2.2 Monitoraggio con i secondari
2.2.3 Emissione di particelle cariche
É attualmente in studio la possibilità di utilizzare le particelle secondarie emesse nell’interazione tra il fascio incidente e i nuclei del tessuto come ulteriore tecnica di monitoring. Lo studio dedicato a questo nuovo tipo di rivelazione risulta parti-colarmente interessante perché è appunto una caratteristica dei carichi quella della relativa facilità di tracciamento e di un’ottima efficienza di rivelazione. Tramite una back-projection è quindi possibile una ricostruzione del punto di origine, che può essere dunque correlato con il profilo di dose rilasciato (vedi Figura 2.14).
Figura 2.14: Rappresentazione grafica per l’individuazione del punto di emissione tramite una ricostruzione della traccia attraverso un’analisi del tempo di volo. In figura è mostrato un rivelatore LYSO posto a 90° rispetto alla direzione del fascio [117].
Si riporta la misura dei flussi di particelle cariche prodotte dal fascio di ioni carbonio di 220 MeV/u presso il GSI [117], metodo che verrà utilizzato anche per l’analisi dei dati di HIT. Le misurazioni sono state effettuate in un setup sperimentale di 90° e di 60° rispetto alla direzione del fascio che irradia un target di PMMA.
Il metodo prevede il fit della distribuzione spaziale dei secondari prodotti (in Figura 2.15 è visibile il profilo di emissione longitudinale) con la funzione:
f (x) = p0 1 1 + exp � x− p1 p2 � 1 1 + exp � −x− p3 p4 � + p5 (2.1)
I parametri p3 e p1sono correlati rispettivamente al fronte di salita e discesa della distribuzione mentre p4 e p2 alle corrispettive pendenze. Il contributo del fondo è determinato dal parametro p5. Per caratterizzare il profilo longitudinale sono state definite due quantità ∆40e δ40definite come in Figura 2.15 a destra. La quantità ∆40
rappresenta la larghezza della distribuzione f(x) al 40% dell’altezza massima, mentre Xlef t e Xright definiscono le relative posizioni proiettate sull’asse x. La quantità δ40
2.2. MONITORAGGIO CON I SECONDARI x = Xright. Grazie a questi fit si riesce ad interpolare il profilo longitudinale della deposizione in energia e ricavare la posizione del picco di Bragg. La precisione del metodo è influenzato dallo scattering multiplo dei frammenti all’interno del paziente, dalla statistica di raccolta e dalle fluttuazioni intrinseche nel processo di emissione legate all’interazione nucleare.
Figura 2.15: A sinistra: distribuzione simulata della dose in funzione della profondità (superficie tratteggiata) sovraimposta al profilo longitudinale delle particelle secondarie emesse a 90° in funzione della profondità del target. A destra: profilo longitudinale dei frammenti carichi dentro il target a 90° con sovrapposta la funzione di distribuzione di equazione 2.1. Le frecce tratteggiate e continue
mostrano ∆40 e δ40e viene indicata la posizione di Xlef te Xright. Immagine da [117].
Nel caso del trattamento con ioni carbonio, si è verificato che, durante le col-lisioni nucleari degli ioni primari del fascio lungo il percorso, vengono generati un gran numero di protoni (vedi Figura 2.16 [34]). Per quanto riguarda invece lo studio dell’emissione dei protoni ad angolo maggiore citiamo due lavori antecedenti all’e-sperimento soggetto di questa tesi. Presso i Laboratori Nazionali del Sud (LNS) a Catania, con un fascio di ioni carbonio di 80 Mev/u, è stato effettuato un esperimento rivolto alla misurazione dello spettro dei protoni rivelati ad un angolo di 90° rispetto alla direzione del fascio, in questo modo è stato possibile ricavare la posizione del picco di Bragg [118]. In Germania, presso il GSI, il fascio degli ioni carbonio aveva un’energia superiore, ovvero di 220 MeV/u, e si è studiato lo yield dei carichi in due diverse configurazioni: a 60° e 90° [117].
