• Non ci sono risultati.

4.1 La necessità darwiniana del gradualismo

Thomas Henry Huxley, detto “il mastino di Darwin”, fu un forte sostenitore e promotore della teoria darwiniana, anche se la sua difesa riguardava più l’evoluzionismo complessivo di Darwin che la teoria della selezione naturale in senso stretto. Huxley non mancava di interessamento per le vicende politiche variamente intrecciate con il dibattito evoluzionistico. Fu già Huxley ad affermare, comunicandolo anche allo stesso Darwin, che l’evoluzione a volte cambia velocità, che la gradualità non è costante. Circa un secolo dopo Gould riprenderà questa controversia riconducendo l’insistenza darwiniana della gradualità a una matrice di tipo politico-epistemologica.1 Ovvero, la gradualità era per Darwin una carta forte da poter giocare contro la visione creazionista, una carta indispensabile per reggere le fondamenta di un evoluzionismo che all’epoca veniva attaccato da tutte le parti. Se in natura non avvengono interventi dall’esterno, interventi come quelli che invece il creazionismo sosteneva che avvenissero, Darwin pensò allora che il motore dell’evoluzione avrebbe dovuto procedere gradualmente.

Darwin, almeno pubblicamente, non negava l’esistenza divina e non credeva che la religione fosse una mera superstizione. L’intervento divino, qualora fosse avvenuto, avrebbe però dovuto agire all’origine della vita e non durante il suo corso. Come riferisce Giuliano Pancaldi,2 nel libro sull’origine delle specie Darwin aggiunse, a partire dalla seconda edizione e per tutte le restanti, che le forme originarie della vita potevano essere state impresse da un Creatore. Tuttavia, una volta comparsa, la vita sulla Terra avrebbe proceduto secondo leggi proprie, che non implicavano interventi divini nelle speciazioni. Questo punto, molto importante al fine di evitare una visione teleologica

1 Myrna P. Sheldon, Claiming Darwin: Stephen Jay Gould in contests over evolutionary orthodoxy and public

perception, 1977-2002, «Elsevier: Studies in History and Philosophy of Biological and Biomedical Sciences»,

vol. 45 (2014), p. 141.

69

del succedersi degli eventi, trovava delle fondamenta stabili proprio nella gradualità di un simile processo. La gradualità, dunque, era alla base di una natura entro la quale ciò che avveniva non era imposto da direttive esterne, una natura il cui funzionamento indipendente dalla divinità trovava esplicitazione nella gradualità evolutiva. Ammettere che nell’evoluzione a volte ci siano dei salti era una grave minaccia per le ancora fragili scienze evoluzionistiche. In altre parole, anche se Darwin avesse ammesso la validità di salti o variazioni delle velocità evolutive, di cui lo informò già il suo più stretto collega Huxley, probabilmente non avrebbe concesso ad essi alcuno spazio nella sua teoria. Se si voleva convincere la comunità che l’evoluzione non dipendeva da nient’altro che dagli organismi stessi e dall’ambiente, la comparsa improvvisa di alcune speciazioni non era certo di aiuto. Darwin quindi insistette, a volte anche contro valide argomentazioni, sulla gradualità dell’evoluzione. Tutto ciò ci porta a riflettere sul modo in cui la scienza spesso opera. La messa da parte di alcuni tasselli non è sempre dovuta a motivazioni scientifiche. La dimensione sociale, e politica, influisce sulla scienza non solo esternamente ma anche e soprattutto internamente.

4.2 Verso un nuovo paradigma

Durante il riemergere del creazionismo americano negli anni ’80, furono mosse delle accuse a Gould per aver dato nuovamente credito a quelle teorizzazioni che, criticando la gradualità dell’evoluzione, mettevano in crisi l’indipendenza della natura. In particolare, i creazionisti, in seguito ai dibattiti evoluzionistici su come interpretare la mancanza di esemplari intermedi nelle speciazioni, hanno messo in dubbio la scientificità delle teorie sull’evoluzione a partire appunto dalle lacune paleontologiche e avvalendosi delle affermazioni di Gould. Sostenitori del creazionismo come Henry M. Morris hanno reinterpretato a sfavore dell’evoluzione le affermazioni gouldiane, che sono state perciò, da alcuni, ritenute dannose per le ricerche evoluzionistiche, come riportato da molti autori come Robert Wright. Il fatto è che Gould non aveva alcuna intenzione di dare credito ai creazionisti, molti dei quali manifestavano neanche troppo implicitamente delle inclinazioni discriminatorie. Le critiche che Gould fece alle teorie evoluzionistiche erano divenute semmai inevitabili dato l’avanzamento di tali studi. Le nuove conoscenze ecologiche avanzate da Hutchinson, la biologia comportamentale, le nuove tecniche di analisi, e l’approfondimento degli studi etologici erano, insieme a

