vedi in particolare i vv. 1-3 oraque magnanimum spi-
rantia paene virorum / in rostris iacuere suis, sed enim abstulit omnis, /
tamquam sola foret, rapti Ciceronis imago, in cui Cornelio Severo adopera,
per la testa mozzata di Cicerone, il termine imago, quasi assimilandola alla sua imago funebris). L’esibizione di teste dei nemici uccisi ha naturalmente tradizioni e motivazioni antropologiche sue particolari: tuttavia in questo caso le motivazioni retoriche (sia nel senso, sottolineato in tutti i racconti antichi
sua potenza oratoria, rappresenta una forma di teatralizzazione della morte che porta ad un completo rovesciamento di senso il rituale dell’ostensione del cadavere. Quella pubblica esposizio- ne del cadavere accanto ai rostra, che era fatta tradizionalmente per onorare il defunto ed era accompagnata dalla laudatio, di- viene ora l’esibizione di membra mutilate come supremo gesto di scherno e di vendetta:
Prominenti ex lectica praebentique immotam cervicem caput praecisum est. Nec satis stolidae crudelitati militum fuit: manus quoque scripsisse aliquid in Antonium exprobrantes praeciderunt. Ita relatum caput ad Antonium iussuque eius inter duas manus in rostris positum, ubi ille consul,ubi saepe consularis, ubi eo ipso anno adversus Antonium quanta nulla umquam humana vox cum admiratione eloquentiae auditus fuerat. Vix attollentes madentes lacrimis oculos homines intueri trucidati membra civis poterant.[…] Ut vero iussu Antonii inter duas manus positum in rostris caput conspectum est, quo totiens auditum erat loco, datae gemitu et fletu maximo viro inferiae, nec, ut solet, vitam depositi in rostris corporis contio audivit sed ipsa narravit.15
A lui che sporgeva dalla lettiga e offriva il collo immobile fu tagliata la testa. Né fu abbastanza per la stolta crudeltà dei soldati: anche le mani mozza- rono, disapprovando il fatto che avessero scritto qualcosa contro Antonio. Così la testa fu portata ad Antonio e per ordine di lui fu collocata tra le due mani sui rostri, dove da console, spesso da ex-console, e in quello stesso anno parlando contro Antonio egli era stato ascoltato con tanta ammirazione per la sua eloquenza quanto mai nessun’altra voce umana. A stento sollevando gli sguardi bagnati di lacrime le persone potevano guardare le membra del loro concittadino trucidato. […] Non appena fu visto il suo capo in mezzo alle sue due mani posto per ordine di Antonio sui rostri, da dove tante volte era stato ascoltato, furono offerti a quel grand’uomo riti funebri di gemiti e di pianto: né, come avviene di solito, il popolo riunito ascoltò la biografia dell’uomo deposto sui rostri, ma fu il popolo stesso a narrarla.
È verosimile – anche se in assenza di testimonianze al ri- guardo non possiamo affermarlo con sicurezza – che questa ostensione pubblica vendicativa e umiliante almeno nelle inten-
dell’episodio, di un vero e proprio contrappasso per le Filippiche, sia in quel- lo di offrire un preciso contrappunto visivo a un attacco oratorio contro l’av- versario assassinato) sembrano del tutto prevalenti. Già Cicerone aveva notato il paradosso implicito nell’esposizione sui rostri del capo mozzato dell’ora- tore Marco Antonio (de orat. 3, 10).
15 Sen. Rhet. suas. 6, 17-21: cfr. il contributo di M. Lentano all’interno di
zioni dei mandanti dell’assassinio16 fosse accompagnata da at-
tacchi oratori contro l’Arpinate da parte dei suoi avversari: con un paradossale rovesciamento della laudatio tradizionale (che viene invece in modo straordinario e apparentemente irrituale17
pronunciata informalmente e comunitariamente dalla contio riu- nita nel Foro) in una probabile vituperatio funebris.
