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EMOZIONI PRAGMATISTE

Introduzione

Quella di William James è sicuramente la voce più nota tra i pragmatisti sulle emozioni, anche se dobbiamo ricordare che al tempo della formula-zione delle sue tesi sull’argomento (dal 1884 al 1891) il fi losofo non si era ancora pronunciato a favore del pragmatismo.1

Perché allora riproporre la sua concezione delle emozioni, data la lunga serie di obiezioni, spesso ben fondate, che ha sollevato nel corso di più di un secolo?

Il nucleo della teoria di James è costituito, come è noto, da un rove-sciamento di fondo del nostro modo consueto di concepire le emozioni, secondo il quale «la percezione mentale di un certo fatto eccita l’affezione mentale che chiamiamo emozione», cosicché «quest’ultimo stato mentale fa nascere l’espressione corporea». La sua tesi, al contrario, è che «i

cam-biamenti corporei seguono direttamente la PERCEZIONE del fatto ecci-tante, e che il nostro sentimento dello stesso cambiamento, mentre accade, È l’emozione».2

Non c’è qui lo spazio per ricordare tutte le obiezioni che sono state mos-se alla teoria di James.

La mia proposta in questa sede è piuttosto di intendere le sue indicazioni non come una teoria completa che può essere criticata di per sé – anche se ovviamente questo è un punto di vista del tutto legittimo. Si possono

con-1 Tuttavia si deve ricordare che la svolta di Dewey dall’hegelismo al pragmatismo fu legata alla lettura dei Principi di psicologia di James (nonché a quella dei libri di Darwin), anche se il volume di James è considerato antecedente al suo impegno a favore del pragmatismo.

2 W. James, What is an Emotion? in «Mind», vol. 9, n. 34, 1884, pp. 189-190. Il saggio, come è noto, costituisce una prima versione del capitolo intitolato The Emotions in W. James, The Principles of Psychology (Volumes I and II), Harvard University Press, Cambridge-London 1981. Le traduzioni dai testi originali qui e in seguito sono a cura di chi scrive.

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siderare i vari aspetti della sua concezione come l’inizio di un laboratorio aperto e in fi eri, che fu portato avanti da John Dewey e da George Herbert Mead nel corso dei due decenni successivi. In altri termini, assumerò i punti di vista di Dewey e di Mead sulle rifl essioni di James, focalizzando l’attenzione su alcune convergenze, su aspetti di disaccordo, ma anche su alcune revisioni più o meno sostanziali. Questo tipo di approccio ci aiute-rà a recuperare una prospettiva pragmatista sulle emozioni, caratterizzata fondamentalmente da un’istanza continuistica o non dualistica, che rifi uta le dicotomie tra mente e corpo, emozione e cognizione, privato e sociale, sullo sfondo del naturalismo culturale di Dewey e della prospettiva bio-sociale di Mead.

1. Il James di Dewey e di Mead

Quali possono essere stati gli elementi più rilevanti della teoria di James agli occhi di Dewey, prima, e di Mead, subito dopo?

Ritengo che uno degli aspetti più stimolanti della posizione di James per i due più giovani pragmatisti fosse di tipo negativo, ossia che consistesse nella rinuncia esplicita da parte di James di ricorrere a presunti stati mentali intesi come cause dei successivi cambiamenti corporei. Il saggio What is

an Emotion? nega esplicitamente che ci sia una “materia mentale” nascosta

dietro i cambiamenti corporei. Tuttavia per entrambi i pragmatisti citati non si trattava di una posizione proto-comportamentista, orientata esclusi-vamente sulle azioni osservabili per evitare i problemi epistemologici cau-sati dal ricorso all’introspezione. Al contrario, sia Dewey sia Mead stavano cercando di interpretare la mente e la coscienza non come tipi diversi di entità o di sostanza, ma come forme particolari delle interazioni tra gli organismi umani e il loro ambiente naturale e naturalmente sociale, ossia come fasi peculiari dell’esperienza, essenzialmente continue con l’ambien-te a cui apparl’ambien-tengono e che contribuiscono a trasformare dall’inl’ambien-terno. Va ricordato, tuttavia, che nei Principi James aveva adottato almeno formal-mente il parallelismo dualistico tradizionale tra psichico e fi sico, sebbene lo avesse poi sovvertito radicalmente, almeno nella formulazione della te-oria dell’emozione.3

3 Su questo si veda J. Dewey, The Vanishing Subject in William James’s Psychology, in The Later Works of John Dewey, Volume 14: 1939-1941, edited by Jo Ann Boydston, Southern Illinois University Press, Carbondale & Edwardsville 1988, pp. 155-167.

