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EMIGRAZIONE AGRICOLA IN PROVINCIA DI TORINO

Nel documento Cronache Economiche. N.099, Marzo 1951 (pagine 33-36)

F A U S T O M . P A S T O R I N I

Questo studio è stato presentato dalla Camera di Com-mercio di Torino al « III Convegno nazionale delle Camere di Commercio per l'emigrazione » che sarà inaugurato a Udine nel prossimo mese di maggio.

Tema base del Convegno è l'emigrazione agricola ita-liana vista nelle sue linee generali e nei differenti aspetti che il problema assume, per impostazione e rilievo, nelle varie zone agrarie d'Italia.

Se anticipare le conclusioni di uno studio, sia pure mo-desto, su un qualunque fenomeno economico-sociale può apparire segno di indagine superficiale o addirittura di insuf-ficiente capacità nella tecnica di raccolta ed elaborazione dei dati, n'on possiamo tuttavia celare la convinzione, maturata nel nostro animo prima ancora di iniziare una serie di ricerche specifiche, che il fenomeno dell'emigrazione agri-cola in provincia di Torino, visto nel suo insieme, non abbia influito nè influisca sulla configurazione economico-sociale della provincia stessa. Eventuali casi sporadici di emigrazione possono tutto al più indicare particolari situazioni relative a ristrette zone, ma non hanno, nei riguardi della circoscri-zione provinciale, peso determinante. Peraltro i dati e le informazioni assunte sulla base di precise documentazioni, presso Enti e privati in Torino e Provincia, mentre hanno permesso di analizzare gli aspetti più interessanti del feno-meno, sono stati di conforto all'esattezza del giudizio iniziale, conferendogli valore di sintesi.

Tutto ciò va riferito, ben1 inteso, all'emigrazione agricola, perchè in altri settori di attività economico-industriale, com-merciale, artigiana, il flusso migratorio verso l'estero, spe-cialmente di mano d'opera, ha avuto, più in passato che non oggi, una certa consistenza, alimentata soprattutto dalle zone della regione montana che, da decenni ormai, si vanno len-tamente, ma fatalmente spopolando.

L'esame di indici statistico-economici delle Provincie e regioni d'Italia — raccolti in un recentissimo e pregevole studio del prof. Tagliacarne, pubblicato a cura dell'Unione Italiana delle Camere di Commercio — ci ha fornito un primo elemento di giudizio per valutare le varie attività economiche della Provincia.

La media degli indici industriali, commerciali e finanziari di questa risulta pari al 7,42 % sul totale dei corrispondenti indici italiani, mentre la media degli indici agricolo-forestali è del 2,43 %. Il rapporto fra i due indici, risultando del 32 %, dimostra quindi l'importanza, nella provincia di To-rino, dell'attività agraria e forestale sotto l'aspetto tecnico-economico; tanto più se esso viene messo a raffronto con quello di altre Provincie (pur caratterizzate da elevati indici industriali e commerciali) come, ad esempio, Milano e Genova, ove si riscontrano valori ben più modesti, ossia rispettiva-mente del 13 % e del 7 %.

Date queste premesse si potrebbe quindi pensare che la produzione agraria provinciale venga conseguita da grandi imprese capitalistiche, attorno alle quali graviti una massa bracciantile assillata dal timore della disoccupazione, preoc-cupata dal bisogno di un salario e spinta, da una situazione di disagio economico, a valicare le frontiere per trovare al-l'estero quella garanzia di lavoro agricolo che la Patria non può offrire. Ma in realtà ciò non è.

Intanto bisogna por mente alla struttura organizzativa e alle qualità delle forze industriali e agrarie per interpretare nel suo vero significato il rapporto fra le loro situazioni economiche. E' noto che l'industria della Provincia — il cui indice, rappresentativo pure di conseguenti attività com-merciali e finanziarie, è uno dei più alti d'Italia — ha nume-rose specializzazioni. Il ramo siderurgico, di notevolissima importanza, è rappresentato da industrie meccaniche, me-talmeccaniche, aeronautiche, di macchine utensili, di auto-veicoli, di carrozzerie, di biciclette, di macchine da scrivere; il ramo della lavorazione dei minerali (esclusi i metalli) ha industrie dell'amianto, della calce, del materiale refrattario, delle vetrerie, della ceramica; hanno pure notevole consi-stenza le industrie edilizie, tessili, dell'abbigliamento, chi-miche, dei colori, smalti e vernici, delle essenze ed estratti, della gomma, della forza, luce, acqua e gas; nè vanno dimen-ticate le industrie: conciaria, cartaria e poligrafica, editoriale, dei dolci, della birra, dei vini e liquori, dei trasporti e delle comunicazioni.

Si contano più di cento importanti complessi industriali, distribuiti tra i vari rami di specializzazione sopra elencati, con un assorbimento di circa 250 mila unità lavoratrici. Solo un terzo delle industrie ha la sede degli stabilimenti in Torino, mentre i. restanti due terzi trovano dislocazione nelle varie regioni della provincia, con una maggiore concentrazione in pianura e nelle prime propaggini collinari rispetto alle zone di alta collina e di media montagna che, peraltro, nei centri di Susa, Sestriere, Villar Perosa, San Germano Chisone, Torre Pellice, Luserna S. Giovanni, Ivrea, Pont Canavese ospitano complessi industriali di notevole valore economico. Si è così venuta a costituire nel territorio provinciale una fitta trama di interessi industriali e commerciali tra le cui maglie si inserisce l'attività agricolo-forestale. Questo quadro di distribuzione fisica delle forze economiche, mentre giustifica i continui movimenti di osmosi ed assestamento tra industria e agricoltura soprattutto per quanto concerne la mano d'opera, permette pure di prevedere — considerato assieme all'alta percentuale di terreni declivi (di monte e di colle) ammontante al 71 % della superficie produttiva — che le più frequenti dimensioni territoriali ed economiche della proprietà fondiaria si orienterann'o su termini di mi-sura assai piccoli.

DIFFUSIONE DELLE GRANDI PROPRIETÀ'

a) Secondo la superficie b) Secondo il reddito imponibile PROPRIETÀ' DI ENTI-DI PRIVATI CON S U P E R F I C I E : DA ha 500 A 1.000 O OLTRE hal.OOO • ® PROPRIETÀ' DI ENTI-DI PRIVATI CON REDDITO: M 1.100.000 A 200.000 O OLTRE L.200.000 • ® R E G I O N I E Z O N E A G R A R I E Regione di montagna.

1. — Alta montagna dell'alta Valle di Susa. 2. — Media Tnont. delle Valli Stura e Malone. 3. — Media mont. della Valle di Susa mediana. 4. — Media montagna dei Monti Pinerolesi.

Regione di collina.

6. — Alta collina delle Prealpi Valsusine. 7, — Alta collina delle Prealpl Pinerolesi. 8, — Alta collina delle colline cispadane. 9. — Alta collina delle colline transpadane. 10. — Colle-piano di Pralormo.

5. — Media montagna delle Alpi Canavesane. 11, — Alta collina dei Colli Canavesani.

12. — Alta coli, dell'anfiteatro morenico epored.

Regione di pianura.

13. — Pianura torinese cispadana meridionale. 14. — Pianura torinese cispadana settentrionale. 15. — Pianura torinese transpadana.

16. — Pianura pinerolese.

17. — Pianura canavesana extra morenica.

Rileviamo infatti da una recente pubblicazione dell'Isti-tuto nazionale di economia agraria che l'89,2 % delle pro-prietà ha superficie inferiore ai 2 ha; il 7,6 % ha superficie compresa tra 2 e 5 ha ed il 2,1 % tra 5 e 10 ha. Solo l'I % ha superficie tra 10 e 50 ha, mentre il residuo 0,1 % è occu-pato da proprietà di superficie compresa tra 50 e 200 ha.

