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3.1.3 Drogaggio con ioni dei lantanidi e luminescenza

diversa natura. Una strategia che permette di impiegare i quantum dots in bioimaging consiste nel rivestirne la superficie con un guscio (shell) di un materiale avente band gap elevato, al fine di permettere il confinamento degli eccitoni nel core costituito dal quantum

dot [Steckel, 2004]. Nanocristalli, cosiddetti core-shell, di (CdS)ZnS sono oggetto di

numerosi studi [Korgel, 2000; Zhong, 2003; Yang, 2006] e le loro proprietà li rendono potenziali agenti di contrasto in CT; un eventuale drogaggio del core con ioni Mn2+ permette ulteriore utilizzo di tali compositi come agenti di contrasto in MRI [Santra, 2005]. Tra i fluorofori inorganici di altra natura in bioimaging sono utilizzate le nanoparticelle di silice, in quanto otticamente trasparenti, disperdibili in acqua, inerti biologicamente e modificabili in superficie al fine di legare le molecole bersaglio. La fluorescenza, in questo caso, viene emessa da opportuni coloranti organici introdotti all’interno delle particelle come droganti, che acquistano maggiore fotostabilità e ridotta tossicità perché schermati dalla silice [Hahn, 2011; Mancin, 2006]. Tali vantaggi sono propri anche dei sistemi ottenuti drogando le nanoparticelle di silice con i quantum dots; nanocompositi CdS/SiO2 presentano ad esempio proprietà derivanti dalla combinazione delle caratteristiche dei due componenti e la presenza del guscio esterno di silice ne permette l’introduzione in ambiente fisiologico, senza indurre danni a cellule e tessuti [Schlecht, 2007]. In altri lavori riportati in letteratura [Yu, 2008; Capobianco, 2010], nanomateriali drogati per emettere fluorescenza sono descritti come potenziali markers biologici. Si tratta di matrici di ossidi o fluoruri, drogati con ioni dei lantanidi che assorbono nel vicino infrarosso (980 nm) ed emettono a energia più alta con tempi di vita della fluorescenza compresi tra i µs e i ms. Essi prendono il nome di

up-converting nanomaterials in quanto l’up-conversion è il fenomeno caratterizzato da

assorbimento successivo di due o più fotoni a bassa energia (IR) e da emissione di un singolo fotone ad alta energia (visibile).

3.1.3 Drogaggio con ioni dei lantanidi e luminescenza

Il drogaggio con ioni dei lantanidi conferisce ai materiali proprietà luminescenti derivanti da transizioni elettroniche radiative interne al guscio 4f degli ioni trivalenti di questi elementi. Se la matrice ospitante gli ioni è di natura inorganica, l’efficienza quantica della luminescenza in genere aumenta, in quanto le vibrazioni altamente energetiche dei legami chimici di matrici organiche attenuano notevolmente la luminescenza dei lantanidi. Materiali luminescenti, ottenuti per drogaggio con ioni dei lantanidi, trovano applicazione come emettitori a fosfori, amplificatori ottici, lasers e displays [Becker, 1999; Feldmann, 2003]. L’estensione del loro utilizzo al bioimaging richiede approfondimento in quanto prevede analisi di citotossicità e biocompatibilità sui materiali ottenuti.

I lantanidi sono gli elementi che si collocano dopo il lantanio nella tavola periodica e sono caratterizzati dal progressivo riempimento degli orbitali 4f, spostandosi da sinistra a destra lungo il periodo. La reattività e la chimica di coordinazione non variano molto da elemento a elemento in quanto gli elettroni del guscio 4f sono schermati dai gusci pieni 5s e 5p e quindi la configurazione elettronica non varia considerando tutti gli elementi della serie. Per lo stesso motivo, la separazione degli orbitali prevista dalla teoria del campo cristallino (pari a circa 100 cm-1) ha un minimo effetto sull’energia dei termini atomici, che risulta fortemente influenzata dall’accoppiamento spin-orbita. Le costanti di accoppiamento sono dell’ordine dei 2000 cm-1, fatta eccezione per l’europio e il samario in cui le costanti assumono valori prossimi all’energia di agitazione termica (kT), rendendo possibile la popolazione degli stati aventi energia immediatamente superiore allo stato fondamentale. In figura 3.10 si riportano le energie dei termini atomici delle configurazioni elettroniche degli ioni trivalenti dei

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lantanidi, secondo lo schema dell’accoppiamento Russell-Saunders [Cotton, 1999]. Il numero delle possibili transizioni è elevato e gli spettri elettronici degli ioni dei lantanidi sono caratterizzati da numerose bande di assorbimento strette perché dovute a transizioni f-f non influenzate dall’intorno. Queste transizioni hanno tuttavia coefficiente di assorbimento basso (ε < 10 L mol-1 cm-1)poiché risultano proibite per violazione della regola di Laporte e avvengono per mescolamento con transizioni permesse, quali 4f-5d [Housecroft, 2008].

Figura 3.10 Livelli energetici degli ioni trivalenti dei lantanidi.

