Nei primi anni Novanta, una serie di riforme politiche in Africa subsahariana hanno gradualmente portato
ECONOMIA E RISORSE
L’andamento economico
dell’Africa subsahariana è stato generalmente insoddisfacente fino agli anni Novanta – e in modo particolare tra la seconda metà degli anni Settanta e gli anni Ottanta – pur con ovvie differenze nei percorsi dei singoli paesi (il Botswana ha registrato risultati eccezionali, pressoché ininterrotti
dall’indipendenza ad oggi; la Costa d’Avorio crebbe bene fino al 1980; il Ghana, viceversa, ha avuto una buona crescita a partire dalla metà degli anni Ottanta).
Le difficoltà incontrate, e in particolare le crisi fiscali degli anni Ottanta (il ‘decennio nero’), obbligarono le
economie africane a rivolgersi a Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale
Cause di migrazione e contesti di origine 32
per ottenere sostegno finanziario. In cambio, le istituzioni di Washington imposero però dure riforme, note come programmi di aggiustamento strutturale,
che prevedevano la riduzione dell’impiego pubblico,
liberalizzazioni, privatizzazioni e tagli ai servizi sociali. Il prezzo pagato fu dunque elevato – soprattutto dal punto di vista sociale – e i risultati non univoci, ma nel loro complesso le riforme spinsero verso un generale miglioramento della gestione macroeconomica sul
continente.
Dall’inizio del nuovo millennio, la regione
subsahariana ha vissuto una più solida fase di sviluppo,
relativamente ampia quanto ai paesi coinvolti e decisamente sostenuta come lasso temporale, con progressi economici e sociali più marcati di quanto non si fosse verificato, per un analogo, consistente periodo di tempo, in nessun momento successivo all’indipendenza.
Nel loro complesso, le economie dell’Africa
subsahariana sono cresciute
ad una media del 5% annuo
tra il 2000 e il 2018. La
crescita post-2000 è stata accompagnata da una più ampia serie di trasformazioni,
tuttora in corso, che stanno ridisegnando diversi aspetti delle società subsahariane, inclusa una rapida urbanizzazione legata all’espansione demografica, la diffusione delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione, i processi di integrazione regionale. Osservatori e attori esterni hanno dunque iniziato a guardare diversamente al continente, non più come a un’area intrattabile, caratterizzata da instabilità politica e insuccessi
economici, ma piuttosto come a una regione promettente e in ascesa, una nuova ‘Africa emergente’.
Il rallentamento dell’economia
globale, tra 2015 e 2016, ha
avuto importanti ripercussioni sullo scenario economico
africano, soprattutto per il crollo dei prezzi di molte materie prime, e in particolare quello del petrolio a partire da fine 2014. Il punto più basso si è raggiunto nel 2016, con una crescita pari solo all’1,4% per l’area subsahariana nel suo complesso, il valore più basso dal 1992, prima di una moderata risalita (3,2% nel 2018 e 2019). In questa nuova fase, i percorsi di crescita dei singoli paesi si sono fatti più eterogenei, con economie
come Etiopia o Rwanda, ma anche Costa d’Avorio o Kenya, che continuano a ottenere ottimi risultati, e altre, come Nigeria, Ciad o Angola, frenate dal contenimento dei prezzi di esportazione di risorse chiave, come il petrolio.
Con la nuova congiuntura è riemerso inoltre il problema dell’indebitamento crescente
di diverse economie della regione, un fenomeno che si era già presentato in maniera drammatica tra gli anni Ottanta e Novanta ed era stato temporaneamente
L’area regionale Africa Subsahariana 33
superato grazie alle iniziative internazionali di cancellazione del debito. Numerosi
governi africani, negli anni recenti, hanno sottoscritto prestiti molto consistenti – soprattutto per finanziare
progetti infrastrutturali –
attingendo abbondantemente non solo ai fondi messi a loro disposizione da
istituzioni multilaterali e donatori occidentali, ma anche a disponibilità di tipo nuovo offerte dai mercati finanziari e dalla Cina. Oggi
i costi del debito sono diventati molto elevati e talvolta difficili da sostenere, mettendo in difficoltà paesi come Ghana, Zambia o Congo-Brazzaville. Alcuni
governi africani – è il caso del Mozambico – sono stati peraltro travolti da scandali derivanti dall’occultamento di importanti quote di debito.
Molte economie subsahariane restano dipendenti
dall’esportazione di risorse primarie, senza (o quasi senza)
lavorazione industriale. Diversi sono i produttori di petrolio,
Cause di migrazione e contesti di origine 34
incluse la Nigeria e l’Angola, prima e terza economia per dimensioni nella regione, ma anche Congo-Brazzaville, Guinea Equatoriale, Gabon, Sud Sudan e Ciad. Altrove, a svolgere un ruolo importante è l’export di risorse minerarie
come rame (Zambia e Congo-Kinshasa), bauxite (Guinea) oro (Mali, in misura minore
Tanzania e Mauritania), uranio (Niger), oppure di prodotti agricoli come cacao (Costa
d’Avorio e Ghana, primo e secondo produttore mondiale, rispettivamente), tè (Kenya) o caffè (Etiopia, Rwanda, Uganda). Con l’eccezione del Sudafrica, l’economia più avanzata nella regione, il
grado di diversificazione delle
attività economiche resta generalmente basso, anche
se paesi come Costa d’Avorio, Kenya o Ghana presentano strutture economiche
moderatamente differenziate. Se fino agli anni Ottanta molti paesi nella regione tentarono la strada di una rapida
industrializzazione, oggi molti di essi hanno riscoperto e
L’area regionale Africa Subsahariana 35
rivalutato il potenziale del settore agricolo. Paesi come
Kenya ed Etiopia, ad esempio, hanno sviluppato settori di floricoltura piuttosto dinamici, votati all’export verso i mercati europei.
Nonostante i progressi e pur nel contesto di importanti differenze da paese a paese, le economie africane nel loro complesso non sono ancora riuscite a compiere una effettiva trasformazione strutturale, rimanendo
principalmente legate all’esportazione di prodotti primari. Anche quando crescono, faticano inoltre
a creare posti di lavoro
in numero sufficiente per una popolazione in forte espansione. Restano peraltro frenate dall’importante
deficit infrastrutturale
che caratterizza l’intero continente – pur con l’eccezione del Sudafrica e in presenza di grandi divari tra aree e paesi diversi – dai trasporti all’energia, alle telecomunicazioni e altro ancora.
Sul piano regionale, l’economia del continente resta comparativamente frammentata. Gli scambi commerciali intra-africani restano limitati – attorno
al 17% del totale nel 2017 (in Europa raggiungono il 67%) – in parte in virtù del fatto che i paesi africani sono accomunati dalla tendenza ad esportare materie prime e importare prodotti finiti, provenienti dall’esterno del continente. La nuova area di libero scambio (African Continental Free Trade Area)
entrata in vigore nel 2019, ha lo scopo di promuovere maggiormente il commercio interno alla regione e con esso lo sviluppo africano. Se con i primi quindici anni del millennio il momento di maggior dinamismo economico si è forse esaurito, tuttavia, la tendenza generale resta discretamente positiva.
Ben 11 dei 20 paesi dai
quali il Fondo Monetario Internazionale si aspetta
la crescita economica più
marcata tra il 2020 e il 2024,
sul piano globale, si trovano a sud del Sahara.