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Il dramma del rapporto padre-figlio “

Nel documento Tra fides e meritum: l'amore in Terenzio (pagine 68-70)

Da una visione d’insieme questa commedia, assieme agli Adelphoe, credo possa essere definita un dramma delle relazioni fra genitori e figli. Lo dimostra già il fatto che in primo piano, nel dialogo iniziale fra Cremete e Menedemo, i due patres familias della situazione, l’attenzione non sia tanto rivolta alla relazione che Clinia, figlio di Menedemo, intrattiene con una ragazza, quanto piuttosto alla sofferenza del padre che ha perso ogni legame col figlio, partito per l’Asia157, ed ogni speranza di ricucire il rapporto. Ad aggravare i sensi di colpa del vecchio è inoltre la percezione che il figlio si sia allontanato nel tentativo di emularlo o almeno di essere obbediente a quella che presumeva la volontà di chi gli era giuridicamente e socialmente superiore. Lo stesso Menedemo dice di aver fatto valere nei confronti di Clinia, più che un atteggiamento affettuoso e comprensivo, la sua autorità di pater familias, come risulta chiaro dai vv. 99-101 “coepi non humanitus/ neque ut animum decuit aegrotum adulescentuli/

tractare, sed vi et via pervolgata patrum”. L’avverbio humanitus158 si carica, a mio parere, di un valore particolarmente significativo dal momento che segue alla celebre affermazione di Cremete159, in cui Terenzio invita ad avere una speciale attenzione per le relazioni umane in una sorta di vincolo di solidarietà fra pari160. A questa percezione di sé, manifestata dal vecchio Menedemo, fa da eco l’immagine che ha di lui Cremete: egli lo definisce ingenio leni ovvero di animo dolce con Clinia ma lo rimprovera di non

157Ter. Heaut. 117 “in Asiam ad regem militatum abiit, Chreme” 158

Lo scarto semantico dell’avverbio humanitus rispetto al passato viene già evidenziato da Roberta Strati, Ricerche

sugli avverbi latini in –tus, Bologna 1996, pp. 43-47. L’autrice infatti nota come da una valenza semantica prettamente

negativa, atta a sottolineare la natura mortale dell’individuo rispetto alla divina immortalità, qui per la prima volta

humanitus passi invece ad indicare un atteggiamento positivo nei confronti dei simili. La scelta di questo termine

sembra quindi non essere dovuta solo a motivazioni metriche ( visto che il più comune humane non poteva essere collocato nella medesima posizione) ma ad una consapevole volontà stilistica e contenutistica dell’autore.

159Ter. Heaut. 77 “CH. homo sum: humani nil a me alienum puto”

160Riguardo al valore del termine humanitas in Terenzio si vedano G. Comerci, Humanitas, liberalitas, aequitas : nuova

paideia e mediazione sociale negli Adelphoe di Terenzio in Bollettino di Studi Latini, anno XXIV, fascicolo I, 1994, pp.

3-44; M. Bettini – L. Ricottilli, Elogio dell’indiscrezione, op. cit., pp. 11-27( in una prospettiva antropologica e pragmatica); H. Haffter, Terenzio e la sua personalità artistica, introduzione, traduzione e appendice bibliografica di D. Nardo, Roma 1969, pp. 95-104.; un prospettiva più generale la offre invece A. Traina, Comoedia. Antologia della

palliata, Padova 1997, pp. 9-22. Mi sembra poi molto interessante rilevare il collegamento stabilito fra l’homo sum e il

culto dell’immagine, intesa sia come sdoppiamento allo specchio che come icona prodotta, in M. Bettini, Il ritratto

essere riuscito a comunicare al figlio quanto gli stesse a cuore. D’altra parte a quest’ultimo riconosce il torto di non essersi affidato nelle mani del genitore.161 Interessante l’utilizzo a tale proposito del verbo credo che ha sicuramente il significato di confidarsi ma anche quello legato alle antiche pratiche, già indoeuropee, di gestire le relazioni sociali, di affidarsi in cambio di qualcosa.162 Dopo aver dato l’illusione di pensare la relazione fra padre e figlio quasi come pseudosimmetrica, nei confronti di Clitifone, appena pochi versi più avanti, ribadisce la complementarità di questo tipo di rapporto, attenuando la forza della sua affermazione, che altrimenti sarebbe suonata forse contraddittoria, attraverso l’utilizzo della proposizione interrogativa al v. 203 “huncin erat aequom ex illi(u)s more an illum ex huiu’ vivere?”. Anziché quindi sentenziare che i figli devono vivere secondo l’usanza dei padri, i cui mores sono certamente dominanti a livello sociale, chiede al figlio di farlo, dando alla sua affermazione una forza legata al consenso sociale di più generazioni.

D’altra parte lo stesso Cremete verrà tradito dal figlio che, dopo aver riconosciuto formalmente la sua autorità ed avere accettato i suoi costumi ( cosa che non avrebbe potuto avvenire diversamente senza scadere in una inevitabile tragedia), sperpera parte del patrimonio di famiglia in banchetti e meretrici, proprio quelle cose che Cremete gli vieta di fare, come è evidente dalla sua affermazione al v. 206 “scortari crebro nolunt,

nolunt crebro convivarier”, nel tentativo di dispensare pillole di saggezza al giovane

figlio sul comportamento dei genitori163.

Terenzio sembra evidenziare con particolare forza questo verso attraverso l’uso dell’anafora, che struttura in forma chiastica la sententia del vecchio, inconsapevole di porre l’accento proprio su quelli che si riveleranno essere i vizi di Clitifone, i quali determineranno la rottura della fides con il padre.

Queste considerazioni rendono quindi particolarmente umoristica la tirata di Cremete ai versi 192-195 , in cui dice che genitori, parenti, amici, ricchezze sono beni che danno la felicità se bene spesi, beandosi della illusione che per il proprio figlio tutto ciò sia senza

161Ter. Heaut. vv.155-156 “tu illum numquam ostendisti quanti penderes/nec tibi illest credere ausu’ quae est aequom

patri”

162Vedi DEL, s. v. credo 163

Comportamento che non è davvero esemplare, dal momento che anche lo stesso Cremete sembra essersi dedicato alle attività che ora rimprovera nel figlio, come quest’ultimo lascia intuire al v. 220 “is mi, ubi adbibit plus paullo, sua

ombra di dubbio fonte di felicità, in nome della virtus, osannata come sommo valore ai vv. 207-208.

Considerando lo svolgimento di entrambi i rapporti parentali trattati nel testo, notiamo che la relazione, che sembrava fallita in partenza, diventa quella funzionale a riconfermare il sistema dei rapporti fra padri e figli nella società romana mentre il rapporto fra Clitifone e Cremete, che inizialmente si presenta come una perfetta realizzazione dell’obbedienza filiale nei confronti del pater familias, risulta fallimentare. La discriminante sta, a mio parere proprio nella fides che Clinia ripone ciecamente nel padre, cosa che lo fa partire per l’Asia e di nuovo rivelare, anche se con qualche timore, la sua relazione, a differenza di Clitifone che, già dal suo ingresso in scena sa di aver tradito il rapporto con il genitore e le sue aspettative. Sempre all’insegna del sotterfugio prosegue la vicenda di Clitifone e Bacchide, fino all’epilogo finale in cui l’intervento di Sostrata a sostegno del figlio permette di trovare un accomodante compromesso: il giovane, per ottenere il perdono paterno, acconsentirà a prender moglie164. Si avvera così la sententia di Siro ai vv. 991-993 “matres omnes

filiis/ in peccato adiutrices, auxilio in paterna iniuria /solent esse”165.

Nel documento Tra fides e meritum: l'amore in Terenzio (pagine 68-70)