E' quindi la piccola proprietà, quasi sempre coltivatrice, che prevale in modo evidentissimo, specialmente in monta-gna ed in' collina, ma anche in pianura, pur avendo, per le singole regioni, caratteristiche differenti che riteniamo op-portuno mettere in evidenza, perchè ci pare influiscano sul minimo flusso migratorio della provincia.

In collina la piccola proprietà è per buona parte auto-noma, soprattutto quando chiede soccorso all'arboricoltura capace di fornire produzioni di pregio e di assorbire il lavoro della famiglia contadina; in montagna, invece, ed anche in pianura alla periferia dei centri industriali, è prevalente-mente particellare ed insufficiente alle necessità di lavoro e di consumo dei proprietari. Ma mentre le zone di monta-gna sono assai avare nell'offrire redditi complementari extra agricoli, quelle di pianura, prima delineate, si trovano in una situazione del tutto diversa, poiché il lavoratore ricava la parte più cospicua dei suoi redditi dall'industria presso la quale è occupato e non già dall'esiguo fondo da lui colti-vato nelle ore di libertà.

L'eccessiva frammentazione della proprietà terriera trova quindi punte di grave disagio economico in montagna più che norf sul colle o in pianura. Dalla montagna infatti si sono verificati e continuano ad attuarsi spostamenti di popolazione sia interni, verso le plaghe della provincia ecomicamente più sviluppate, sia verso l'estero, dando luogo ad una cor-rente di emigrazione specialmente stagionale e comunque ben scarsamente agricola poiché il valligiano che emigra si orienta verso attività industriali (in particolar modo di ca-rattere alberghiero, turistico, minerario) e da queste finisce di essere assorbito. Possiamo anzi dire che l'assorbimento

della popolazione montana da parte dell'industria estera ha valore tradizionale; ne abbiamo avuto una conferma dalla lettura di una conferenza tenuta nel lontano 1893 da Emilio Pinchia, deputato al Parlamento, sull'emigrazione canavesana. Le due valli del Canavese, Soana e Chiusella, sono sempre state all'avanguardia del movimento migratorio provinciale verso la Francia, il Nord America e qualche Repubblica del-l'America latina, per quanto riguarda però attività netta-mente industriali: minatore, calderaio, argentiere, arrotino. E benché la pressione demografica e il conseguente disagio economico siano sempre stati le cause più convincenti, o almeno le più evidenti, dell'emigrazione, pur tuttavia il Pinchia intravede pure l'elemento psicologico al quale attri-buisce notevole importanza. Riferiamo le sue parole: « La emigrazione, quale presentemente (1893) si pratica nel Cana-vese, non è una sottrazione di forze permanente ed assoluta, nè ad essa possono assegnarsi cause determinate in base alla sola demografia. Essa ha ragioni più psicologiche che non fisiche e l'elemento intellettuale e morale ci ha maggior parte che non le condizioni materiali del suolo e della popo-lazione ». E soggiunge poi ancora: « Gli impulsi dell'emigra-zione canavesana cedono soprattutto alla speranza di un lavoro meglio rimuneratore».

A completare il diagramma delle forze economico-sociali della provincia, viste nei soli aspetti che possono interessare il n'ostro studio, ci sembrano assai utili altri due dati stati-stici: l'uno riguarda le forze del lavoro agricolo occupate in provincia e l'altro il movimento netto della popolazione rispetto a quella presente.

Nel 1950 i lavoratori agricoli iscritti negli elenchi ana-grafici ammontavano complessivamente a 7.626 unità quasi interamente assorbite dalle poche grandi e medie proprietà di pianura: i salariati fissi ne rappresentavano il 30,6 %, gli obbligati l'I,2 %, gli avventizi (giornalieri di campagna; il 45,7%; infine i cosiddetti « g a r z o n i » (pur essi salariati fissi a contratto inferiore all'anno, ma annualmente

prove-nienti dal Veneto ove hanno abituale residenza) ne rappre-sentavano il residuo 22,5 %. I coloni e i mezzadri, alla stessa epoca, contavano 6854 unità lavoratrici.