La luminescenza degli ioni trivalenti dei lantanidi è generata da transizioni 4f-4f in seguito ad eccitazione ed è caratterizzata da spettri di emissione stretti (Figura 3.11) e tempi di vita della fluorescenza lunghi (μs – ms). Lo stato eccitato può rilassare a stato fondamentale anche tramite fenomeni di tipo non-radiativo che prevedono trasferimento di energia all’intorno [Carnall, 1989] o ad altri ioni dei lantanidi [Crosswhite, 1967]. Nel primo caso, la luminescenza non si osserva, mentre la conseguenza del secondo caso è l’emissione di fluorescenza da parte dello ione che acquista energia nel trasferimento.

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Il drogaggio con ioni dei lantanidi interessa principalmente matrici isolanti e semiconduttrici; nell’ultimo decennio l’attenzione si è focalizzata sulla preparazione di nanostrutture drogate al fine di permetterne l’utilizzo in campo biomedico come marcatori fluorescenti inorganici [Bünzli, 2005].

Nanoparticelle inorganiche di diversa natura vengono attualmente utilizzate per il

bioimaging diagnostico e terapeutico e tale applicazione comporta esposizione delle

particelle e conseguentemente delle cellule cui sono legate a stimoli esterni (radiazioni) che potrebbero modificare la natura chimica dei fluorofori inducendo potenziale tossicità o compromettere l’omeostasi cellulare.

Tra i requisiti dei marcatori fluorescenti biologici, descritti nel paragrafo 3.1.1, la biocompatibilità e la bassa tossicità sono fondamentali per il loro effettivo utilizzo in

bioimaging. Con il termine biocompatibilità ci si riferisce alla capacità del materiale di

svolgere la sua funzione in ambiente fisiologico senza subire o causare modifiche al sistema; una sostanza viene definita, invece, tossica se provoca danni fisiologici all’organismo [Williams, 2008].

Non esistono protocolli universalmente riconosciuti per lo studio della tossicità in vitro e in

vivo delle nanoparticelle perché, in base alle dimensioni, alla carica superficiale e

all’eventuale rivestimento i parametri da considerare cambiano. Inoltre, a seconda della tecnica di visualizzazione e della natura del tessuto da analizzare, le dimensioni opportune variano e diventa importante valutare gli effetti a lungo termine dell’interazione con i singoli comparti biologici.

Recentemente è stato proposto un modello per ottimizzare gli studi di tossicità cellulare delle nanoparticelle [Soenen, 2011]. I parametri da controllare nella sintesi di potenziali marcatori biologici nanostrutturati riguardano dimensioni, forma, purezza e carica superficiale. Sebbene i meccanismi di penetrazione (uptake) delle particelle nelle cellule e il loro trasporto intracellulare siano ancora oggetto di studio, il processo più plausibile consiste nell’endocitosi che prevede la formazione di un’invaginazione della membrana atta ad inglobare in una vescicola la sostanza da introdurre per poi trasportarla nel plasma. Qui la vescicola si fonde con altri organelli, detti lisosomi, che digeriscono le sostanze inglobate e rilasciano i detriti nello spazio extracellulare mediante fusione con la membrana cellulare. La fagocitosi e la pinocitosi sono altre tecniche di penetrazione delle sostanze al’interno delle cellule e si riferiscono rispettivamente all’uptake di particelle di grandi dimensioni (> 0.5 μm) e all’inglobamento di fluido extracellulare con conseguente apporto di tutte le sostanze disperse [Silverstein, 1977]. L’uptake cellulare dipende fortemente dalle dimensioni dei sistemi entranti che non devono essere inferiori ai 5 nm in quanto rischierebbero di penetrare nel nucleo e non devono superare i 200 nm poiché l’uptake diverrebbe meno efficiente e con esso la possibilità di ricavare le informazioni desiderate. Anche la forma influenza la penetrazione all’interno delle cellule che risulta massima per particelle sferiche [Hauck, 2008]. La vitalità cellulare risulta invece compromessa dalla presenza di impurezze introdotte nelle cellule unitamente alle nanoparticelle. Ioni metallici o stabilizzanti organici in eccesso, utilizzati nella sintesi, devono essere rimossi mediante dialisi contro tampone fisiologico prima dell’uptake. Infine la carica superficiale impedisce l’aggregazione delle particelle e ne influenza la stabilità, mentre la composizione superficiale può avere effetti sulla tossicità, in misura dipendente dal tipo di gruppi funzionali utilizzati [Mailänder, 2009]. I fattori determinanti la tossicità non riguardano unicamente le proprietà intrinseche dei nanomateriali, ma comprendono anche le procedure sintetiche per la preparazione delle nanoparticelle e il tipo di ceppo cellulare analizzato. Di conseguenza, nanoparticelle atossiche per specifiche cellule potrebbero indurre apoptosi o danni ad altre tipologie

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cellulari. Inoltre, metodi diversi usati per valutare la citotossicità dei medesimi sistemi sembrano dare esiti discordanti. Molti tests sono infatti di tipo colorimetrico e nanoparticelle capaci di assorbire o emettere luce potrebbero dare segnali falsi positivi inficiando l’esattezza dei risultati [Choi, 2011]. Tutti i tests in vivo e in vitro noti si effettuano esponendo le cellule al nanomateriale in ambiente biologico. A tale scopo, le nanoparticelle inorganiche vengono sempre rivestite, tramite opportuni protocolli di funzionalizzazione, da molecole che le rendano disperdibili in acqua o in tamponi fisiologici.

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Capitolo 4