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La concezione di James non si limita a riconoscere e a enfatizzare le implicazioni corporee in una vasta gamma di emozioni: questa tesi sareb-be, tutto sommato, abbastanza ovvia, eccetto che per coloro che sostengo-no posizioni cognitiviste estreme.4 James sosteneva piuttosto che il corpo svolge una funzione chiave nell’interpretazione di una classe ristretta di emozioni e poi delle emozioni in generale. Ma quale idea del corpo stava assumendo qui? Si potrebbe sostenere che questo punto costituisse un secondo elemento di interesse per Dewey e Mead, che è invece trascurato da coloro che criticano la teoria di James perché ignorerebbe la dimen-sione intenzionale delle emozioni. I due pragmatisti probabilmente videro già nel testo seminale di James una concezione strutturalmente interattiva del corpo umano e del sistema nervoso in particolare. Infatti, nelle parole di James, i sentimenti del corpo non sono intesi come meramente privati o interni, tali da ostacolare o da marginalizzare il ruolo del presunto mondo esterno e degli oggetti ‘là fuori’. Il corpo non è compreso come un tipo di entità chiusa; al contrario James concepiva il sistema nervoso come funzione dell’ambiente, capace di reagire ad alcuni aspetti selezionati e di ignorarne altri. In particolare, le emozioni sono intese come attitudini che il nostro sistema nervoso dispiega per reagire a certi stimoli ambientali o anche come inclinazioni che anticipano quei fattori ambientali ai quali è sensibile un certo organismo. Il nostro sistema nervoso e lo stesso appa-rato viscerale non sono visti come se fossero completamente assorbiti da sé, per così dire; al contrario essi sono «una sorta di cassa di risonanza, che ogni cambiamento della nostra coscienza, per quanto leggero, può far riverberare».5 Da questo punto di vista si potrebbe sostenere che James aveva già visto qualcosa che è stato notato solo successivamente da Peter Goldie, ovvero che i sentimenti corporei sono intenzionali: durante un’in-tensa esperienza emotiva il corpo non sente semplicemente se stesso, ciò che soffre o gode è il mondo circostante che agisce su di lui.6

Questo ci porta a un terzo aspetto che deve aver fatto risuonare le corde di Dewey, vale a dire l’enfasi sulla dimensione estetica o affettiva della nostra esperienza del mondo. James aveva cominciato il suo saggio del 1884 rivendicando che molti fi siologi si erano limitati a mettere a fuoco le

4 Cfr. anche S. Cunningham, Dewey on Emotions: Recent Experimental Evidence, «Transactions of the Charles S. Peirce Society», vol. 31, n. 4, 1995, p. 867. 5 W. James, What is an Emotion?, cit., p. 191.

6 Cfr. P. Goldie, Emotions, Feelings and Intentionality, «Phenomenology and the Cognitive Sciences», 1, 2002, p. 236.

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performance cognitive e volitive del cervello, ignorando «la sfera estetica della mente, i suoi desideri, i suoi piaceri e dolori, le sue emozioni».7

In Esperienza e natura Dewey sosterrà che il nostro soffrire o godere le situazioni, gli altri individui e le cose costituisce il modo primario, non ri-fl essivo, di fare esperienza del mondo – piuttosto che chiuderci nella nostra presunta interiorità! Si tratta di una modalità di esperire le cose che è già rivelatrice delle azioni che l’ambiente sovrastante causa in noi e che, per-tanto, implica sia un carattere protovalutativo sia una portata protocogniti-va sul mondo intorno a noi, prima che abbiano luogo distinzioni analitiche tra soggetto e oggetto.