Se raffrontiamo le forze del lavoro (includendo in esse anche i coloni e mezzadri che, pur non' essendo proprietari fondiari, non hanno comunque solo funzioni di puro lavo-ratore) con la popolazione agricola, rappresentata da circa 150.000 unità, ne risulta una percentuale (4,56) ben modesta e tale da escludere l'esisten'za del problema del bracciantato agricolo.

L'altro elemento statistico relativo al movimento della popolazione, riferito al quadriennio 1947-50, ci permette di constatare che la Provincia di Torino è zona di immigra-zione, poiché la percentuale del movimento netto, rispetto alla popolazione presente, si è mantenuta, per il tempo riferito, su valori positivi rappresentati da una media del 0,64 %.

La conclusione ci sembra ormai matura: non esiste un flusso di emigrazione agricola verso l'estero sotto forma di imprese agrarie che trasferiscano capitali, lavoro e organiz-zazione tecnica o separatamente o congiuntamente e in varia proporzione, poiché le grandi e medie proprietà, peraltro poco diffuse, organizzano la produzione su aziende tecnica-mente idonee ad assicurare soddisfacenti condizioni econo-miche nè sono assillate da gravi problemi di ordine sociale, ben modesta essendo la forza bracciantile; inoltre le piccole proprietà, che sono prevalenti, hanno ordinamenti produttivi atti in genere a soddisfare i piani di consumo della famiglia contadina.

Non esiste neppure un tipo di emigrazione agricola ba-sato sullo spostamento di unità lavoratrici isolate (individuo o nucleo familiare) per l'esiguità del bracciantato e perchè, mentre in pianura e in' collina la proprietà particellare, dif-fusa su estese aree, non costituisce quasi mai un fenomeno patologico, inserita com'è nelle maglie di una fervida attività industriale e commerciale che le offre un sufficiente respiro economico, le correnti migratorie alimentate, come abbiamo visto, dalle zone di montagna sono, sia all'interno che al-l'estero, assorbite da attività extra-agricole.

A rendere del tutto oggettiva la tesi da noi sostenuta concorrono recenti riferimenti statistici, raccolti presso gli Uffici Provinciali che controllano i movimenti migratori, secondo i quali nel biennio 1949-50 il flusso di emigrazione permanente verso l'estero di lavoratori agricoli dalla pro-vincia di Torino è ammontato a una cinquantina di unità quasi interamente assorbite dalla Francia e, in misura lun-gamente inferiore, dal Canadà e dalla Svizzera.

Nel 1946-47 ci fu qualche isolato tentativo di emigrazione agricola verso l'Ecuador e il Venezuela. Soprattutto verso l'Ecuador, date le ottime prospettive presentate da quel Paese in campo agrario e il minimo prezzo di acquisto delle terre, si indirizzarono le richieste che, ancora una volta, partirono abbastanza numerose dalle zone canavesane di Corio, Castel-lamonte e Cuorgnè. Ma improvvise difficoltà, comunque non causate dai nostri agricoltori, resero vana anche questa pos-sibilità.

L'attuale situazione dell'emigrazione agricola non per-mette di prevedere sostanziali mutamenti in un prossimo futuro; tuttavia, se potranno stipularsi nuovi accordi in-ternazionali che prospettino alle imprese possibilità di mi-gliori profitti ed offrano ad un tempo condizioni salariali più vantaggiose, anche l'agricoltura torinese potrà registrare in-dici positivi in un settore verso il quale, almeno fino ad ora, non ha subito attrazioni degne di rilievo.

CONTRIBUTI

O NO...

