• Non ci sono risultati.

di Emiliano Macinai e Luana Collacchion

1. Narrazione e vita

La comunicazione costituisce il fondamento di ogni relazione interpersonale: non si dà relazione senza co- municazione. Comunicare è mettere in comune, l’atto di condividere è la dimensione della socialità. Se ciò che viene messo in comune attraverso l’interazione comuni- cativa è significativo per tutti gli interlocutori coinvolti, allora la relazione interpersonale che ne risulta lo sarà al- trettanto: la durata dello scambio comunicativo sarà un tempo vissuto qualitativamente, nel quale i protagonisti entrano in sintonia profonda tra loro. Tra le forme del- la comunicazione umana che meglio realizzano questa condizione, vi è la narrazione.

La narrazione è una forma primaria della comunica- zione umana ed è funzionale alla vita stessa. Il narrare corrisponde a un bisogno profondo sul piano soggettivo e al tempo stesso costituisce una delle relazioni fonda- mentali per la costruzione dei legami interpersonali. Attraverso il racconto di sé, degli eventi della vita quoti-

La progettazione e la realizzazione del saggio è frutto del

lavoro condiviso dei due autori. In particolare, E. Macinai è autore dei paragrafi 1, 2 e 3; L. Collacchioni è autrice dei paragrafi 4, 5 e 6.

158

diana, dei fatti e delle esperienze che hanno dato forma all’esistenza, dei ricordi che la memoria di essi trattiene, il soggetto ne intensifica il senso e ne ricava significato. Narrare è ricostruire un racconto, la cui sostanza è la vita stessa: il bisogno di raccontare è quello di dare valo- re a ciò che si è vissuto, a ciò che ci ha reso ciò che siamo. Mentre il racconto tesse una trama, il soggetto rende coerente la storia della sua vita per il suo interlocutore e per sé stesso. La narrazione permette di approfondire la conoscenza di sé attraverso il racconto di ciò che ci è successo, di come lo abbiamo vissuto e ancora lo vivia- mo. Lo sforzo di rendere comprensibile il significato del racconto di sé a chi lo sta ad ascoltare è l’espressione del bisogno di trovare il senso di ciò che abbiamo fatto, vi- sto, vissuto: è l’urgenza di essere sicuri che la nostra vita ha e ha avuto un senso.

Tutto ciò che avviene può essere ordinato in for- ma narrativa e come ogni narrazione il racconto di sé comincia da un inizio, si snoda attraverso uno svolgi- mento che conduce verso una conclusione aperta, ini- zio per nuove possibili narrazioni. Mettere in comune le esperienze della vita è il modo per dare significato ad esse. Raccontare è prima di tutto mettere in ordine l’esperienza, organizzarla nella forma triadica e circo- lare di una trama aperta. Stabilire l’inizio del racconto significa individuare un punto di rottura nel fluire del tempo esistenziale: da un evento, una situazione, un momento che si staglia nella sua singolarità, il dipanarsi di una storia può avere inizio e solo una volta giunti alla conclusione se ne potrà attingere a pieno il valore. E se l’interlocutore avrà ascoltato e compreso, allora il sog-

159

getto narrante avrà dato un senso alla propria vita, ne avrà trovato l’essenza e la sua verità.

La narrazione è dunque una forma comunicati- va e allo stesso tempo una pratica riflessiva. È profon- damente connessa al vivere perché non si può vivere senza ricercare il senso di ciò che stiamo vivendo. Per questo il raccontare assume in primo luogo una forma autobiografica: narrarsi è sempre prendere coscienza di sé. In prospettiva pedagogica, la narrazione di sé è una pratica autoformativa. Che avvenga in forma orale o in forma scritta, il raccontarsi a un ascoltatore non soppri- me la dimensione intima, personale dell’autobiografia. Al contrario, la presenza dell’altro conferisce potenza all’atto identitario: mettere in comune sé stessi attraver- so il racconto di sé costituisce una relazione intersog- gettiva tra le più profonde, corrispondendo a uno tra i più profondi e originari bisogni umani, quello di essere compresi e dunque riconosciuti da un proprio simile. Ed è in questi frangenti che la costruzione di senso che si accompagna al racconto autobiografico si corona nella consapevolezza di essere ed essere stati vivi.

2. Narrarsi oggi

È opinione diffusa che nelle società postmoderne il tema della narrazione abbia perso gran parte della sua significatività sul piano sociale. La narrazione rima- ne esperienza fondamentale ma sempre più confinata nella dimensione intima e privata del soggetto. Nelle società moderne e ancor più, potremmo dire, in quelle

160

premoderne, il raccontare assumeva viceversa un valore pregnante nella dimensione pubblica della vita, tanto nella sfera comunitaria quanto in quella politica. Per tali società, in cui la circolazione dei contenuti cultura- li e delle informazioni era largamente affidata al canale dell’oralità, la narrazione rappresentava il canale princi- pale per la trasmissione di nozioni e di saperi. Attraverso la circolarità del racconto orale, i valori si radicavano di generazione in generazione e il racconto delle esperien- ze di vita che i più anziani od esperti fornivano ai più giovani assumeva per questi la funzione di un copione validato dall’esperienza, al quale guardare per far fronte al futuro. In questa circolarità si venivano formando le culture familiari, quelle comunitarie e di vicinato e, in ultima analisi, si riproducevano le strutture valoriali che davano forma alla società.

L’avvento della scrittura ha trasformato ogni società tradizionale nel suo grado più profondo, modificando la cinghia di trasmissione che lega assieme le generazioni. Lo si osserva nella polis classica a partire dalla fine del VI secolo a.C. come nella Roma repubblicana a caval- lo tra III e II secolo a.C., per non parlare dell’Europa del XV secolo. Si sperimenta un processo simile quan- do una innovazione tecnologica interviene a ribaltare il rapporto tra vecchie e nuove generazioni: che si tratti del libro a stampa, o dell’avvento di radio e televisione pri- ma e dei digital media poi, i più giovani dispongono di competenze che rendono il sapere esperienziale dei più anziani obsoleto. Sono i giovani ad insegnare ai più vec- chi, mentre le esperienze dei grandi appartengono a un mondo che di fatto non esiste già più. L’ultimo quarto