L'educazione :tra tecnica e morale Venendo ora a cimentarmi nel dire qual è, secondo me, l'anima del sistema preventivo di D. Bosco (e me ne sento tremare le vene e i polsi), voglio su'bito met-tervi in guardia contro un pericolo tanto fac:1le in questa materia, e perciò tanto insidioso, che è quello di inter-pretare le mie parole come una specie di esortazione re-torica o al massimo una parenesi morale, come, per esempio, quelle degli esercizi spir.ituali. Il .fatto è che ogni scienza ha un suo linguaggio, e non si può padare di psicologia, per esempio, in termini matematici o fisi-ci (chi fisi-ci ha provato ha finito col negare la psicologia), e neppure di educazione in termini di pura psicologia (i molti che ci stanno tentando da vari anni hanno fi-nito anch'essi col distruggere Yeducazione, come è fa-cilmente documentabile).
L'educazione, che pure deve tenere conto dei dati della psicologia a cui è debitrice, non può però perder-si in essa, e presenta quindi necessariamente degli ele-menti suoi. Questi eleele-menti sono di carattere globalmen-te umano, e quindi implicano anche la moralità e la vo-lontà: e sono proprio essi che danno all'educazione il significato suo proprio e che rendono educativi i mezzi tecnici escogitati via via dalle divePSe metodologie, dalle diverse didattiche e dalle diverse psicologie. Il discorso pedagogico non è un discorso di tecniche psicologiche, ma neppure una predica morale: è quel singolarissimo 19
discorso in cui la moralità personale diventa tecnica del-l'educazione e in cui la tecnica psicologico-dida~ttica si deve trasfigurare in un impegno morale.
Partire dal ragazzo Ciò premesso, mi sembra che si possa dire che l'ani-ma o la sostanza del sistel'ani-ma preventivo consiste nel met-tersi lealmente e totalmente dalla parte del ragazzo (o dell'altro, più .in generale, per quanto riguarda la pasto-rale degli adulti).
L'affermazione è precisa, ma è molto sintetica e può essere interpretata superficialmente come uno slogan pubblicitario: mettersi totalmente e lealmente dalla par-te del ragazzo significa sostanzialmenpar-te accogliere e ac-cettare tutto il ragazzo, in quello che egli è e in quello che eg1i deve essere, in quello che può e deve diventare;
L'educazione di D. Bosco non ammette parzialità nè ac-cettaziioni col beneficio di inventario; essa accoglie H ra-gazzo in entrambe le sue dimensioni costitutive: queJla esistenz<iale del come è fatto e quelrla assiologica e fina-listica del come deve essere fatto, delle mete che deve raggiungere.
Considerando la prima dimensione, quella esisten-ziale, D. Bosco ci invita a guardare il ragazzo .con un'ot-tica nuova che comporta spesso un rovesciamento di prospettiva in quella che è la maniera spontanea e di-rei istintiva di vedere le cose. Un e·dUJCatore incondito e incolto è portato, per esempio, a valutave immediata-mente come « mancanza » un comportamento irregolare dell'allievo, e quindi a intervenire col rimprovero o con il castigo, usando la solita scot1ciatoia che «rimette l'or-dine», ma peggiora le cose dal punto di V'ista educativo;
Don Bosco assegna al sistema repressivo questo modo di
·ag·ire.
Invece, l'educatore espe11to e maturo non dimentica che i giovani non hanno il pieno controllo vo•lontario del-le loro azioni, sono in balia di quella che ,D. Bosco chia-ma la « mobilità » giovanile; egli quindi giudica il ra-gazzo mettendosi dalla sua parte, e quindi interviene in modo da sostenerlo nella difficile crescita verso la stab.Hizzazione del suo carattere.
L'« assistenza)) salesiana Questo è il valore deH'assistenza saiesiana: essa non è una vigilanza di repressione, ma un aiuto costante, una integrazione della l·abilità e della mob.il·ità dei gio-vani. Essa ha l'ufficio del sostegno (per ·riprendere una immagine classica, ma sempre valida) di uno stelo fles-sibile, che non ne impedisce la crescita viva e naturale, ma lo gu•ida e lo sostiene perché cresca diritto. Intesa nel p·rimo senso, quello restrittivo, l'assistenza è stata in queSiti ultimi tempi troppo ripudiata come lesiva del-la personalità del giovane, ... e così si è buttata daldel-la fi.
nestta l'acqua del bagno con tutto il bambino, abbando-nando gli educandi a se stessi. Così si è abbandonato an-che D. Bosco.