D o p o q u i n d i c i a n n i si e s i g e la r e s t i t u z i o n e delle s o v v e n -z i o n i a f o n d o p e r d u t o a s s e g n a t e e s p e s e per le b o n i f i c h e

G I A N N I N A P T O N E

Una curiosa questione, nata nel campo agricolo, sta inte-ressando e preoccupando da qualche tempo tutti gli ambienti economici del Paese: e ciò non solo perchè si intensificano e moltiplicano gli interventi e le pressioni di ogni genere per eliminare o almeno ridurre il danno, ma soprattutto perchè la pericolosità del principio messo in causa ha destato un allarme generale.

Bisogna in merito risalire all'ormai lontano 1945, alla tumultuosa atmosfera della Roma preliberata e dei Governi del C.L.N. Un decreto luogotenenziale del 14 aprile 1945 di-sponeva il recupero dei contribuii straordinari concessi ad agricoltori, enti ed associazioni in relazione a particolari benemerenze acquisite dopo il 1931 nel razionale esercizio dell'agricoltura.

Le agevolazioni a suo tempo concesse consistevano nella assunzione a carico dello Stato (in misura del 3,50 % annuo) degli interessi del capitale impiegato nelle operazioni di mi-glioria, subordinando tale assunzione al riconoscimento della speciale necessità dell'agricoltore nonché all'importanza che il proseguimento della iniziativa presentava per l'economia generale.

I contributi furono regolarmente erogati con la osser-vanza delle norme prescritte dal D. L. 15 maggio 1931, n. 6322, relativo appunto alla ratizzazione dei prestiti agrari di eser-cizio; esse andarono in gran parte ad imprese di bonifica dell'Italia centrale e — come ebbe a riconoscere in Parla-mento lo stesso Ministro Segni — « furono tutti formalmente concessi per benemerenze accertate dai competenti Ispettori Compartimentali dell'Agricoltura ».

II citato Decreto Legislativo del 1945, ordinando il recu-pero dei contributi, li iscriveva a ruolo in dieci rate seme-strali con le norme ecl i privilegi delle imposte erariali e con un tasso d'interesse del 5 % su tutte le annualità erogate. Una regolare e relativamente recente legge sanzionava e confermava nell'ottobre 1949 il Decreto del 1945.

A parte la forma del recupero, particolarmente drastica, furono subito oggetto di rilievo alcuni casi limite, palese-mente contrari allo spirito della stessa norma legislativa, come i recuperi disposti a carico di agricoltori che avevano venduto la proprietà bonificata, i recuperi a carico di coo-perative, di enti di beneficenza, ecc. ecc. E si assistè in con-seguenza ad una fioritura di proteste non solo degli interes-sati, ma anche da parte dei Deputati e Senatori sotto un riflesso di interesse generale.

Così, ad esempio, su 700 ruoli di riscossione a recupero istituiti dal Ministero dell'Agricoltura per 1700 Ditte, sono

stati finora presentati ben 1109 fra opposizioni, ricorsi al Ministro, al Presidente della Repubblica e al Consiglio di Stato, denunzie ai Tribunali ordinari, ecc. I ricorrenti hanno quasi tutti addotto a loro difesa il fatto di aver regolarmente eseguito le migliorie per le quali era stato assegnato il con-tributo, talché il recupero era « palesemente iniquo e in-giusto ». Nessuna di queste azioni individuali ha finora sortito alcun effetto, essendosi il Ministero limitato a sospendere (in attesa di parere del Consiglio di Stato) l'esazione dei contri-buti concessi alle Aziende della provincia di Gorizia passate in territorio jugoslavo ed alle aziende dell'Agro Pontino il cui terreno fu espropriato dall'Associazione Nazionale Combat-tenti (16 casi in tutto).

