• Non ci sono risultati.

Le due species di poteri del giudice e la loro incidenza sul

Come già anticipato nel par. precedente, il processo, concepito come struttura, a fini descrittivi, può essere scomposto in due tronconi, l’uno relativo ai modi e ai tempi cui è vincolata l’attività dei soggetti ad esso partecipanti, l’altro concernente l’apporto che ciascuno di questi soggetti può fornire nella fase di raccolta del materiale necessario alla decisione: gli stessi concetti sono espressi dalla dottrina francese con le espressioni, rispettivamente, di marche de l’instance e di matière du procès.

Prima di concentrarsi sulla prima tematica, però, è opportuno trattare e risolvere una questione preliminare.

La dottrina italiana, assumendo il punto di vista del giudice, suole distinguere fra poteri di direzione formale e poteri di direzione materiale del procedimento23: nella prima classe si considerano annoverati i poteri estrinsecantisi nel profilo della conduzione strumentale del giudizio, ossia quelli che «att[engono] alla «tecnica» del funzionamento di esso»24, mentre nella seconda vengono racchiuse le «attribuzioni [e le] iniziative ufficiose del giudice nella trattazione e nell’istruzione della causa»25.

Le due prospettive giungono a risultati sostanzialmente identici, pur partendo da premesse diverse: quella qui adottata prende le mosse da una visione ‘globale’ del fenomeno processuale, l’altra, prevalente nella dottrina del nostro paese, si concentra sulla figura dell’organo decidente, recependo, in buona sostanza, la bipartizione tra formelle e

23 Questo schema classificatorio si deve a CAPPELLETTI M., La testimonianza

di parte nel sistema dell’oralità: contributo alla teoria della utilizzazione del sapere delle parti nel processo civile, Giuffrè, Milano, 1962, vol. I, pp. 70 e ss.

24 MARENGO R., La discrezionalità del giudice civile, Giappichelli, Torino, 1996, p. 117.

25 FICCARELLI B., Fase preparatoria del processo civile e case management

materielle Prozessleitung, così come elaborata nei paesi di lingua tedesca26.

Nell’economia di questo lavoro assume notevole interesse stabilire se vi siano poteri formali di direzione «capaci di incidere, da soli o nella combinazione con l’esercizio dei poteri di parte, sul contenuto della decisione finale»27; infatti, mentre nessuno dubita che l’intervento officioso in materia di fatti e prove – pur non potendosi spingere fino all’allegazione di fatti ulteriori rispetto a quelli introdotti in giudizio dalle parti (c.d. divieto di scienza privata, art. 97 disp. att. c.p.c.), e rimanendo escluso anche con riguardo al rilievo di fatti che fondano le c.d. eccezioni in senso stretto (art. 112 c.p.c.) – condiziona considerevolmente l’esito della contesa, molto più articolate e differenziate sono le opinioni con riguardo alla risposta da dare al quesito che ci si è posti in precedenza.

A ben vedere, anzi, il criterio classificatorio sopra enunciato è stato elaborato dalla dottrina di lingua tedesca, proprio al fine di distinguere nettamente l’attività del giudice insuscettibile di orientare la soluzione della controversia, da quella che invece di tale attitudine è dotata; facendo poi coincidere, sostanzialmente, questi due settori, rispettivamente, con la categoria dei poteri di direzione formale e con quella dei poteri di direzione materiale28.

È necessario precisare fin da subito che questa posizione non è condivisibile perché, se si può concordare con l’opinione secondo cui tutte le manifestazioni di poteri del secondo gruppo sono tali da poter

26 FICCARELLI B., op. cit.

27 Seguendo quindi il percorso di indagine già tracciato da FABBRINI G., voce

Potere del giudice (dir. proc. civ.), in: Enc. dir., vol. XXXIV, Giuffrè, Milano, 1985,

pp. 721 – 744, p. 723.

28 Si noti che CAPPELLETTI M., pur riproponendo tale suddivisione, assume rispetto ad essa una posizione marcatamente originale, tanto è vero che inserisce le iniziative probatorie del giudice nell’ambito dei poteri di direzione formale, limitando così il perimetro dei poteri di direzione materiale alle materie dell’allegazione dei fatti e delle domande di merito (cfr. op. ult. cit., pp. 71 – 72).

orientare l’attività decisoria, non altrettanto si può dire per l’opposta convinzione, di sostanziale ‘innocuità’ degli interventi del primo tipo.