A questa luce, che· senso ha più dosare « psicologica-mente » la presenza e la distanza dell'educatore (l'assi-stenza salesiana, per intende11ci), per non «pesare sul ràgazzo »? La vera assistenza non pesa sul ragazzo, ma pesa su di noi, perché ci costa fati<ca. Una presenza del-l'educatore che sia sentita come penosa dall'allievo, co-me un peso fiscale e oppressirvo, non è più un elemento educativo, e ogni educatore farebbe bene a prendere co-scienza di questo principio.
La costante presenza dell'edocatore voluta da D. Bo-sco è intesa come una condi~ione essenziale per l'educa-21
zione, e in quai11to tale è .decisiva per l'esistenza stessa dell'educazione. (:Si pensi all'ambiente educativo più naturale, alla famiglia, dove la presenza dei genitori è la condizione ;per una crescita normale dei figli. .. Tanto che, secondo me, è da dirsi non che la famiglia è madre dell'educazione, ma che l'educazione è madre della fa-miglia ... ) ( 1).
·La presenza costante di almeno un educatore nel gruppo ha la funzione traente analoga a quella del rag-gio del sole che fa venire su lo stelo della pianta. Come dice D. Bosco, essa serve a« guadagnarsi il cuore del suo protetto, esercitare su di lui un grande impero [l'impe-ro dell'amore, naturalmei11t:e], avvisarlo, consigliarlo ed anche correggerlo» ...
L'assistenza, quindi, va al cuore stesso dell'educazio-ne e non è da intendere come uno dei tanti mezzi tec-nki (come, per esempio, l'esame attitudinale o i var·i tests che servono a conoscere meglio il ·ragazzo).
La presenza educati'Va salesiana (e questo vale per i genitori e .per tutti quelH che in ogni ambiente vogliono educare alla maniera di D. Bosco) è la pratica esecu-zione di quella consacraesecu-zione totale che D. Bosco vuole dall'educatore. «L'Educatore» - egli dke - «è un individuo consacmto al bene
dei
suoiaUievi
». Eancora:
« Il Direttore ... deve essere tutto consacrato ai suoi edu-candi » (vedete come insiste sul concetto e sulla parola deLla «consacrazione»!). Il fatto è che l'assistenza atti-va e positiatti-va è un impegno eroico! Non per nulla gli
(l) Nel senso che la struttura e le leggi naturali della fami-glia ume.na rispondono alle esigenze poste dall'educazione dei fi.
gli che richiede tempi lunghi, continuità e costante presenza ma-teriale e morale dei genitori. Su questo argomento si può vedere il nostro studio: Famiglia e educazione, in Atti del IX Convegno di Scholé (1963), Brescia, «La Scuola», pagg. 37-71 e 247-270.
antichi dicevano degli istitutori che essi erano damnati ad pueros: noi non siamo dei «condannati», ma dei consacrati perché abbiamo scelto volontariamente e ac-cettato con gioia questo progetto C.flistiano e salesiano di vita.
Studiare e capire H giovane La prima cosa dUTJique che deve fare l'educatore è mettersi da:lla parte del ragazzo esistenzialmente, stu-diare come egli è, scoprire le motivazioni profonde che lo spingono ad agire, venke incontro ai suoi bisogni e ai suoi modi di pensare e di immaginare. Oggi queste considerazioni sono di comune conoscenza e .fatte ogget-to di una pratica abbastanza diffusa; ma la cosa difficile, quella su cui insiste D. Bosco, non è tanto conoscere la psicologia dell'età evolutiva, o avere una cartella perso-nale dell'allievo ben compilata, quanto far passare que-sti dati nella concreta attività di un rapporto educativo che non confida soltanto nelle leve psicologiche.
Tutto questo ci impone di integrare la consueta ri-flessione metodologica per mezzo della quale, per esem-pio, noi interveniamo sul ragazzo cercando di sciogliere i nodi psicologici di inibizioni e di insoddisfazioni che possono essere alla radice ·di un suo comportamento di-sadattato. Così non ci si ferma al problema di « ottene-re» la disdplina o un rendimento scolastico ottimale, ma si passa al problema di .far crescere un uomo. E farlo tale fin da adesso, non separando la condotta scolastico-educativ.a ·dalla traiettoria della sua vita!