4. I prop della laudatio: oggettistica di scena
4.1. L’elemento della visualità è presente nell’oratoria roma- na anche attraverso una grande quantità di ulteriori elementi vi- sivi – e per la precisione, come ho già avuto altrove l’occasione di evidenziare,18 oggetti di vario genere – utilizzati nella per-
formance: ed anche in questo caso il legame con la tradizione
della laudatio funebris emerge evidente dalla trattatistica. Questa vera e propria oggettistica di scena, che mostra con chiarezza forme di avvicinamento dell’oratoria al teatro,19 costi-
tuisce un autentico repertorio di prop visuali legati in vario mo- do alla causa trattata (spade, vesti insanguinate) e dichiarata- mente portati o fatti portare per dir così sulla scena dall’oratore stesso, che intende servirsene per una precisa e deliberata strate- gia.20
16
Si può forse notare a margine anche un parallelismo con una celebre scena teatrale, quella di Agave con la testa del figlio Penteo – davvero insolito ‘oggetto di scena’ – nelle Baccanti euripidee, dove fra l’altro si insiste molto proprio sulla meccanica della visione e del riconoscimento: cfr. Eurip. Bacch. 1264ss.
17 Ma vedi in proposito il contributo di M. Lentano all’interno di questo
volume.
18 Cfr. Moretti 2004a; Moretti 2004b; Moretti 2009.
19 Sugli oggetti di scena nel teatro antico cfr. almeno il cap. Objects and
tokens in Taplin 1978, 77-100 e il cap. Macchine teatrali e attrezzeria in Al-
bini 19943, 95-115.
20 L’uso di oggetti a scopo persuasivo ci è testimoniato fin da fasi antiche
dell’oratoria latina: celebre è il caso del fico libico grosso e maturo che Cato- ne finse di far cadere casualmente dalle pieghe della toga alla fine del suo di- scorso sulla necessità di distruggere Cartagine. Allorché i senatori espressero meraviglia per la bellezza del frutto, Catone ebbe modo di dare voce a un ar- gomento decisivo per la sua causa: e cioè che Cartagine distava da Roma ap- pena tre giorni di navigazione (Plut. CMa: cfr. Aldrete 1999, 27).
Come si è visto nel passo del sesto libro di Quintiliano che abbiamo citato sopra, si tratta di oggetti per lo più utilizzati al fine di suscitare forti emozioni, con un potentissimo effetto di quella che i retori antichi chiamano 7$,(&*/#: la capacità, cioè, di mettere sotto agli occhi del pubblico il fatto trattato quasi nel momento stesso del suo compiersi. Non è un caso allora che il rapido elenco di esempi di questo genere citato da Quintiliano nel libro sesto culmini con la più ampia riflessione dedicata all’impiego fatto da Antonio della toga insanguinata di Cesare durante la sua laudatio funebris:
Quarum rerum ingens plerumque vis est velut in rem praesentem animos
hominum ducentium, ut populum Romanum egit in furorem praetexta C. Caesaris praelata in funere cruenta. Sciebatur interfectum eum, corpus de-
nique ipsum impositum lecto erat, vestis tamen illa sanguine madens ita re-
praesentavit imaginem sceleris ut non occisus esse Caesar sed tum maxime occidi videretur.21
L’impatto di azioni simili è davvero impressionante, come se conduces- sero l’animo davanti alla realtà viva; la toga pretesta di Gaio Cesare, ad esempio, mostrata durante i funerali ancora intrisa di sangue scatenò la furia del popolo romano. Che fosse stato ucciso era noto e il cadavere era ormai deposto sul letto di morte; ma quella veste grondante di sangue ri- propose così brutalmente l’immagine del delitto, che Cesare parve non essere già stato ucciso, ma che fosse assassinato in quel preciso momento.
