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ECONOMIA E RISORSE

Nel documento CAUSE DI MIGRAZIONE E CONTESTI DI ORIGINE (pagine 32-36)

Nei primi anni Novanta, una serie di riforme politiche in Africa subsahariana hanno gradualmente portato

ECONOMIA E RISORSE

L’andamento economico

dell’Africa subsahariana è stato generalmente insoddisfacente fino agli anni Novanta – e in modo particolare tra la seconda metà degli anni Settanta e gli anni Ottanta – pur con ovvie differenze nei percorsi dei singoli paesi (il Botswana ha registrato risultati eccezionali, pressoché ininterrotti

dall’indipendenza ad oggi; la Costa d’Avorio crebbe bene fino al 1980; il Ghana, viceversa, ha avuto una buona crescita a partire dalla metà degli anni Ottanta).

Le difficoltà incontrate, e in particolare le crisi fiscali degli anni Ottanta (il ‘decennio nero’), obbligarono le

economie africane a rivolgersi a Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale

Cause di migrazione e contesti di origine 32

per ottenere sostegno finanziario. In cambio, le istituzioni di Washington imposero però dure riforme, note come programmi di aggiustamento strutturale,

che prevedevano la riduzione dell’impiego pubblico,

liberalizzazioni, privatizzazioni e tagli ai servizi sociali. Il prezzo pagato fu dunque elevato – soprattutto dal punto di vista sociale – e i risultati non univoci, ma nel loro complesso le riforme spinsero verso un generale miglioramento della gestione macroeconomica sul

continente.

Dall’inizio del nuovo millennio, la regione

subsahariana ha vissuto una più solida fase di sviluppo,

relativamente ampia quanto ai paesi coinvolti e decisamente sostenuta come lasso temporale, con progressi economici e sociali più marcati di quanto non si fosse verificato, per un analogo, consistente periodo di tempo, in nessun momento successivo all’indipendenza.

Nel loro complesso, le economie dell’Africa

subsahariana sono cresciute

ad una media del 5% annuo

tra il 2000 e il 2018. La

crescita post-2000 è stata accompagnata da una più ampia serie di trasformazioni,

tuttora in corso, che stanno ridisegnando diversi aspetti delle società subsahariane, inclusa una rapida urbanizzazione legata all’espansione demografica, la diffusione delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione, i processi di integrazione regionale. Osservatori e attori esterni hanno dunque iniziato a guardare diversamente al continente, non più come a un’area intrattabile, caratterizzata da instabilità politica e insuccessi

economici, ma piuttosto come a una regione promettente e in ascesa, una nuova ‘Africa emergente’.

Il rallentamento dell’economia

globale, tra 2015 e 2016, ha

avuto importanti ripercussioni sullo scenario economico

africano, soprattutto per il crollo dei prezzi di molte materie prime, e in particolare quello del petrolio a partire da fine 2014. Il punto più basso si è raggiunto nel 2016, con una crescita pari solo all’1,4% per l’area subsahariana nel suo complesso, il valore più basso dal 1992, prima di una moderata risalita (3,2% nel 2018 e 2019). In questa nuova fase, i percorsi di crescita dei singoli paesi si sono fatti più eterogenei, con economie

come Etiopia o Rwanda, ma anche Costa d’Avorio o Kenya, che continuano a ottenere ottimi risultati, e altre, come Nigeria, Ciad o Angola, frenate dal contenimento dei prezzi di esportazione di risorse chiave, come il petrolio.

Con la nuova congiuntura è riemerso inoltre il problema dell’indebitamento crescente

di diverse economie della regione, un fenomeno che si era già presentato in maniera drammatica tra gli anni Ottanta e Novanta ed era stato temporaneamente

L’area regionale Africa Subsahariana 33

superato grazie alle iniziative internazionali di cancellazione del debito. Numerosi

governi africani, negli anni recenti, hanno sottoscritto prestiti molto consistenti – soprattutto per finanziare

progetti infrastrutturali –

attingendo abbondantemente non solo ai fondi messi a loro disposizione da

istituzioni multilaterali e donatori occidentali, ma anche a disponibilità di tipo nuovo offerte dai mercati finanziari e dalla Cina. Oggi

i costi del debito sono diventati molto elevati e talvolta difficili da sostenere, mettendo in difficoltà paesi come Ghana, Zambia o Congo-Brazzaville. Alcuni

governi africani – è il caso del Mozambico – sono stati peraltro travolti da scandali derivanti dall’occultamento di importanti quote di debito.

Molte economie subsahariane restano dipendenti

dall’esportazione di risorse primarie, senza (o quasi senza)

lavorazione industriale. Diversi sono i produttori di petrolio,

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incluse la Nigeria e l’Angola, prima e terza economia per dimensioni nella regione, ma anche Congo-Brazzaville, Guinea Equatoriale, Gabon, Sud Sudan e Ciad. Altrove, a svolgere un ruolo importante è l’export di risorse minerarie

come rame (Zambia e Congo-Kinshasa), bauxite (Guinea) oro (Mali, in misura minore

Tanzania e Mauritania), uranio (Niger), oppure di prodotti agricoli come cacao (Costa

d’Avorio e Ghana, primo e secondo produttore mondiale, rispettivamente), tè (Kenya) o caffè (Etiopia, Rwanda, Uganda). Con l’eccezione del Sudafrica, l’economia più avanzata nella regione, il

grado di diversificazione delle

attività economiche resta generalmente basso, anche

se paesi come Costa d’Avorio, Kenya o Ghana presentano strutture economiche

moderatamente differenziate. Se fino agli anni Ottanta molti paesi nella regione tentarono la strada di una rapida

industrializzazione, oggi molti di essi hanno riscoperto e

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rivalutato il potenziale del settore agricolo. Paesi come

Kenya ed Etiopia, ad esempio, hanno sviluppato settori di floricoltura piuttosto dinamici, votati all’export verso i mercati europei.

Nonostante i progressi e pur nel contesto di importanti differenze da paese a paese, le economie africane nel loro complesso non sono ancora riuscite a compiere una effettiva trasformazione strutturale, rimanendo

principalmente legate all’esportazione di prodotti primari. Anche quando crescono, faticano inoltre

a creare posti di lavoro

in numero sufficiente per una popolazione in forte espansione. Restano peraltro frenate dall’importante

deficit infrastrutturale

che caratterizza l’intero continente – pur con l’eccezione del Sudafrica e in presenza di grandi divari tra aree e paesi diversi – dai trasporti all’energia, alle telecomunicazioni e altro ancora.

Sul piano regionale, l’economia del continente resta comparativamente frammentata. Gli scambi commerciali intra-africani restano limitati – attorno

al 17% del totale nel 2017 (in Europa raggiungono il 67%) – in parte in virtù del fatto che i paesi africani sono accomunati dalla tendenza ad esportare materie prime e importare prodotti finiti, provenienti dall’esterno del continente. La nuova area di libero scambio (African Continental Free Trade Area)

entrata in vigore nel 2019, ha lo scopo di promuovere maggiormente il commercio interno alla regione e con esso lo sviluppo africano. Se con i primi quindici anni del millennio il momento di maggior dinamismo economico si è forse esaurito, tuttavia, la tendenza generale resta discretamente positiva.

Ben 11 dei 20 paesi dai

quali il Fondo Monetario Internazionale si aspetta

la crescita economica più

marcata tra il 2020 e il 2024,

sul piano globale, si trovano a sud del Sahara.

Nel documento CAUSE DI MIGRAZIONE E CONTESTI DI ORIGINE (pagine 32-36)