A sua volta Mead può essere stato ispirato dall’attenzione di James per gli aspetti estetici dell’esperienza umana per almeno due ragioni. La pri-ma è che connettendo le emozioni al piacere e al dolore, ai desideri e ai rifi uti, si può comprendere sia la continuità tra comportamento animale ed esperienza umana, sia la peculiarità di quest’ultima, che consisterebbe nel carattere simbolico degli oggetti che causano interazioni dolorose o piace-voli. In secondo luogo, Mead potrebbe aver trovato ispirazione nel ricono-scimento da parte di James che «la parte più importante del mio ambiente è il mio compagno. La coscienza del suo atteggiamento verso di me è la per-cezione che normalmente sblocca la maggior parte dei sensi di vergogna, indignazione, paura».8 Ne Il carattere sociale dell’istinto Mead affermerà che «la coscienza primitiva anche del mondo fi sico è sociale»,9 vale a dire che la nostra coscienza è orientata primariamente in senso affettivo verso le reazioni degli altri alle nostre azioni. Di conseguenza, questa percezione socio-affettiva del mondo «diventa coscienza fi sica con il potere crescente della rifl essione».10

2. Il contributo di Dewey

Dewey inizia il primo dei due articoli sulle emozioni pubblicati nel 1894 e nel 1895 dichiarando esplicitamente che le sue proposte sull’argomento devono essere intese come «un abbozzo possibile che potrà essere

aggior-7 W. James, What is an Emotion?, cit., p.188.

8 G. H. Mead, The Social Character of Instinct, in Essays in Social Psycology, edited by M.J. Deegan, Transaction Publishers, New Brunswick and London 2010, pp. 3-8.

9 Ivi, p. 3. 10 Ivi, p. 3.

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nato nel futuro, non come un resoconto assodato e completo».11 La teoria delle emozioni di James, insieme a quella di Darwin, costituiscono il focus centrale della sua analisi – rispettivamente nel secondo saggio, Il signifi

-cato dell’emozione e nel primo, Atteggiamenti emotivi. Inoltre viene

men-zionato espressamente il lavoro di Mead sull’emozione in una nota a piè pagina, in cui Dewey si augura che gli sforzi teorici del suo amico e collega possano presto confl uire in una pubblicazione. Questi elementi sostengono l’ipotesi interpretativa di considerare il lavoro dei pragmatisti sull’emo-zione (James incluso) come una sorta di laboratorio aperto di idee in fi eri.

Per quanto riguarda Dewey, dobbiamo anche ricordare che questo argo-mento resterà decisivo nello sviluppo del suo pensiero: rifl essioni impor-tanti sono presenti sia in Esperienza e natura sia in Arte come esperienza, anche se non è possibile svilupparle in questa sede.

Il punto comune ai due articoli concerne il tentativo di far interagire la teoria di Darwin con quella di James, correggendo alcuni dei loro errori cruciali e facendo emergere alcune divergenze che James non aveva consi-derato esplicitamente quando aveva formulato le sue idee sulle emozioni.

Secondo Dewey il problema fondamentale di entrambe le concezioni è costituito dalla dicotomia tra gli aspetti psichici e quelli fi sici delle emozio-ni – dualismo che sfortunatamente non era stato ancora affrontato da James al momento della formulazione delle sue idee sull’emozione.

Ma andiamo per ordine.

La premessa scontata di Darwin è che le emozioni precedano l’azio-ne periferica organica e che proprio per questo motivo i cambiamenti l’azio-nel volto e sulla superfi cie del corpo possano essere intesi come l’espressione esterna o la mera comunicazione veicolare delle emozioni stesse. Dewey sostiene che l’interpretazione dei movimenti corporei visibili, connessi a un’esperienza emotiva, nei termini dell’espressione esteriore di un pre-sunto stato mentale sia basata su una fallacia psicologistica, ovvero sulla sovrapposizione del punto di vista dell’osservatore a quello del fatto os-servato. Nei Principi, sostenendo che lo psicologo starebbe all’esterno dei presunti fatti mentali di cui parla, James notava che tuttavia egli sembra-va dimenticarsene e compiere errori fatali.12 Così, se il digrignare i denti

11 J. Dewey, The Theory of Emotion, in The Early Works of John Dewey, Volume 4: 1893-1894, edited by Jo Ann Boydston, Southern Illinois University Press, Carbondale & Edwardsville 1971, p. 152. Dewey cita non solo dai Principi, ma anche dal saggio di James The Physical Basis of Emotion (in Essays in Psychology, edited by W.R. Woodward, Harvard University Press, Cambridge-London 1983, pp. 299-314).