'La cc rivoluzione >> educativa di D. Bosco In questa prospettiva di fondo, che pone dalla par-te del ragazzo tutto l'educatore e non soltanto l'aspetto iprofessionale e tecnico della sua attività, si vanno poi 23
collocando tutti i vari momenti e asrpetti particolari del complesso lavoro educativo, i quali però solo su questo sfondo e in questa cornice hanno diritto di chiamarsi aspetti e momenti educativi.
Qui sta la grande originalità e la meravigliosa
rivolu-zione analoga (e lascio alla vostra intelligenza il compito di . vederne ·le diverse proporzioni) a quel.la che il Cri-stianesimo operò nei Piguardi del vecchio Testamento.
:Di fronte alla rigidità minuziosa e molHplicativa della acco-gliere e di piegare a vantaggio dell'educazione qualun-que cosa nuova che i nuovi tempi portano e richiedono.
~Educazione creativa E' questo il punto in cui deve mettersi a1l' opera tut-ta la genialità creativa dell'educatore, necessaria quando non si miri a livellare e a programmare un comporta-mento di massa, ma a suscitare delle personalità (a co-noscere. una per una le proprie pecorelle e a chiamarle per nome, come ci dice il Vangelo). Qui non se ne avrà mai abbastanza di ricerca di novità, di contemporaneità, di aggiornamento, di giovaniilità intesa come risposta a1le esigenze della vita, appunto, giovanile.
La '' giovanilità », componente essenziale dell'educazione di ~D. Bosco A proposito di queste esigenze vitali del giovane, va ricordato in modo speciale che egli è necessariamente legato a vedere le cose a modo suo .e aspetta dall'espe-rienza i dati per correggere questa sua visione, non ac-cettando che glli adulti vi sovrappongano semplicemente la loro visione realistica, con la scusa che questa è vera e .quella è falsa.
Solq ,facendo maturare dal di dentro questo modo di ·vedere (che per altro è una loro condizione normale e non può essere confuso con la malattia di un adulto visionario), si potrà ottenere dai ragazzi che essi a!cqui-stino ·chiarezza di idee ed equHibrio di giudizio. Ma 1per questo ci vuole tempo, e occorre darlo facendo :virvere ad essi pienamente la loro giovinezza.
« Si dia ampia libertà » [notate: « ampia libertà »,
non « il permesso »] « di saltare, correre, schiamazzare a piacimento » [notate: «a piacimento », e non «con moderazione »]. Così sori ve Don Bosco. Ed egli (cosa i!nimmaginata al suo tempo) ist1tuziona'Lizza nelle sue 25
Case di educazione il codice di quella che ora si chiama
«la repubblica dei ragazzi»: teatro, declamaz.ioni, pas-seggiate, musica, ginnastica (oggi si direbbe sport), ecc. ecc., sono la vita dei ragazzi e D. Bosco volle che entrassero neJ.le sue Case come vita ordinaria dei' ra ..
gazzi, non come strappi al'la regola, o come concess·ioni fatte obtorto collo per «ottenere» (così si suoi dire) drui ragazzi le prestazioni appartenenti al reparto della musonerJa (scuola e pratiche di pietà, per intenderei).
Nel sistema educativo di .D. Bosco tutto .è vita, a pa-rità di diritto, sicc:hè, come disse poi il suo migliore ragazzo: « 1la santità consiste nello stare allegri». Non c'è passaggio psicologico di qualità fra lo spasso e la preghiera quando entrambe le cose nascono dal ragaz-zo stesso: ·dal ragazragaz-zo, certo, ma con l'aiuto di queH'edu-catore che è quasi entrato dentro di lui, che si è messo tutto, senza riserve, dalla sua parte.
Gli educatori giovani E !asciatemi aggiungere come in questo atteggia-mento spirituale deH'educatore salesiano io vedo i1 mo-tivo di quell'aria di giovanilità ohe spir.a. negli ambienti autenticamente salesiani, ,quando questi funzionano,
·anche se le persone sono già vecchie e deboli di forze fisiche. Non è l'età delle persone che fa distingueTe una Casa salesiana. da un convento religioso di un altro spi-rito.
Devo però anche dire che i giovani educatoTi (e questa è un'altra scoperta di D. Bosco) sono privilegiati in questa linea perché si collocano con maggiore natu-. ralezza e senza sforzo dalla parte del ragazzo, da cui non
sono ancora troppo distanti cronologicamente e psicolo-gicamente, e nello stesso tempo sono più facilmente
ac-cettati per questo motivo. La loro efficacia è grandissima quando essi siano almeno passabilmente formati e ab-biano qualcosa da portare in dono al ragazzo oltre la loro prossimità psicologica.
