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L‟antologia di Bessarion politicus

5. Encyclica ad Graecos

Purtroppo, l‟Encyclica ad Graecos è il brano bessarioneo forse più palesemente trascurato. Di questo infatti manca, a tutt‟oggi, una edizione critica curata e filologicamente rigorosa: per essa viene ancora unicamente utilizzata la traduzione latina, su testo greco edito a fronte, del Migne, in PG CLXI coll. 447- 490 – note le imprecisioni che la Patrologia complessivamente riserva ai testi, va fatto notare come la traduzione del testo latino sia proprio quella operata da Bessarione, come dimostra la qualità del brano. Alla mancanza di note critico-testuali, simmetrica è la mancanza di uno studio dedicato e approfondito, che tenga conto della composita natura del testo. È sufficiente rivedere la consolidata tradizione manoscritta del testo, in numerosissimi codici di epoche diverse, per comprendere come il brano abbia potuto godere di una certa notorietà, ora completamente perduta – e di cui GILL 1976, unico articolo che prende il testo a riferimento, non cita nemmeno –, ma subito recuperabile presso la lista di testimoni presente online nell‟inventario di manoscritti greci Pinakes:

http://pinakes.irht.cnrs.fr/rech_oeuvre/resultOeuvre/filter_auteur/3354/filter_oeuvre/1909.

Perché ancora così tante resistenze di fronte l‟ormai inevitabile succedersi degli eventi, verso la partenza della crociata che Pio II vuole oltre ogni ragionevole dubbio? Bessarione sembra chiederselo in effetti con insistenza. Quando egli, prima nel ruolo di membro di spicco della Curia, quindi come legato presso la Serenissima, predispone contatti con tutte le corti italiane per contrattare la partecipazione alla causa orientale, si trova osteggiato dall‟incomprensibile ritrosia dimostrata dai principi. Non può davvero essere solo un freddo calcolo di ragioneria a impedire che si contribuisca, pur con proprie ricchezze, all‟allestimento di una flotta e un esercito in grado di sbaragliare il nemico turco. Davvero si pensa che, una volta capitolata la Grecia, la volontà bellica del Sultano sarà placata?

La miopia di questa visione, per Bessarione, è inaccettabile: è evidente che, a tambur battente, il passaggio verso ovest delle truppe, in un cammino lento ma progressivo, minaccia direttamente i possedimenti italiani. La politica turca è tutta concentrata sull‟acquisizione costante di vasti possedimenti, sui quali imporre un sistema di governo fedele alla Porta ottomana, e da essa eterodiretto. L‟impegno di molti uomini in battaglia, inoltre, permette una sorta di pacificazione interna nella fatica: non vi sono occasioni per manifestare malcontento o tramare complotti nella cogenza di battaglie continue. Quanto ciò appare palese nelle elucubrazioni politiche di Bessarione, tanto sembra risultare difficile e poco convincente nelle menti dei

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sovrani tutti: anche da coloro che sono stati indicati come regnanti costituenti il partito filobizantino della penisola – ovvero, coloro che attraverso una elaborata strategia di apparentamento matrimoniale hanno stretto alleanze politiche di una qualche rilevanza con l‟aristocrazia imperiale bizantina. Insomma, l‟Italia, pur nel legame intimo che intrattiene con la Grecia e il Mediterraneo orientale, non è ancora pronta ad affrontare il terribile Sultano.

Non sembra inadeguato chiedersi se questa scarsa volontà bellica non mascheri una più evanescente intolleranza culturale verso gli alleati nemici, cristiani di liturgie diverse, avversari come solo i Concili hanno saputo dar prova. A questi dubbi ideali il cardinale intende porre immediato rimedio e, all‟uopo, l‟occasione gli si presenta di lì a poco. Tra le molte onorificenze di cui il cardinale è insignito, il 15 maggio 1463, poco dopo la morte dell‟amico di sventura Isidoro di Kiev, egli è eletto patriarca di Costantinopoli. Per la funzione celebrativa, egli propone al pubblico di chierici presenti un‟orazione che per alcuni versi si discosta dalla teatralità del discorso tenuto per S. Andrea, ma che allude anch‟esso alla necessaria unità dei cristiani, laddove una parte di essi è nel presente ostacolata nella professione della

vera fede, sia essa ortodossa o romana.

Diversamente da altri testi, per l‟Encyclica non è necessario dettagliarne il contenuto: esso è già noto. Sotto questo titolo trova spazio una rivisitazione degli argomenti trinitari e problematici del Filioque, risolti a loro modo nel Concilio di Firenze del 1439. A ben venticinque anni dalla sua prima lettura pubblica, sebbene la ricerca e lo studio delle fonti patristiche non si sia mai davvero esaurito per Bessarione, l‟impianto che fin da subito sostiene l‟intero testo è speculare a quello conciliare. Le fonti ricordate sono le medesime, così come ricorrono gli stessi inquietanti pronostici di fronte una mancata alleanza greca con i latini, i soli in grado di soccorrere l‟oriente cristiano – cosa che fa riflettere sulle abilità predittive di Bessarione, o, piuttosto, sulla sua incapacità nel convincere gli altri ad intervenire. Evidentemente, la riproposizione in sede pubblica di quest‟opera – per certi versi sempre controversa – appare azzardato: l‟orazione che lo ha reso celebre, e inviso ad una crescente parte del clero bizantino, quale scopo può avere nel contesto presente? Quale ragione spinge Bessarione a ritornare su argomenti di tale complessità?

Sebbene impostato in maniera simile all‟Oratio dogmatica, il brano dell‟Encyclica non può che rispondere ad esigenze e motivazioni profondamente diverse. Perché infatti non ipotizzare che questo discorso sia quella garanzia – fatta ora in qualità di neo-eletto Patriarca di Costantinopoli, somma autorità in materia di fede e guida della Chiesa orientale – di fratellanza greco-latina, valida risposta alla

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strisciante disaffezione principesca per i disastri egei? Bessarione intende programmaticamente ricordare che proprio con il suo lavoro teologico egli ha voluto in passato conciliare due fedi, due popoli, ostili; che con la sua opera diplomatica egli intende salvare la Grecia dai turchi, quanto desidera impedire uno sconfinamento di questi in Italia; e ancora, che non vi sono davvero motivi sufficienti per risvegliare sopite intolleranze reciproche. Ora Bessarione coordina la politica religiosa orientale promettendo fedeltà a Roma, come solo la sua storia personale può adeguatamente testimoniare. Suona dunque come un contratto di intenti comuni stipulato in pubblico, quello che Bessarione riporta nell‟Encyclica ad

Graecos, e che in realtà si rivolge in particolare ad Latinos.