Tali protoni, generati dai nuclei proiettile, hanno una probabilità di distribuzione di velocità e angolo di emissione tali da permettere la fuoriuscita dal paziente e la possibilità di essere rivelati da detector posti oltre il paziente stesso. L’obiettivo è dunque quello di controllare l’effettivo range degli ioni, confrontando la distribuzione dei vertici così ricostruiti con quella calcolata dal piano di trattamento e quella misurata durante l’irraggiamento (questo confronto, con l’ausilio di scanner PET come descritto in Sezione 2.2.1, può essere approfondito in [103]).
In questo ambito, una modalità di controllo del range degli ioni è stato proposto per la prima volta da Amaldi et al. [119]. Questo metodo è chiamato Interaction
Figura 2.16: Spettri in energia dei protoni, deuteri e trizi secondari misurati a diversi angoli da 0° a 30°. I dati sono confrontati con simulazioni Monte Carlo (code PHITS, linee continuee). A piccoli angoli e ad enrgie superiori di 150 MeV/u lo spettro del deuterio (quadrati bianchi) contiene piccoli contributi dai trizi. Le linee tratteggiate indicano una stima della decomposizione dei due contributi [34].
Vertex Imaging (IVI) ed è basato sulla rivelazione dei protoni secondari emessi per ricostruire il vertice di emissione all’interno del paziente.
Quello che si vuole ottenere in un caso di beam delivery attivo è un monitoraggio real-time di ogni singolo ’pencil beam’ andando a determinare la posizione del picco di Bragg istante dopo istante. Per scopi di adroterapia sono stati considerati due metodi: (i) single-proton detection (SP-IVI) dove viene ricostruito il vertice dal con-fronto della traiettoria del protone con la direzione del fascio fornito da un rivelatore primario di tracciamento (hodoscope) che fornisce le coordinate spaziali e temporali e (ii) Double-Proton detection dove due traccie vengono intersecate tra loro per otte-nere la posizione del vertice [120]. Sebbene quest’ultima tecnica comporti un drastico abbassamento della statistica di rivelazione è comunque da tenere in considerazione data la maggiore semplicità del setup sperimentale che non richiede un rivelatore primario di traccia.
2.2. MONITORAGGIO CON I SECONDARI
Figura 2.17: Schema artistico dell’Interaction Vertex Imaging. L’hodoscope traccia gli ioni for-nendone le coordinate spaziali e temporali. Nel single single-track vertexing il vertice è ricostruito dall’intersezione della traiettoria della particella con la direzione del fascio incidente fornito dal-l’hodoscope. Nel multitrack vertexing, invece, il vertice è ricostruito dall’intersezione di due o più traiettorie che provengono dallo stesso punto di frammentazione [120].
CAPITOLO 3
APPARATO SPERIMENTALE
In questo capitolo verrà descritto l’esperimento di questo lavoro di tesi che è stato condotto presso l’Heidelberg Ion-Beam Therapy Center, situato in Germania.
La prima Sezione 3.1 descrive tale centro medico: ne viene citata brevemente la storia e gli studi condotti, mostrando le specifiche dell’apparato di accelerazione e della struttura.
Nella Sezione 3.2 vengono discussi gli obiettivi e gli scopi dell’esperimento. Questi sono principalmente legati alla ricerca di base sulle tecniche di monitoraggio della do-se (viste in Capitolo 2) e possono esdo-sere suddivido-se nell’analisi delle particelle cariche, neutre, dei frammenti e dell’analisi in-beam PET.
Per riuscire a soddisfare questi scopi è necessario un set di rivelatori relativamente complesso che viene descritto in Sezione 3.3 insieme al resto del setup sperimenta-le. Qui vengono inoltre approfondite le specifiche e le caratteristiche dei rivelatori utilizzati descrivendone il loro utilizzo nell’esperimento.
La Sezione 3.4 è dedicata alla descrizione della catena elettronica di lettura dei segnali provenienti dai rivelatori che si compone di elementi modulari nello standard NIM e VME .
Infine, in Sezione 3.5, verrà trattata l’elaborazione dei dati, descrivendo il software necessario per il trattamento dei segnali digitali registrati.