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può essere interpretato dall’osservatore come comunicazione della rabbia, l’uomo che digrigna non lo sta facendo per comunicare la sua collera ad altri, almeno questo non è il suo primo intento. Per lui i cambiamenti del suo corpo sono semplicemente una parte del suo essere arrabbiato come fenomeno integrale – Dewey osserverà più tardi che sono movimenti o atti che ineriscono immediatamente al suo essere arrabbiato, sono disposizioni o atteggiamenti emotivi.

Dalle prospettive di James e di Dewey questo argomento sembra fun-zionare bene, ma a mio parere manca un punto importante, che sarà ripreso successivamente da Mead. Si tratta del fatto che le nostre azioni sono già sempre sociali, nel senso che sono sempre soggette all’osservazione degli altri e noi ne siamo sempre in parte consapevoli. Ma ritorneremo nel se-guito su questo.

Dewey propone al lettore un’analisi accurata dei principî con cui Dar-win aveva spiegato le emozioni, a cominciare dal primo, ossia da quello degli «abiti associati utili». Secondo questo principio, i cambiamenti cor-porei che risultano utili per comunicare le emozioni di qualcuno a un altro sono selezionati e acquisiti dalle generazioni successive. Dewey ritiene che il contributo più importante di Darwin nella comprensione delle emozioni consista proprio nel suo approccio teleologico, vale a dire nell’idea che dobbiamo comprendere gli atteggiamenti, i gesti o i comportamenti emo-tivi in una prospettiva fi nalistica o funzionale. Tuttavia, dal punto di vista di Dewey, Darwin avrebbe mancato l’obiettivo: gli atteggiamenti emotivi non sono signifi cativi primariamente in relazione a presunti stati mentali, ma in riferimento a movimenti utili; questo vuol dire che essi sono fun-zioni di certi atti piuttosto che di certe emofun-zioni intese come stati mentali. In altri termini, gli atteggiamenti emotivi devono essere interpretati come «atti originariamente utili non in quanto esprimerebbero emozioni, ma in

quanto atti – che servono alla vita».13 Dewey suggerisce l’esempio del riso, che nella sua interpretazione non appare primariamente funzionale alla co-municazione di uno stato mentale piacevole, ma rappresenta piuttosto la conclusione di un periodo di sforzo.

Dall’altro lato, Dewey attribuisce un ruolo molto importante al terzo principio su cui Darwin basa la sua spiegazione delle emozioni, quello che riguarderebbe i casi di «scarica diretta del sistema nervoso». Nell’in-terpretazione di Dewey, quei casi idiopatici in cui apparentemente non si riesce a trovare nessuna causa per un certo movimento corporeo, de-vono essere compresi come «casi di fallimento dell’ingranaggio

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gico abituale»,14 in cui abiti che avevano avuto successo in precedenza non forniscono più risposte comportamentali effi caci a certe situazio-ni. L’approccio funzionale è chiaramente sempre al lavoro: la scarica del sistema nervoso non è senza signifi cato e senza motivo; piuttosto è connessa a un momento di crisi, laddove i movimenti e le azioni del passato, orientate a un certo scopo o a rispondere a una certa richiesta dell’ambiente, si rivelano inappropriati, per cui si devono trovare nuove forme di interazione.

Ma che ne è di James?

Il problema della sua teoria delle emozioni da cui Dewey prende le mos-se nel saggio del 1895 riguarda l’avere incentrato l’attenzione esclusiva-mente sul sentire caratteristico di un’esperienza emotiva, trascurando una serie di elementi decisivi, che sono innanzi tutto vissuti e percepiti «come un tutto, che porta distinzioni di valore al suo interno».15 In questa prospet-tiva potremmo sostenere che il punto di partenza di Dewey non è quello della ricerca psicologica o scientifi ca, quanto quello del «nostro modo or-dinario, quotidiano di pensare alle emozioni», la cui unità, secondo Peter Goldie, precede ogni distinzione tra materiale e mentale, nonché, secondo Dewey, tra sentire, conoscere, valutare e agire.16