Nè miglior effetto hanno avuto gli interventi di autorevoli parlamentari quali i senatori Bisori, Braschi e Rizzo che inter-pellarono il Governo sul carattere « malamente epurativo » di un provvedimento che pure reca, accanto alla firma del-l'allora Ministro dell'Agricoltura Gitilo, quella del compianto Ministro Soleri (Tesoro) e del democristiano Tupini, allora alla Giustizia... D'altra parte, per una seconda singolare coin-cidenza, si sussurra al Ministero dell'Agricoltura che fra i principali danneggiati siano il senatore Cingolani, nonché gli eredi degli on. Matteotti ed Amendola che a suo tempo ave-vano, con altri, regolarmente beneficiato dei contributi statali per i miglioramenti straordinari apportati alle loro imprese agricole.

Gli interpellati non si sono limitati a stigmatizzare il ca-rattere retroattivo della legge, ma hanno messo in rilievo la « palese iniquità ed i gravi inconvenienti derivanti dal prov-vedimento, la sua anacronistica sopravvivenza quando tutta l'epurazione è praticamente finita nel nulla, e infine l'esiguità dei recuperi di fronte alla grave turbativa recata nella vita della Nazione ». Si sospenda quindi la riscossione dei contri-buti o almeno — sostiene il sen. Braschi — se ci sono stati degli abusi per favoritismi politici, come presumeva il legi-slatore del 1945, si colpiscano con la legge sui profitti di re-gime o con le normali tasse che incidono su ogni incremento di ricchezza; ma si lasci agli agricoltori veramente benemeriti quel contributo senza del quale in fondo non sarebbero state portate a compimento le stesse bonifiche. Non si può trasfor-mare dopo quindici anni in prestito quello che era stato dato come contributo senza condizioni diverse da quelle che si sono puntualmente realizzate.

Il Governo, in risposta, ha anzitutto precisato « che il pre-vedibile ammontare dei recuperi era iscritto nel bilancio 1949-50 per 300 milioni ed in quello 1950-51 per 150 milioni: in tutto, l'eventuale somma da recuperare era di un miliardo e mezzo. Il Ministro Segni ha poi aggiunto che, per rispetto al Parlamento, il potere esecutivo non può di sua iniziativa sospendere l'applicazione di una regolare legge, come richiesto dagli interpellanti. Per di più esiste un ordine del giorno vo-tato il 21 ottobre 1949 dalla IX Commissione della Camera che invita esplicitamente il Governo a far sì che i ruoli per il recupero delle sovvenzioni concesse siano esigìbili a far tempo dal 1° gennaio 1950. D'altra parte, non si può neppure adottare un criterio discriminatore tra i buoni agricoltori ed i profittatori quando, a tanti anni di distanza, i fascicoli delle pratiche relative sono andati distrutti in azioni belliche o sono

stati persi durante il trasferimento al Nord degli Archivi... qualsiasi provvedimento sospensivo provocherebbe necessaria-mente altre sperequazioni (si pensi a quelli che hanno già iniziato a pagare e che restituendo avrebbero diritto a un reintegro rispetto a quelli che non hanno ancora versato nulla); in ogni modo il Governo non ritiene di prendere iniziative, pur non opponendosi ad una eventuale iniziativa parlamentare ».

In replica al Ministro, e per superare il punto morto rap-presentato da questo ostacolo procedurale, il sen. Braschi aveva preannunziato fin dal settembre scorso che si sarebbe fatto promotore di un apposito disegno di legge; una proposta analoga è stata avanzata in questi giorni dal Gruppo parla-mentare dei « coltivatori diretti » che ha presentato alla Ca-mera una proposta tendente ad « escludere dal recupero le Ditte che hanno beneficiato del contributo dello Stato nel pagamento di interessi per operazioni di credito in complesso non superiori alla somma di un milione ». Avendo presente i valori monetari del decennio 1931-41, la proposta viene in-contro ai casi più evidentemente meritevoli e dai quali è palesemente esclusa ogni possibilità di speculazione o favori-tismo politico. Non è però detto che le iniziative di maggior mole, o relative ad aziende di più grandi dimensioni, siano

Nel documento Cronache Economiche. N.099, Marzo 1951 (pagine 33-36)

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