All’interno della categoria dei c.d. poteri di direzione formale sono infatti incorporate attività del giudice anche molto differenti fra loro; in essa, nel nostro ordinamento, è racchiuso, infatti, un sostanzioso insieme di fattispecie, riconducibili all’area disegnata dagli artt. 127, comma 2, e 175 c.p.c., quest’ultimo, non a caso, rubricato «Direzione del procedimento».

Si possono ricordare in proposito, senza alcuna pretesa di completezza29:

a. i c.d. poteri di polizia d’udienza (artt. 128 – 130 c.p.c.), che, in fondo, costituiscono il nucleo originario della ‘famiglia’ dei poteri formali, quelli la cui considerazione, probabilmente, ha spinto la dottrina a mettere a punto una apposita categoria dogmatica;

b. il potere di fissare le udienze successive alla prima (art. 175, comma 2, c.p.c);

c. il potere di provocare l’intervento di terzi (art. 107 c.p.c.), di riunire e separare le cause connesse (artt. 103, comma 2, 104 comma 2, 273, 274 e 277, comma 2, c.p.c.) e di dichiarare la sospensione necessaria del processo (art. 295 c.p.c.);

d. il potere di regolare la discussione, determinando i punti sui quali essa deve svolgersi e dichiarandola chiusa quando è ritenuta sufficiente (art. 127, comma 2, c.p.c.);

e. il potere di rilevare la nullità di singoli atti processuali e, ove possibile, disporne la rinnovazione;

29 Cfr. FICCARELLI B., op. cit., pp. 26 – 27 anche per un’elencazione più minuziosa.

f. il potere di fissare, prorogare o abbreviare i termini entro i quali le parti devono compiere atti processuali (ancora una volta art. 175, comma 2, c.p.c.).

Mentre i poteri di cui alle lettere a. e b. sono, per valutazione pressoché pacifica, inidonei ad influire sul contenuto della decisione30, gli altri necessitano di una più approfondita disamina.

Cominciando dall’ipotesi sub c., già Fabbrini31 parla, pur senza andare a fondo sul tema, di una certa «incidenza sul merito della scelta procedimentale» di istituti che a «una prima parvenza [sembrano] appartenere alla sfera degli atti e dei poteri di mero governo del processo».

Abbozzando soltanto, per motivi di economia della trattazione, l’analisi diretta degli stessi, cui l’Autore si era intenzionalmente ‘sottratto’, limitatamente al profilo che qui interessa, si può al riguardo rilevare, ad esempio, come nella riunione e nella separazione delle cause connesse è ravvisabile un possibile condizionamento della sentenza, sia pure non particolarmente ‘intenso’, se non altro perché, attraverso l’adozione di tali provvedimenti, il giudice può accomunare il ‘destino’ procedimentale di controversie che prima erano divise, e viceversa.

Nel momento in cui, poi, si rivolge l’attenzione alle ipotesi di cui alle lettere d., e., f., l’insostenibilità della teoria dell’ininfluenza sostanziale dei poteri di direzione formale appare ancor più evidente.

Anzitutto la discussione, per poter avere una qualche utilità e non trasformarsi in un vuoto esercizio di capacità oratoria o di puro sfoggio

30 Cfr., per tutti, con riguardo al potere di fissazione delle udienze successive alla prima PROTO PISANI A., Appunti sul valore della cognizione piena, in: Foro it., pt. V, 2002, cc. 65 – 74, c. 72; si tenga presente, comunque, che, come sottolinea MARENGO R., op. ult. cit., p. 118, pur non avendo conseguenze dirette sul contenuto

della decisione, il suddetto potere, condizionando i tempi di svolgimento del giudizio, può produrre effetti non certo irrilevanti sul piano patrimoniale, specialmente su quello della parte che risulta vittoriosa, visto che influisce sulla realizzazione del principio, ormai costituzionalizzato, della ragionevole durata del processo.

31 FABBRINI G., op. cit., p. 723 nota 5. Si noti che l’Autore, per riferirsi ai poteri non idonei ad incidere sul contenuto della decisione di merito usa la locuzione «poteri

di forbita eloquenza, deve avere per l’appunto la capacità, quantomeno eventuale, di orientare in un senso o in un altro il provvedimento decisorio che conclude il processo32.

Passando al potere di rilevare le nullità degli atti processuali, una volta che si sia d’accordo sul fatto che queste ultime sono previste quali strumenti «di tutela in concreto dell’effettività del contraddittorio» e «della correttezza del gioco dialettico di una parte nei confronti dell’altra»33, non si può negare che l’esercizio del potere stesso abbia conseguenze dirette sul contenuto della decisione.