Ma aUe inevitabili carenze dei giQIVani educatori, D. Bosco provvide con la forza unitaria dell'ambiente educativo che egli concepì (sia esso la Casa saiesiana; la Famiglia o un qualunque ambiente sociale) come una forza unitaria in cui ogni persona è ambasciatrice di ogni altra e concorre, nei limiti della sua capacità, soli-dalmente all'edificazione di tutti. Solo chi vuole essere un operatore isolato e solitario si condanna all'insuc-cesso. Togliete questo aspetto corale da un ambiente educativo salesiano e lo a'Vete distrutto. Non c'lè forza singola, sia essa giovane o canuta, che basti. Srfilacciate un canapo e lo farete facilmente a pezzi.
Sia essa anche oronologi·ca o soltanto spi.rituale, la giovanilità è un requisito essenziale dell'educazione sale-siana, perché è la diretta e naturale conseguenza del fatto che l'educatore si è posto, esistenzialmente, dalla parte del ragazzo.
·Due ·« peccati » educativi Per questo i due peccati capitali che si commetto-no (purtroppo abbastanza spesso e abbastanza facilmen-te) contro l'educa2lione nella linea in cui la stiamo consi-derando, hanno la stessa radice anche se sono apparen-temente contrari: anche l'idra di Ercole volgeva le sue teste in tutte le direzioni, ma esse pa:rtivano tutte dallo stesso corpo. Abbandonare il ragazzo a se stesso, senza guida e senza vigilanza, per gran· parte del suo tempo, per esempio durante i suoi giuochi, è prat!ica che io de-finis·co delinquenzi·ale da parte dell'educatore perché nei momenti in oui il ragazzo vive più intensamente e quindi 27
acquisiSce profondamente ·mentalità e abiti di condotta e di pensiero (e questi momenti privilegiati non sono certamente quelli della scuola), in questi momenti deci-sivi per il suo destino can:-atterologico, l'assenza dell'edu-catore permette che in questo processo si inseriscano senza controlli e senza contrasti degli elementi caotici e antagonisti e non di rado negativi, come è facile co-statare a chi tiene gli occhi aperti su un campo di giuoco.
Questo accade quarJJdo l'educatore per incuria o stan-chezza abbandona i!l suo posto presso l'educando, dove invece D. Bosco lo suppone « sempre presente», e fa parte per se stesso.
Ma c''è da dire la stessa cosa del ditfetto opposto, che è qruello di impmsi al ragazzo senza badare a lrui, di mirare alla sua condotta e alle esecuzioni esterne senza curarsi dei metodi appropriati per attenerle. An-che in questa presenza ossessiva si può ravvisare para-dossa'lmente un isolamento dell'educatore, una chiu-sura egotistica in quanto egli in quei momen tì gua.rda piuttosto a se stesso e non si trova più dalla parte .del ragazzo. La presenza fisica non costituisce per se stessa una presenza educati·va.
L'amore come '' metodo »
A quanto si è detto finora circa l'atteggiam~to me-todologico dell'educatore, si può riferire tutto ciò che D. Bosco riassume quando parla di «amorevolezza»:
l'amare ciò che amano i fanciulli per portar:li ad amare ciò che amiamo noi, e cioè il bene, non è un fatto di sentimento, o peggio di sentimentalismo, nè la manife-stazione di una generica bontà debole e condiscendente, ma è un preciso punto di metodologia educativa, che ci
prescrive di percorrere insieme con l'educando i'l suo iti-nerario di maturazione umana, di camminare con lui, fianco a fianco, in una vicinanza spaziale, quando è ne-cessario, ma sempre in una comunione di spirito che sa farsi tutto a tuttJi, sa ,pazientare e sa aspettare, sa soffri-te e sperare, sa cercare il bene deWaltro e sa rinunziare a ogni considerazione persori'a1e. Sono, come certo avete notato, le espressioni che San Paolo usa, per descrivere la carità; di nuovo, non si tratta di una esortazione ascetica: D. Bosco dice chiaramente, e quasi seccamente, che « soltanto il cristiano può con successo applicare il sistema preventivo». La metodologia dell'educazione per .D. Bosco è quella difficile versione dell'amore e della
bontà che si chiama carità cristiana.
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4. ··DALLA rPA1RT·E DEL ·RAGAZZO: