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ESPERIENZE DI MEDIAZIONE

5.1 Elharti Nourddine

Nourdin è un M.L.C. che vive a Verona da 15 anni. Proveniente dal Marocco, padre di un bambino di 8 anni, scrive narrazioni e fa animazione teatrale per i bambini.

La nostra discussione si è svolta in due momenti diversi nel steembre di 2003, a casa sua e nel parco giochi. Ha mostrato molto interesse per l’argomento proposto e mi ha dato subito la sua disponibilità. Ho voluto mantenere l’originalità delle espressioni che ha usato durante il nostro incontro, anche se grammaticalmente scorrette, perché impregnate di uno stile suo, che dopo si riflette nei suoi pensieri e nel lavoro di mediatore.

I. Quello che m’interessa è cogliere le difficoltà che una persona ha trovato durante la formazione e anche dopo, cosa pensa che sia mancata nella formazione, cosa ritiene fosse stato necessario perché le cose funzionassero in modo diverso o meglio. Partiamo dai casi concreti che tu hai vissuto. Per chi hai lavorato?

N. Per la scuola. Ho sempre lavorato per la scuola.

I. Che tipo di richieste ti vengono fatte nella scuola?

N. Le richieste sono varie. Arrivi e qualche volta sanno già quello che vogliono: per esempio il colloquio con la famiglia, fare "l'interprete " tra la scuola e famiglia anche se non sono informati su come fare.

Ti cito un esempio: mi sono trovato in una scuola materna a fare il colloquio con la famiglia, e il papà di quel

bambino era arrogante in senso che si vergognava di trovarsi in una situazione in cui qualcuno deve tradurre per lui, allora voleva far valere il suo potenziale linguistico che non era abbastanza per capirsi con la scuola, altrimenti non mi avrebbero chiamato e ha iniziato a rispondere direttamente, intuendo il senso della domanda e rivolgendosi direttamente all'insegnante. Io mi sono trovato in più e sono rimasto zitto tutta l'ora. Alla fine io non ho fatto un bel niente. Sono stato pagato a fare un bel niente.

“Loro” non hanno rispettato la regola del ponte. Ne abbiamo parlato di questo. Per certi, basta che uno straniero dica due parole e sono già a posto. E' ovvio che parliamo dei "poverini". Loro fanno la domanda e l'altro fa il cenno di aver capito qualcosa e si passa all'altra domanda.

Io mi sono ritirato e alla fine ho detto all'insegnante che non si fa cosi. Non dovete rivolgere la parola al genitore, dovete rivolgerla a me. Ovviamente senza polemiche, perché non si può pretendere di sapere tutto prima. Abbiamo fatto tesoro di quest'esperienza.

I. A parte i colloqui, che tipo di esperienze hai fatto nella scuola?

N. I casi sono tanti. Molti sono stati dei casi difficili. Certi non si volevano sottomettere alle regole della scuola italiana. Per ogni ragazzo ti trovi a fare una cosa diversa: ti trovi uno che vuole e un altro che non vuole, uno che ha imparato qualche parola e per lui basta, non li interessa o ti fa capire che per lui è sufficiente, basta cosi. Io ho sempre lottato con i denti, perché è un piccolo che sta per rovinarsi la vita, perché se ignori tu il problema che conosci il tipo di problema, come fanno ad interessassi

gli altri che non possono sapere questo?

Ci sono in pratica pochi tipi di richiesta che ti sono fatti. I colloqui, il discorso linguistico e l'inserimento. Perché ci sono ragazzi che sanno la lingua, ma non sono inseriti. Io sono molto esigente anche se questo può giocare negativamente all'inizio, però dopo sano che io ho il mio metodo che lo sto inseguendo anche se loro non sono d'accordo, anche al costo di rinunciare al contratto.

L’anno scorso mi hanno chiamato e io le ho detto che la prima cosa che faccio è un intervento interculturale con tutta la classe, l'alunno straniero compreso. Mi hanno detto di no, mi hanno chiesto di mettermi in contatto con la famiglia e di andare a trovarli a casa loro. Io li ho detto che non vado a trovare nessuno. Abbiamo chiuso. Sono passati due/tre mesi e sono stati loro a contattarmi dicendomi che va bene.

I. Altri malintesi?

N. Si, per esempio chiamavano un libanese per lavorare con un bambino marocchino. E' una cosa pazzesca. Perché non ci capiamo, hanno una lingua diversa e una cultura diversa. Noi siamo i famosi mori che hanno conquistato la Spagna e tutta l'Africa. C'era anche intolleranza all'interno degli imperi persiano e di damasco.

Mi hanno mandato anche me una volta a un tunisino, ma ho rinunciato. Per darti un esempio: per i tunisini "tapuna spuna" significa pane caldo, per noi la stessa parola significa una grande volgarità. Comunque ci sono stati libanesi o della giordania che sono stati mandati a seguire i marocchini. Anche all'interno del Marocco ci sono diversità culturale e linguistiche di cui bisogna tener conto;

per esempio ci sono i berberi; a un bambino berbero serve un berbero, un marocchino non può fare niente.

