2.A.
Empatia e visione di scene filmiche
Nel corso degli anni l’empatia è stata definita in modi differenti secondo la rilevanza attribuita alle componenti cognitive piuttosto che affettive (Bonino, Lo Coco & Tani,1998).
Importante è stato il contributo di Feshbach, Feshbach, Fauvre, Ballard- Campbell (1983) che ritengono che l’empatia, come capacità di condividere l’esperienza affettiva di un’altra persona, sia caratterizzata da tre componenti fondamentali:
1. riconoscimento e discriminazione dei sentimenti;
2. assunzione della prospettiva e del ruolo dell’altra persona; 3. responsività empatica come capacità di vicariare le emozioni.
Più recentemente (Eisenberg e Strayer, 1987; Strayer, 1993) hanno considerato l’empatia come un’esperienza affettiva di condivisione dell’emozione di un’altra persona considerandola non come una capacità, ma come una risposta più propriamente affettiva e che riflette una modalità di ”essere”.
La persona che vive l’esperienza empatica può in questo modo entrare in relazione con “autenticità” (Rogers, 1951), proponendosi senza incoerenze tra ciò che prova (che è anche ciò che prova l’altra persona) e ciò che manifesta attraverso messaggi verbali e non verbali.
Ritorna quindi, anche nel dibattito scientifico circa il costrutto dell’empatia, il problema del rapporto tra emozione e cognizione e, più precisamente, dell’indispensabilità o meno di processi cognitivi come il riconoscimento e la discriminazione dei sentimenti altrui.
A questo proposito, gli studi (Gallese, 2003) succedutisi alla scoperta dei neuroni-specchio (Gallese, Fadiga, Fogassi & Rizzolatti, 1996) hanno rivelato che la decodifica di sensazioni ed emozioni può avvenire attraverso l’attivazione automatica di questi neuroni; quest’ultima è basata sull’esperienza e vista come risultato di un processo evolutivo, senza l’utilizzo di particolari sforzi cognitivi. Inoltre, nel differenziare la simulazione incarnata, come riproduzione automatica, dalla simulazione standard, considerata come atto volontario di mettersi nei panni dell’altro con la creazione dentro di sé, attraverso l’immaginazione, degli stati mentali dell’altro (Gallese, Migone, Eagle, 2006), è stato sottolineato come,
inizialmente, la prima preceda la seconda e permetta il riconoscimento immediato del senso delle azioni e delle emozioni altrui. Tuttavia, gli autori riconoscono che il significato degli stimoli sociali può essere decodificato da una parallela azione di elaborazione cognitiva, come nella simulazione standard.
Il processo empatico che caratterizza le relazioni umane è in continuo mutamento, nel senso che ciascuno esprime delle emozioni e, allo stesso momento, decodifica le emozioni di chi ha di fronte: le persone che entrano in relazione sono destinatari di feedback che possono generare nuove reazioni empatiche.
Riguardo all’empatia, è possibile cercare eventuali analogie tra una situazione in cui due persone reali entrano in relazione e quella in cui una persona assiste ad una scena filmica in cui dei personaggi esprimono emozioni.
Ad esempio, esiste un’analogia per quanto riguarda quel distacco che permette nel processo empatico di riconoscere l’alterità dell’altra persona, anche se si esperiscono le sue emozioni, mentre esiste una differenza perché l’empatia provata dallo spettatore nei confronti di un personaggio non è seguita da un feedback, per cui manca un’interazione reale.
2.B.
Identificazione e visione di scene filmiche
Il costrutto dell’identificazione è stato descritto in modo diverso da molti autori, anche in relazione a diverse tipologie di corrispondenza tra il comportamento del soggetto e quello della persona con cui si sta identificando. Bandura (1969) ricorda che in letteratura è possibile trovare distinzioni tra “identificazione”, ”imitazione”, ”introiezione”, ”incorporazione”, ”internalizzazione”, “coping”, ”role-taking”.
In particolare, nel differenziare l’imitazione dall’identificazione, si è ipotizzato che la prima riguardi singole risposte, mentre la seconda sia caratterizzata da molteplici schemi di comportamento o da una rappresentazione simbolica del modello oppure dal possesso di simili sistemi di significato. Inoltre, si ipotizza in modo contraddittorio che l’imitazione possa facilitare l’identificazione o, al contrario, che sia la seconda a far crescere la prima (Bandura, 1969).
Tentativi di spiegazione dei processi di identificazione sono stati formulati sia dai teorici dell’apprendimento sociale, sia da vari esponenti della psicoanalisi, senza una vera integrazione dei due orientamenti.
Empatia e identificazione durante la visione di scene filmiche
Per Bandura (1969), l’evento identificatorio è definito dalla similarità tra il comportamento della persona (nei diversi aspetti motori, cognitivi e fisiologici) e quello del modello, visto precedentemente in una situazione analoga. In questa prospettiva il processo di identificazione è in continuo mutamento con l’acquisizione di nuovi schemi di comportamento sulla base di esperienze dirette o vicarie per la presenza di modelli, anche mediati da variabili socio-culturali.
L’assunzione del ruolo di un personaggio è facilitata se questo viene presentato come un modello sociale positivo, vincente e affascinante. La stima che si prova per tale modello fa da tramite all’acquisizione dei suoi valori e i suoi atti di violenza appaiono utili e giustificabili (Gili, 2006).
Quindi, riguardo a quanto accade durante la visione di scene filmiche, lo spettatore vive un’esperienza vicaria che lo conduce a mettere in atto un comportamento simile al modello (evento identificatorio), qualora si presenti una situazione analoga.
Al contrario con un approccio psicoanalitico, l’identificazione è vista come un processo che si è costituito solidamente nei primi anni di vita e che non si modifica facilmente. L’identificazione, ad esempio, è collocata da Schafer (1968, 1972) all’interno del costrutto di internalizzazione caratterizzato da tre processi:
1. incorporazione, resa possibile da una fantasia simile al mangiare, di un oggetto o di una relazione con esso;
2. introiezione, in cui l’oggetto (o la relazione con l’oggetto) viene ritenuto e col quale è possibile un dialogo;
3. identificazione, vista come modificazione del sé per assomigliare ad un’altra persona e in cui l’oggetto non è più “altro”.
In questo contesto teorico, cercando di spiegare quanto accade durante la visione di scene filmiche, e non essendo ipotizzabile una modificazione dell’identificazione nel senso appena indicato, perché stabile e strutturata, è forse possibile immaginare una momentanea nuova identificazione basata sull’esperienza vissuta, in modo vicario e completo, di quanto accade ad uno dei protagonisti. In questo modo lo spettatore finisce per essere il destinatario di feedback di altri personaggi della scena a cui sta assistendo.
Infine, l’identificazione facilita una sorta di fusione con il protagonista che inibisce la capacità di riconoscere l’alterità dell’altro, capacità che è invece considerata tipica dell’empatia.
Emozioni e Aggressività: quale legame?