Infine, il potere concesso al giudice, di stabilire discrezionalmente la misura dei termini – ed eventualmente, in seguito, anche di modificarla in aumento o in diminuzione – nel rispetto del quale le parti devono compiere determinati atti processuali, non può che ripercuotersi sul concreto ed effettivo esercizio del diritto di difesa di queste, e, di conseguenza, sulle chances di cui le stesse godono di far valere compiutamente le proprie ragioni, e dunque di orientare in senso a loro favorevole la sentenza.

D’altra parte, come acutamente notato, «il dovere di direzione formale e quello di direzione materiale sono strettamente legati […] per essere entrambi preordinati all’emanazione del provvedimento di merito»34.

Non a caso Fazzalari, riferendosi al sistema delineato nel testo originario del c.p.c. (1940), pur prescindendo dalla distinzione tra poteri di direzione formale e materiale, al momento di procedere alla ricognizione dei poteri del giudice istruttore, che, a suo parere, consentono a quest’ultimo di fare da «crivello per tutte le attività delle parti», ritiene opportuno includervi il compito di dirigere il

32 Così, con ragionamento ineccepibile, MARENGO R., op. cit., p. 118. 33 FABBRINI G., op. ult. cit., p. 725.

procedimento, «fissando udienze e termini, e autorizzando eventuali difese scritte»35.

Si noti, del resto, che a risultati non diversi giunge Raselli nel suo lavoro sulla discrezionalità del giudice civile, pur prendendo le mosse dalla teoria chiovendiana del processo come rapporto giuridico, che allora andava per la maggiore, e nel vigore del c.p.c. del 186536: egli, infatti, adoperandosi nel tentativo di individuare il tratto distintivo tra discrezionalità giudiziale e discrezionalità amministrativa, nello specifico campo da lui stesso definito della «attività preparatoria della decisione», ritiene di poterlo cogliere in ciò, che «mentre l’autorità amministrativa può svolgere la propria azione in certi campi, senza menomare i diritti di altri soggetti, gli atti del giudice, in quanto influiscono sullo svolgimento del rapporto processuale, hanno necessariamente rilevanza per le parti ed influenza sulla loro posizione giuridica, perché servono a determinare il contenuto della decisione finale»37.

Per di più, la soluzione qui accolta è anche quella che maggiormente si attaglia alla visione che l’ ‘uomo della strada’ ha, in genere, del processo: come riporta Baur, invero, questi, sovente, «non ravvisa la causa della perdita di un processo nel fatto che il giudice abbia male applicato il diritto in senso sostanziale, ma lamenta che un teste da lui indicato non sia stato ascoltato o non abbia deposto sotto giuramento; che non sia stato dato ascolto a lui stesso, come parte, ma bensì all’avversario: che il giudice gli abbia tolto la parola, abbia respinto come tardivo un suo asserto, abbia suggerito all’avversario l’istanza più appropriata da proporre, ed altre cose simili»38.

35 FAZZALARI E., La funzione del giudice nella direzione del processo civile, in:

Riv. dir. proc., I, 1963, pp. 64 – 72, in particolare pp. 67 – 68.

36 RASELLI A., Il potere discrezionale del giudice civile, Cedam, Padova, 1927 – 1935, vol. I, pp. 216 e ss.

37 RASELLI A., op. cit., p. 218. 38 BAUR F., op. cit., pp. 1683 – 1684.

In conclusione, si ritiene di aver dimostrato che il potere attribuito al giudice in materia di forme e termini processuali, nel suo concreto esercizio, può incidere sul contenuto della decisione; oltretutto il discorso è stato portato avanti avendo come punto di riferimento il processo civile italiano, che, come risulterà dal prosieguo dell’esposizione, è uno dei più rigidi nel panorama europeo, dato che, come si avrà modo di sottolineare nei prossimi paragrafi, quantomeno con riguardo al rito ordinario, concede al giudice spazi di discrezionalità minimi in ordine allo svolgimento dell’attività procedimentale.

Ne discende ulteriormente, allora, che, quanto maggiore è la possibilità di intervento dell’organo giudicante nel modellare il dispiegarsi dell’attività processuale che si svolge dinanzi a lui, tanto maggiori sono i rischi che le scelte relative al modo di procedere possano influire sul contenuto della decisione e, di conseguenza, tanta più accuratezza deve mostrare la legge processuale nell’approntare un sistema equilibrato di criteri, contrappesi e controlli capaci di garantire in concreto il diritto di difesa e l’uguaglianza formale e sostanziale delle parti.

3. Processi a struttura rigida e processi a struttura elastica.

Documenti correlati