I. Quali sono le prime difficoltà quando entri in contatto con la scuola?

N. La mentalità. La prima domanda che io faccio è chiedere se il bambino è marocchino, però non mi sanno rispondere, mi dicono che parla arabo.

I. Secondo te ci sono dei mediatori che fanno

un gioco politico usando proprio questo ruolo di mediatore?

N. Io non so quello che fanno gli altri perché non siamo in collegamento tra di noi.

Comunque io sono un politico perché parlo.

Nessuno non mi ha mai fatto un regalo da piccolo per cui io non sono abituato a fare dei regali ad un altro essendo ipocrita. Parlo anche se non sono accettato, e quando io vedo una cosa che non va, la denuncio. Questo svela anche una parte del mio carattere di non essere diplomatico, di non essere maturo politicamente.

I. Tu mi dicevi prima però che essendo uno scrittore, usi la parola per trasmettere dei messaggi politici.

N. Ma questa non è politica, questa diplomazia è ipocrisia, perché fino quando tu non riesci a uscire dal gioco politico, tu fai parte della banda. Quando tu inizi a rompere le scatole già non sei più un diplomatico. In un certo senso, politici lo siamo tutti, perché quando vediamo la nostra busta paga e c'è qualcosa che non va, iniziamo a farci delle domande. Ma la politica comunque non è più intesa in questo modo, non è più un fine ma un mezzo, un

mezzo per arricchirsi, usato ovviamente di chi di soldi ne ha già, perché un poveretto servirà forse per urlare nella piazza ma non certamente per gestire la politica.

Tu non sei quello che sei ma lo sei in quanto tu hai. Un giocatore nero del Chievo travolge con la macchina una signora, però rimane sempre una stella e la signora diventa una povera disgraziata che è capitata sulla strada di questa persona.

E' una cosa su cui bisogna riflettere.

Io non posso star zitto quando c'è qualcosa che non va. Mi sono rovinato la mia carriera giù in Marocco per questo fatto.

Per cui, quando mi fanno una domanda io rispondo per quello che so, anche se questo può ferire la cultura di provenienza o questa dove mi trovo.

Ti faccio un esempio: per me la religione è al livello più basso dei miei interessi. Però quando mi capitano in aule delle domande sulla religione io rispondo veramente come un arbitro.

I. Tu sei stato educato anche in una certa religione.

N. Mah ! si nasce e si viene allevati in una certa religione.

A te è stato chiesto di essere cattolica?

I. No, però non mi hanno dato neanche un'istruzione religiosa. In Romania lo stato era ateo perciò potevi scegliere tra l’avere o no una certa religione, anche se alla fine era preferita la scelta non religiosa.

N. Da noi la costituzione si ispira al Corano, anche se si fanno poi tante cose che non hanno niente a che

fare con i principi musulmani.

Ci sono regole a cui nessuno non può scampare, per esempio tu devi essere circonciso alla nascita e devi essere sepolto nel rituale musulmano.

Non conosco nessuno di là che abbia mai trasgredito questa legge. Io vivo qui e a mio figlio non ho fatto e non faccio la circoncisione.

La gente da noi è spaventata dall'idea politica. Però fanno politica.

Si. Lo sai che la gente che si raduna nei caffè – bar non parla d'altro. Non c'è altro. Non abbiamo la formula uno. Abbiamo il calcio, ma a parte questo, politica. Se dici però di mettere in piedi un'istituzione politica che segua delle ideologie particolari, hanno tutti paura e tu sei isolato.

I. Sai perché mi interessa il discorso politico?

Perché da quello che io ho visto, cosi come in extremis il calciatore aveva fatto del proprio nome una copertura, cosi anche la mediazione può essere usata come mezzo per conquistarsi una fama, per avere certi poteri in mano.

N. Dipende dalle culture. Noi non abbiamo il culto dell'unione, noi siamo individualisti, al punto che c'è questo detto che: "quando vedi due insieme sappi che il peso è sulle spalle di uno dei due". Noi non siamo come i senegalesi che affittano un appartamento e vivono in quindici. Per noi già in due si sparano, fanno il muro tra di loro, perché tra i due c'è sempre uno che fa la figura del cretino.

Un partito ispirato a un ideologia religiosa, può avere più facilmente degli adepti, perché non obbedisce a te ma a Dio. Fuori della religione è difficile che qualcuno

riesca ad affermarsi.

I. Cosa ti ha motivato a lavorare nella scuola?

Mi hai già detto tante cose che mi rivelano lo spirito che ti hanno portato a fare le tue scelte.

N. I bambini

I. Che cosa vuoi trasmettere te a questi bimbi o

cosa?

N. E' questo il problema. Niente. Io propongo sapienza. Io sono là per sfamare la loro voglia di conoscere, io non vado a fare un corso.

I. Tu parli dei bambini marocchini?

N. No: io parlo dei bambini italiani, quando faccio un intervento interculturale. Parlo della cultura marocchina in generale, porto dei depliant turistici con le immagini del deserto dove c'è la gente che vive nella tenda, o nelle case con il lusso che qui non ci si può neanche sognare.

Dopo ognuno fa le domande. Io sono là per rispondere, non ho nessuna strategia.

I. Il lavoro del mediatore è centrato sul bambino marocchino. Hai fatto altre esperienze con i bambini?

N. Quando ero nel Marocco facevo il dirigente delle cooperative agricole ed ero anche formatore, istruttore in un centro di formazione e insegnavo ai bambini dei contadini ad essere abili nelle tecniche agricole per prendere in successione il lavoro dei loro padri. Avevo bambini di 15 anni e uomini di trenta, quarant'anni. Sono venuti anche i membri di cooperative a fare il corso da me. A parte questo, facevo teatro, canti, burattini, spettacoli per

bambini. Questo mi ha aiutato a saper animare un incontro. Il bambino se lo lasci da solo si stufa. Devi occupare il suo spirito da quando entri fino quando esci. E' come il pubblico: se tu ti distrai, il pubblico se ne va per conto suo.

Questo mi ha insegnato anche l'autorità. I bambini che vogliono esercitare su di te la loro “furbezza”, io li metto a posto subito, con modi civili. La gestione dell'incontro è l'autorità ma anche sincerità. Quando vedono che sei sincero, loro se ne rendono conto, però se vedono che stai aspettando che finisca la tua ora, non ti ascoltano più.

Ci sono bambini disponibili ad adattarsi anche se non sono mai andati a scuola e con cui si possono fare dei lavori molto interessanti ed altri per cui la scuola è l'ultimo dei loro pensieri.

Per esempio: ho incontrato un ragazzo che aspettava solo di essere cacciato da scuola, ma per legge, qui, fino a 15 anni non ti mandano via. Questo non guardava nessuno durante l'ora. Io non posso insegnargli niente per forza, devo aspettare che lui abbia bisogno di me.

All'inizio non ho fatto niente e lui si è messo la testa fra le mani e per un'ora ha aspettato che suonasse la campana. Mi sono stufato e ho chiesto all'insegnante di portarlo fuori dall'aula. Cosi ho scoperto che lui era bravissimo in diversi campi ma non nella scuola. Il lunedì quando ci vedevamo gli chiedevo come era andata la partita e lui mi raccontava tutti i particolari in un italiano modesto.

I. Ma tu gli parlavi in italiano?

sentirlo parlare in italiano. Perché? A cosa serve parlare in marocchino? A fare amicizia? No di certo.

Lui mi raccontava in italiano tutta la partita dalla A alla Z. Quando passavamo al verbo essere si chiudeva, per lui il maestro è una tortura. Se io mi proponessi come maestro lui non ci guadagnerebbe niente, sarebbe solo una mutazione da una persona ad un altra, ma la tortura è la stessa. Io spesso inserisco una cassetta audiovisiva con cartoni animati perché spesso i bambini marocchini hanno il satellite a casa e non guardano la televisione italiana. Anche questa è una delle cose che io chiedo ai genitori quando ci incontriamo: spegnere il satellite, altrimenti i bambini tutti i giorni appena escono di casa incontrano il Marocco. In alternativa, chiedo di usare due televisioni: una per loro con il satellite e una per il bambino. Però è molto difficile, loro fanno dei sacrifici per aver il satellite perché è l'unico legame che hanno con il Marocco. E' gente povera di spirito, altrimenti non ascolterebbero la televisione di un paese che li ha cacciati fuori. Cosi io insegno al bambino a guardare la televisione ed ad imparare qualche parola. A volte l'unica parola che impara è cane, ma io sono contento perché è sempre una nuova parola e non so in quale altro modo avrebbe potuto impararla.

Ho incontrato poi un ragazzo diffidente, diffidente nel senso assoluto della parola. Aveva già rifiutato un mediatore del Cestim. Davanti a lui mi sono presentato in modo da conquistare la sua fiducia e poi per insegnargli tutte le altre cose.

hai avuto?

N Quando è stato fatto un progetto sulla mediazione con delle scuole elementari di San Bonifacio. Non c'erano ancora tanti mediatori in giro, era una delle prime esperienze. Alla fine degli incontri i bambini ci hanno regalato dei bigliettini con dei pensieri molto carini. E' stato un gesto che mi ha fatto tanta tenerezza perché nella loro semplicità, essendo cosi piccoli, avevano scritto delle cose molto belle.

Comunque, tutti gli incontri sono finiti con una stretta di mano anche se certi sono iniziati male.

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