70

tanti altri fattori, elementi di potenziale crisi del paradigma evoluzionista come veniva sostenuto nella moderna sintesi neodarwiniana. Gould fu solo il portavoce, sebbene eccellente, di una rivoluzione paradigmatica resa necessaria dall’avanzamento epistemologico delle teorie evoluzionistiche. D’altro canto, peraltro, i movimenti sociali degli anni precedenti avevano spinto alcuni partiti a rafforzare la loro presa sulla società: il creazionismo non tornò certo per la crisi dell’evoluzione, semmai, si intrecciò con essa. Mentre lo spavaldo Gould fu colui che ammise che con Ronald W. Reagan gli Stati Uniti avevano posto un creazionista a capo della White House.

Questa commistione di controversie biologico-scientifiche, attaccate dal perlopiù monocromatico creazionismo, fu ciò che andò definendosi come Darwin wars.3

4.3 Il declino del gradualismo, un secolo dopo Darwin

Nel 1979 la Boston Science Communications (BSC), con la direzione di Eugene Scott, e con la partecipazione di Gould ed Eldredge, produsse un breve film: How scientists

know about punctuated equilibria. Qui il creazionismo viene denunciato per il suo

tentativo di avvalersi della difficile situazione dell’evoluzionismo, che era in crisi tra un paradigma e l’altro, attraverso una propaganda di disinformazione. Viene inoltre spiegato come la crisi delle scienze paleontologiche, causata dall’assenza di esemplari intermedi nelle speciazioni, sia aggravata dal paradigma darwiniano della gradualità.4

Per molti intellettuali come Charles Doolittle Walcott, il gradualismo darwiniano assecondava l’idea di un’evoluzione progressiva in una direzione precisa. Senza passare per il controverso intreccio tra causalità e progressione, questi intellettuali sostenevano, come diceva Gould, una “scala evolutiva” dagli organismi più semplici a quelli più complessi, fino all’essere umano. Un tipo di interpretazione del gradualismo che poteva adattarsi al creazionismo tanto quanto quella degli equilibri punteggiati. Le critiche di Gould a Walcott, tra la decimazione improvvisa e l’ascesa graduale del più adatto, tra la contingenza e la causalità, potrebbero essere interpretate come la controversia quantistica tra la natura corpuscolare oppure ondulatoria degli elettroni, e

3 Myrna P. Sheldon, Claiming Darwin, cit., pp. 139-40. 4 Ivi, p. 141.

71

maturare, anche senza risolversi, in un discorso più ampio in grado di differenziare entrambe le prospettive entro una nuova e più ampia teorizzazione.5

Quando passò ad Harvard Gould dovette concentrarsi sugli aspetti tecnici dell’evoluzione, aspetti che avrebbero messo in evidenza la congiunzione tra scienze biologiche e sociali, congiunzione molto diversa però da quella proposta dalla sociobiologia di Wilson, come Gould cercò di chiarire in Biological Potential vs

Biological Determinism (1976). Allo stesso tempo, manteneva accesi i suoi interessi

politici e sociali, era per esempio informato sulla tipologia di lettori che leggevano i suoi articoli per Natural History. Questa tensione tra la figura accademica, socialmente distante, e l’intellettuale socialmente attivo andò aumentando, soprattutto dopo la comparsa della sociobiologia, e lo accompagnò per il resto della sua vita.6

La questione del gradualismo, come abbiamo visto, non era solo una questione scientifica, ma anche politica. Cambiando l’inclinazione delle ricerche cambia anche l’interpretazione dei dati. Il gradualismo di Darwin, la carta che aveva giocato per fronteggiare gli attacchi del creazionismo, poteva essere usata dal creazionismo stesso traducendo il graduale con il progressivo e il progressivo con il teleologico, con il predeterminato. Una predeterminazione che, Gould lo sapeva bene, metteva le catene attorno agli organismi facendone come dei burattini.

Un gradualismo costante nell’evoluzione avrebbe significato una causazione costante, e una causazione costante avrebbe significato una causazione direzionale che, seppure casuale nelle variazioni evolutive, sarebbe stata nel complesso una progressiva ed inevitabile causazione teleologica. Questa inevitabile teleologia dell’evoluzione era esattamente ciò che Gould voleva combattere proponendo un’evoluzione imprevedibile. Utilizzando un programma informatico realizzato da David M. Raup, Gould dimostrò come la casualità avesse un ruolo preponderante rispetto alla causalità. Nel percorso simulato venne impostata la casualità nei passaggi da una specie all’altra, si vide così che il percorso evolutivo simulato casualmente mostrava dei diagrammi di speciazione, stasi, ed estinzione praticamente indistinguibili

5 Murdo W. McRae, Stephen Jay Gould and the Contingent Nature of History, «Clio», vol. 22 (1993), pp. 139-50. 6 Myrna P. Sheldon, Evolutionary activism., cit., p. 108.

72

da quelli emersi dai modelli basati sui dati reali dei reperti fossili, dimostrando così l’esistenza della casualità nell’evoluzione.7

4.4 L'approccio interdisciplinare antiriduzionista

Il bombardamento mediatico generato dalla sociobiologia, insieme con l’esaltazione della genetica, portarono nuovamente polvere sui reperti fossili.

Negli anni di mezzo del XX secolo Simpson era stato una delle figure della paleontologia statunitense a promuovere il connubio tra la sua materia e la biologia, stimolando i contatti tra i paleontologi e i genetisti. Nei decenni successivi, però, questo approccio interdisciplinare venne meno, forse anche a causa delle critiche alla sociobiologia di Wilson, che sembravano proporsi l’intenzione di distruggerla piuttosto che di approfondirla e rielaborarla. Inoltre, l’etologia, la scienza del comportamento animale, era ancora uno studio poco sviluppato, e ancora meno lo era l’etologia evoluzionistica. Ma c’è un altro motivo per cui fu ridotto il collegamento tra paleontologia e biologia, un motivo che era già insito nello stesso Simpson. G.G, come lo chiamavano, stava infatti puntando sui genetisti per risolvere la questione degli enigmi della storia evolutiva dei reperti fossili. Se da un lato ciò avvicinava i due approcci, dall’altro mancava di offrire ai paleontologi la possibilità di interpretare i dati. Quello di Simpson era quindi un affiancamento piuttosto che un’intersezione interdisciplinare.8

John Maynard Smith, che era un eminente genetista, dopo essersi pronunciato in modo poco lusinghiero sulla paleontologia dicendo che i paleontologi avrebbero dovuto cercare fossili per darli in mano ai genetisti “senza disturbare gli adulti”, fu costretto a ricredersi, come ammise su Nature nel 1984, quando Gould, proprio dallo studio dei fossili, sviluppò la teoria degli equilibri punteggiati. In altre parole, l’approccio evoluzionistico ed interdisciplinare applicato alla paleontologia, con il quale Gould, insieme ad altri come Eldredge, Thomas Schopf e David M. Raup, aveva costruito una nuova visione dell’evoluzione, aprì le porte a nuove prospettive di ricerca anche per

7 David Sepkoski, Stephen Jay Gould, Darwinian Iconoclast?, cit., p. 330.

8 David Sepkoski, Stephen Jay Gould, Jack Sepkoski, and the ‘Quantitative Revolution’ in American Paleobiology, cit., pp. 209-10.

73

altre discipline come la biologia e la genetica, e, naturalmente, non solo a riguardo delle specie più antiche.9

Gould puntò molto sulla ricerca di analisi quantitative dei dati per sostenere la paleontologia evoluzionistica ed ibridarla con la biologia. Richiamò numerosi studenti, come Jack Sepkoski (Joseph John Sepkoski Jr) che contribuirono a questo processo e dimostrarono cosa volesse dire “approccio interdisciplinare”: non solo un affiancamento di discipline diverse, ma la loro commistione. Sepkoski utilizzò il modello di Wilson, appreso nella frequenza di due corsi tenuti da Wilson stesso ad Harvard, e alcune ricerche di Robert H. MacArthur sulla biogeografia delle isole a proposito dei mitili dei fiumi, per interpretare le popolazioni di queste specie sulla base di quel modello, facendo dei fiumi delle isole ecologiche. In generale, Sepkoski combinò la biologia delle popolazioni con l’ecologia sulla base di un’equazione logica.10

Questo approccio, che Sepkoski sviluppò con grande vigore, portò ad analisi che dimostrarono l’esistenza di modalità evolutive macroscopiche, come quelle relative alle famiglie e alle specie, al fianco di quelle microscopiche. Ciò stava a significare, per studiosi come Eldredge e Gould, che la selezione a livello di specie svolgeva un ruolo preponderante rispetto a quella individuale. In questo passaggio si rendeva evidente come la rivoluzione dei paradigmi evoluzionistici era qualcosa che intaccava profondamente, non solo in modo strutturale come nella “Modern Synthesis”, la teoria darwiniana, fortemente improntata sulla selezione individuale. Si andò così prospettando più di un assestamento del paradigma evoluzionista. Si avvicinava la rivoluzione di un intero paradigma.11

9 Ivi, pp. 210-1. 10 Ivi, pp. 216-26. 11 Ivi, pp. 231-234.

74

Capitolo V