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Gli effetti della società civile

L’assicurazione del diritto naturale per mezzo del pactum u-

nionis civilis è l’effetto principale che Kant attribuisce alla socie-

tà civile. Al medesimo concetto si accosta con intento critico Rousseau, che invece mutua dalla tradizione del diritto natura- le l’elemento volontaristico del contratto. Abbiamo visto co- me negli scritti politici e nella Rechtslehre Kant prenda esplici- tamente le parti del ginevrino, ma anche come i presupposti teoretici della filosofia del diritto kantiana siano molto distanti dall’olismo rousseauiano. Ciò che Kant apprezzava maggior- mente di Rousseau era l’aver connesso il problema del con- tratto sociale a quello della libertà morale degli individui, che si risolve nel carattere dell’autonomia del volere ed apre un nuovo orizzonte alla dottrina dei costumi. Kant ripropone pertanto l’affermazione secondo la quale: “l’obbedienza alla legge che si siamo prescritta è libertà” mentre “l’impulso del solo appetito è schiavitù”98. Una tale contiguità deve essere

studiata nell’orizzonte della differenza specifica tra le due filo- sofie della politica. Anche se Rousseau ha negato di voler ––––––––––

97 “Il principio di ciò si può dedurre analiticamente dal concetto del

diritto nel [suo] rapporto esterno in opposizione alla forza [Gewalt] (violen- tia)” (ibid., § 42 cit.).

formulare una tesi filosofica sulla libertà, egli la interpreta in riferimento alla struttura della società civile, e in tal modo la rappresenta secondo un carattere convenzionale, finendo col risolverla in una teoria del costume99. Rousseau appartiene,

suo malgrado, a quella stessa tradizione di pensiero che lega lo sviluppo dei costumi alla civilizzazione.

Una tale assunzione produce alcune conseguenze fonda- mentali nella teoria del patto sociale: in primo luogo, l’unione civile si presenta come un presupposto politico dell’ordine giuridico-legale; in secondo luogo, la libertà morale viene inte- sa esclusivamente nel senso della libertà civile100; in terzo luogo,

la libertà civile (o politica) risulta fondamentale per lo sviluppo delle mœurs e per questa ragione la sua figura è essenziale per comprendere le trasformazioni delle istituzioni giuridiche. Se è vero che Kant, come Rousseau, vede nel mondo dei costumi la presenza di un’antinomia tra forza e diritto, la funzione di quest’ultima per lo sviluppo dei costumi non è interpretata per questo allo stesso modo. È stato già detto come la Rechtslehre veda il fondamento dell’ordine giuridico in un presupposto anteriore al patto di unione civile. Per quanto mancante della completezza costituita da quella coercibilità che è un effetto del passaggio alla società civile, secondo Kant il diritto natura- le resta immediatamente prescrittivo: le norme che possono essere generate dallo jus naturae valgono come “doveri giuridi- ci” (Rechtspflichten). Anche qualora non abbiano la condizione materiale propria dei doveri di “stretta obbligazione”, tutte le norme di diritto naturale, in assenza di un potere coercitivo in grado di farle eseguire, di quei doveri conservano la condizio- ne formale di possibilità. Pertanto, le obbligazioni di diritto naturale assumono sempre il carattere dei doveri perfetti101. A tal

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99 Ibid.; naturalmente, il termine “costume” assume qui un significato

del tutto differente da quello fatto proprio da Kant, per il quale le Sitten non appartengono all’ethos politico ma alla morale.

100 Un termine, quest’ultimo, che in Rousseau equivale sempre a

quello di libertà politica.

101 MdS, Einl., § 3, pp. 219-221; trad. it. cit., pp. 21-23; MdS, Einth., §

2, p. 240; trad. it. cit., p. 48. All’interno della dottrina del diritto questa posizione risulta molto più problematica che all’interno dell’etica (cfr. la

proposito interviene il concetto di “legge permissiva della ra- gione”, a cui Kant aveva conferito un pieno rilievo giuridico, sebbene contemplandola come una figura atipica. Sostenendo la piena partecipazione delle leggi permissive alla dottrina del diritto, all’interno del diritto pubblico Kant le impiega come un elemento di mediazione tra la condizione di stretta positivi- tà giuridica propria dello jus civitatis e la più debole e insicura condizione dello jus gentium, che tuttavia egli non considera af- fatto aliena da prescrizioni normative. Grazie alla tipologia dello jus latum, è possibile allora disciplinare quelle condizioni che restano ancóra estranee alle forme del diritto positivo, come nel caso del diritto cosmopolitico102.

La figura dello jus latum interpreta appieno la funzione del

principio morale del diritto. Il concetto di moralità è presente già nello stato di natura, guidando il passaggio dal diritto provvisorio al diritto perentorio; in esso si trovano le ragioni ultime della completa affermazione esterna del regno del dirit- to103. Per quanto il progresso nei costumi possa essere misura-

to attraverso quello sviluppo delle istituzioni pubbliche, reli- giose e giuridiche, che lascia intravedere persino il migliora- mento morale del genere umano, tanto l’etica quanto il diritto secondo Kant non possono mai trovare la loro origine nell’artificio della convenzione. Unificate nel costume, etica e diritto sono l’espressione una legislazione universale della ra- gione, che è in grado di parlare anche al “sano intelletto co-

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nota 92), ma non per questo ci pare meno fedele al pensiero di Kant: Mrongovius, pp. 1419-1421; Powalski, p. 144; E, pp. 37-39, p. 55; cfr. GMS, p. 421; trad. it. cit, p. 50.

102 ZeF, pp. 347-348; trad. it. cit., p. 168; MdS, Einl., § 4, p. 223; trad.

it. cit., p. 25. Già nelle lezioni troviamo la distinzione tra diritto positivo (o statutario), diritto naturale e diritto di equità: le prime due figure ap- partengono allo jus strictum, la terza allo jus latum; infine, prese tutte in- sieme, tali forme del diritto compongono la sfera dello jus in sensu proprio: Powalski, p. 135, p. 145; Mrongovius, p. 1421; E, p. 40.

103 “Senza ordine civile l’intero diritto di natura è una semplice dot-

mune” perché è originariamente radicata nel principio morale che ha sede nell’uomo104.

Una prova del solco che divide la prospettiva convenziona- listica dalla prospettiva trascendentale è la radicale separazione nella quale il ginevrino ha mantenuto lo stato di natura dallo stato civile. Anche se Rousseau non condivide la tesi di Hob- bes che vede l’uomo naturale in preda a una passionalità vio- lenta e senza freni, e a questa tesi sostituisce l’immagine di una condizione originaria nella quale i comportamenti umani ap- paiono segnati da un profondo sentimento di pietà, resta fer- ma il comune imbarazzo nel rivestire di giuridicità lo stato di natura105. Nonostante qualche formula in favore della legge

naturale, peraltro di difficile valutazione, presente sia in alcuni passaggi dei testi a stampa (in modo particolare nel secondo

Discorso e nell’Émile), sia in luoghi della corrispondenza, per

Rousseau il diritto in senso stretto rimane un elemento della civiltà; in particolare, il diritto è il risultato di quello stesso progresso che allontana gli uomini dalla condizione di inno- cenza. Anche lo sviluppo della ragione è figlia di un tale allon- tanamento: tra il sentimento e le inclinazioni naturali, da un lato, e la razionalità, dall’altro, resta uno iato che copre la di- stanza tra natura e società. La forza della storia spinge alla perdita della naturalità nella sua veste originaria, sviluppando un inesorabile movimento dell’intero genere umano verso l’incivilimento. L’ordine civile descrive una realtà completa- mente differente da quella naturale, che fa della moralità non altro dall’immagine dei pubblici costumi di un popolo, po- nendo il corpo politico a fondamento della società civile106. In

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104 GMS, pp. 403-405; trad. it. cit., pp. 25-27. “Il principio supremo

di ogni giudizio morale ha la sua sede nell’intelletto e il principio supre- mo dell’impulso morale (moralischer Trieb) a compiere l’azione si trova nel cuore; tale movente (Triebfeder) è il sentimento morale (moralisches Gefühl)” (E, p. 42; Mrongovius, p. 1423).

105 Discours II, pp. 124-126; trad. it. cit., pp. 132-134; sulla bontà na-

turale del cuore dell’uomo rousseauiano cfr. R. Gatti, L’enigma del male, Roma, Studium, 1996, pp. 335 e sgg.; ma su questi problemi si dovrà ri- tornare (infra, I, cap. 2, § 4).

quanto ente di ragione, la persona pubblica è dotata pertanto di un carattere intrinsecamente morale107. La politica è l’arte

alla quale viene affidato il cómpito di realizzare un tale ordine civile, di costruire cioè una società “bene ordinata”108. Tra le

varie tipologie di amministrazione il governo democratico ap- pare la più conforme ai princìpi del diritto politico (ma non la più efficace), perché meglio si approssima al corpo sovrano109.

Tuttavia, il valore della costituzione democratica, cioè l’universalità dei suoi princìpi, in Rousseau trova una differen- te giustificazione rispetto a Kant.

Il Contrat ci consegna una teoria che non rifiuta la razionali- tà dell’ordine politico, ma che non presuppone l’universalità propria dell’imperativo categorico kantiano. Al contrario, in quanto totalmente incentrata sull’elemento deliberativo, la ra- zionalità politica rousseauiana potrebbe essere definita una tecnica dell’artificio110. Artificio, convenzione, primato dei co-

stumi: questa è la progressione logica sulla quale Rousseau co- struisce lo stato civile, e una tale artificialità dell’ordine non può che condurre alla perfetta identificazione tra vita politica e vita morale, allorché ci si è lasciati alle spalle la condizione di natura. Anche per Rousseau potrebbe essere dato un postula- to del diritto pubblico, il quale non è tuttavia un imperativo categorico, ma un imperativo ipotetico. Il postulato rousse- auiano propone l’alternativa radicale tra la vita all’interno della ––––––––––

352; trad. it. cit., p. 10.

107 Ibid., Liv. 1, VII, p. 363; trad. it. cit., p. 28. Il carattere morale della

persona pubblica è un prodotto dalla condizione civile, e diviene il risul- tato dell’artificialità del patto sociale; a una tale condizione morale si op- pone quella naturale, la quale, al contrario, è propria delle persone priva- te.

108 CS, Liv. 3, XV, p. 431; trad. it. cit., p. 129; cfr. M. Viroli, Jean

Jacques Rousseau e la teoria della società bene ordinata, Bologna, Il Mulino, 1993, p. 46.

109 “Questa persona pubblica, che si forma così dall’unione di tutte le

altre, prendeva il come di città, e adesso quello di repubblica o di corpo politi- co, [...] Stato quando è passivo, corpo sovrano quando è attivo” (ibid., Liv. 1, VI, pp. 361-362; trad. it. cit., p. 25).

110 Ibid., Liv. 1, I, p. 352 cit.; cfr. P. Pasqualucci, Rousseau e Kant, II,

comunità politica e l’isolamento di una condizione originaria il cui recupero resta improbabile111.

Invece di distruggere l’uguaglianza naturale, il patto fon- damentale sostituisce al contrario un’uguaglianza morale e legittima a [quanto di disuguaglianza fisica la natura a- veva potuto introdurre] tra gli uomini; questi, pur poten- do essere diseguali per forza o per ingegno, divengono tutti uguali per convenzione e secondo il diritto.

[CS, Liv. 1, IX, p. 367; trad. it. cit., p. 34]

Per questa ragione, dopo averne studiato attentamente gli effetti, Rousseau non può non riconoscere il primato della vita civile.

5. La natura del patto sociale e la fondazione del diritto

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