Sull’importanza patetica di cui venne retoricamente investita la toga insanguinata di Cesare si veda, anche se in forma meno esplicita, la vita svetoniana, che evidenzia non solo le forme in- solite delle preparazioni funebri per Cesare, ma anche l’assoluto rilievo visuale dato proprio alla veste macchiata di sangue, drappeggiata intorno a un tropaeum posto accanto al capo del defunto:
Funere indicto rogus exstructus est in Martio campo iuxta Iuliae tumulum et pro rostris aurata aedes ad simulacrum templi Veneris Genetricis colloca-
21
Quint. inst. 6, 1, 30-31. Nella celebre versione shakespeariana del di- scorso di Antonio, paradigma assoluto di abilità oratoria nel rovesciamento della situazione di partenza e nel capovolgimento degli umori del pubblico, tornerà ancora il tema appunto della veste insanguinata: cfr. Jul. Caes. 3, 2, 173ss. (vd. Beta 2011).
ta; intraque lectus eburneus auro ac purpura stratus et ad caput tropaeum
cum veste, in qua fuerat occisus.22
Ordinati i funerali, il rogo fu eretto nel Campo Marzio, vicino alla tomba di Giulia; davanti ai Rostri fu collocata un’edicola aurea, ispirata alle forme del tempio di Venere Genitrice, e in essa fu collocato un cataletto d’avorio, coperto di porpora ed oro, e vicino al capo un trofeo con sopra la veste che indossava quando fu ucciso.
La toga di Cesare sanguine madens esercitò dunque, durante il discorso di Antonio, un insostituibile effetto patetico: un effet- to che, come vedremo fra poco, aveva a sua volta dei precedenti e dei paralleli inequivocabili nella drammaturgia antica.
4.2. Soffermiamoci però intanto a ricordare sia pur breve- mente come la pompa e la laudatio funebris rappresentassero già in quanto tali un’occasione cerimoniale cui era tutt’altro che estranea la componente teatrale. Vi è in primo luogo la presenza stessa di maschere, sebbene assai differenti rispetto alle canoni- che maschere teatrali per forma, tipologia, funzione, materiale e vocabolo – imagines anziché personae – impiegato a designarle. Vi si aggiunge l’impiego di costumi, e cioè gli abiti e le insegne delle cariche rivestite dagli antenati della gens, costumi per lo più perfettamente coincidenti – va detto – con quelli in uso nella rappresentazione di fabulae praetextae: nella cui rappresenta- zione non è del tutto chiaro, fra l’altro, quale ruolo e tipologia potesse assumere anche lo strumento stesso della maschera, che se effettivamente impiegata poteva forse assumere una forma intermedia fra persona ed imago, in una direzione cioè più ri- trattistica che tipologica. Significativo quindi è anche il possibi- le impiego di attori, che avrebbero indossato appunto imagines e costumi, rivestendo il ruolo degli antenati che sfilavano durante la pompa funebris e fornivano poi un essenziale riferimento vi- suale per la laudatio. Infine, una notoria ed inequivocabile con- nessione ulteriore fra cerimonia funebre e teatro è rappresentata dall’inclusione nel rituale di vere e proprie rappresentazioni tea- trali, tanto comiche quanto tragiche.23 In particolare le fabulae
praetextae sembrano avere un rapporto molto stretto con la ce-
rimonia funebre gentilizia, tanto che è stata avanzata l’ipotesi
22
Suet. Caes. 84.
che proprio in questa esse trovino la loro genesi. Sta di fatto che le praetextae dalla doppia tipologia di cui abbiamo notizia – quelle cioè incentrate su personaggi ed episodi appartenenti alla storia mitica della Roma delle origini (come ad esempio il Ro-
mulus di Nevio, le Sabinae di Ennio o il Brutus di Accio) e
quelle che hanno al loro centro invece episodi e personaggi del- la storia contemporanea (come il Clastidium di Nevio, l’Ambracia di Ennio o il Paulus di Pacuvio) – sembrano ripro- porre il connubio dialettico che nella cerimonia funebre si in- staura fra il personaggio del defunto e la schiera dei suoi antena- ti sempre più lontani nel tempo. Una dialettica che si ripropone anche nella laudatio che, come ci testimonia Polibio, si articola- va in una prima parte di vera e propria lode del defunto e in una seconda parte ‘antiquaria’, in cui si ricordavano le gesta degli antenati, a cominciare dai più antichi.
Questo rapporto complesso ma molto stretto con il teatro e il suo mondo fece sì che l’influsso sull’oratoria romana della tra- dizione di visual tools propria della laudatio funebris si giocasse intorno alle linee di una sempre più accentuata teatralizzazione.
Abbiamo visto sopra come la toga insanguinata di Cesare abbia esercitato un decisivo ruolo patetico – sottolineato da un trattatista di retorica quale Quintiliano – come straordinario strumento visuale per il discorso di Antonio: essa costituì in tal modo un autentico prop oratorio che trova inconfondibili paral- lelismi nella storia del teatro antico.
Si pensi soprattutto alla celebre scena delle Coefore, in cui Oreste, dopo aver compiuto la sua vendetta, esce dal palazzo mostrando al popolo la particolare veste in cui a suo tempo sua madre Clitennestra aveva avvinto e imprigionato, per assassi- narlo, il padre Agamennone. La veste macchiata di sangue è una prova della colpevolezza di Clitennestra, ma ha anche la funzio- ne di attualizzare il momento del delitto e di rendere come pre- sente la figura del morto nel momento stesso in cui – non a ca- so – si pronunciano su di lui parole di lode e di compianto:
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Uccise, o non uccise? Ma questo manto l’attesta. Come lo ha tinto di sangue la spada di Egisto! E gli spruzzi di sangue dell’assassinio si accordano bene al tempo trascorso: hanno corroso i bei colori della porpora dipinta. Soltanto ora posso dire le lodi di mio padre, solo ora posso fare il compianto, ora che parlo a questa veste che l’uccise...
4.3. Se il repertorio degli strumenti visuali dell’oratoria latina attinge – attraverso la mediazione della tradizione visuale della
laudatio – alla tradizione teatrale, e se l’efficacia di tale reim-
piego viene sancita anche dalla trattatistica, i retori avvertono però anche come, nel far uso di ‘oggetti di scena’ collegati con la morte e violentemente patetici (come tuniche o spade insan- guinate), venga richiesta all’oratore grande misura e abilità, in modo che l’uso strategico di questi prop processuali, tragico nelle intenzioni, non viri invece involontariamente verso il co- mico o peggio il mimico per via di impreviste e indesiderabili interazioni con gli altri attori del dramma processuale:
Sed haec tamen non debent esse mimica. Itaque nec illum probaverim, quamquam inter clarissimos sui temporis oratores fuit, qui pueris in epilogum productis talos iecit in medium, quos illi diripere coeperunt; namque haec ipsa discriminis sui ignorantia potuit esse miserabilis: neque illum qui, cum
esset cruentus gladius ab accusatore prolatus, quo is hominem probabat oc-
cisum, subito ex subselliis ut territus fugit, et capite ex parte velato, cum † ad agendum † ex turba prospexisset, interrogavit an iam ille cum gladio reces-
sisset. Fecit enim risum, sed ridiculus fuit.25
Ma queste battute non devono tuttavia sconfinare nella buffoneria. Perciò non potrei apprezzare chi, […] quando da parte dell’accusatore venne mostrata una spada insanguinata, portata come prova dell’omicidio, fuggì all’improvviso dalle tribune, come in preda al terrore e, con la testa in parte velata, dopo che aveva gettato uno sguardo, emergendo dalla folla, † al momento di prendere la parola †, chiese se quello con la spada fosse ormai andato via. Fece ridere, infatti, ma divenne ridicolo.
A corroborare la natura fin troppo scopertamente teatrale di usi come questo citato da Quintiliano, si veda un parallelo di quest’episodio nel teatro di Eschilo, dove all’inizio delle Eume-
nidi (vv. 34ss.), la Pizia fugge carponi, in preda al terrore, dal
24
Aeschl. Ch. 1010ss.
penetrale del tempio dove ha veduto Oreste con in mano la spa- da ancora insanguinata.
5. Le imagines dal discorso epidittico all’oratoria giudizia-
ria e deliberativa
5.1. Vi è però una classe di oggetti il cui impiego all’interno di una causa può essere considerato il livello più alto degli effet- ti emotivi procurati da un referente visuale, e al tempo stesso il culmine dell’influenza della laudatio funebris sulla componente visuale dell’oratoria romana.
Si tratta dell’impiego nell’oratoria giudiziaria o politica di oggetti artistici, come imagines funebres o come ritratti di vario tipo, nella funzione di supporto visivo dotato di straordinaria ef- ficacia potenziale. Proprio come le imagines degli antenati, con-