Da questo punto di vista il sentimento di un cambiamento corporeo è una parte strutturale dell’emozione, ma non esaurisce l’esperienza emoti-va concreta, in cui possiamo innanzi tutto riconoscere una «prontezza ad agire in certi modi»17 in risposta a certi stimoli o a un determinato ogget-to, una disposizione verso altri uomini e donne, un modo di comportarsi in una certa situazione. Questo aspetto comportamentale dell’emozione è caratterizzato come «primariamente etico»18 da Dewey perché, anche se possiamo distinguere sul piano intellettuale un sentimento dall’azione o dalla reazione che stiamo avendo, quello stesso comportamento porta con sé una sorta di protovalutazione su ciò che è meglio o peggio, pericoloso o godibile – ovvero una forma primitiva di valutazione che non è il risultato

14 Ivi, p. 139. 15 Ivi, p. 173.

16 Cfr. P. Goldie, Emotions, Feelings and Intentionality, cit., p. 247. Su questo si veda anche G.H. Mead, The Defi nition of the Psychical, in Selected Writings, edited by A.J. Reck, The University of Chicago Press, Chicago and London 1984, pp. 25-59. La versione originale più lunga si trova nel sito web del Mead Project (https://www.brocku.ca/MeadProject/Mead/pubs/Mead_1903.html. Ultimo ac-cesso 29 novembre 2015).

17 J. Dewey, The Theory of Emotions, cit., p. 172. 18 Ivi, p.173.

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di un giudizio, ma dipende dal modo in cui sentiamo la situazione in cui ci veniamo a trovare.

Un aspetto ulteriore di una esperienza emotiva completa è costituito dal suo riguardare un certo oggetto, una persona, una situazione, il suo essere orientata verso qualcosa – ovvero quella che viene di solito chiamata la sua struttura intenzionale, che Dewey chiama riferimento preposizionale. Mol-ti anni più tardi, in Esperienza e natura, suggerirà che, se guardassimo alla grammatica delle emozioni, dovremmo rigettare il topos fi losofi co tipica-mente moderno delle emozioni chiuse nella nostra esperienza più privata, le quali arriverebbero a trovare espressione adeguata in pochi casi fortunati attraverso l’azione quasi magica di qualche opera d’arte “autentica”. Di fatto, le emozioni sono sempre per qualcosa, verso un certa persona o un evento, contro una determinata situazione, a causa di un fatto terribile o meraviglioso. Questo signifi ca che, invece di chiudere ognuno di noi nel-la sua soggettività, le emozioni rivenel-lano nel-la nostra esposizione strutturale all’ambiente e alle energie sociali che ci circondano.

Potremmo caratterizzare questo lato intenzionale o preposizionale delle emozioni come cognitivo. Tuttavia anche da questo punto di vista l’approc-cio di Dewey è originale per il sovrapporsi di fattori cognitivi ed estetici, che rende la percezione emotiva di un oggetto qualcosa che non può essere considerato come composto dalla somma di due parti separate, come si so-stiene per esempio nell’approccio cognitivista debole o neostoico di Mar-tha Nussbaum.19 Nella prospettiva di Dewey non ci limitiamo dapprima a percepire meramente o a registrare un dato di fatto per poi successivamente ascrivergli un valore. Per esempio, non percepisco semplicemente un orso con i miei organi sensoriali, quale contenuto meramente descrittivo di una esperienza, e solo dopo ne ho paura perché mi trovo nella foresta e non allo zoo, a osservare l’orso chiuso nella sua gabbia. Al contrario, perce-pisco l’orso come spaventoso se sono nella foresta, o come simpatico (o infelice) se sono allo zoo, e solo più tardi posso astrarre intellettualmente gli elementi estetici o qualitativi, ovvero il signifi cato dell’orso per la mia vita, dall’orso in generale o dalla presunta mera percezione dell’orso, che si rivela però come il risultato di un processo di astrazione e non come un ele-mento primo. Secondo quanto dirà in seguito Dewey, questo tipo di astra-zione non è erronea di per sé, perché il ritorno rifl essivo su un’esperienza immediata per considerarne analiticamente le parti può essere un modo per trovare una soluzione a un momento di crisi e può arricchire le esperienze

19 Cfr. M. Nussbaum, L’intelligenza delle emozioni, il Mulino, Bologna 2004, spe-cialmente il primo capitolo sulle emozioni e i giudizi di valore.

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successive. Al contrario, si tratta di una fallacia fi losofi ca soltanto se si as-sumono i risultati dell’astrazione come elementi primi neutri che sarebbero