• Non ci sono risultati.

Una porzione di robot che non è stata ancora descritta è quella relativa all’estremità del braccio più lontana dalla base, ossia il suo polso. Si presenta brevemente ciò che è stato sviluppato in [1], così da poter fornire una descrizione completa dell’intera struttura.

2.5.1. Gradi di libertà

Con l’obiettivo di raggiungere i 6 gradi di libertà tipici della tridimensionalità, si intende avere un end effector capace di orientare il payload, dargli un assetto ben preciso e muoverlo secondo ciò che l’algoritmo di controllo impone. Ciò sarà possibile con un numero di giunti tale per cui il totale degli snodi di braccio e polso arrivi al numero prefissato di 6.

Dato che finora sono stati posti 3 attuatori per muovere altrettanti link, quelli più lunghi e massivi, i giunti da avere sull’end effector saranno ancora 3, collegati tra loro da due piccoli segmenti.

2.5.2. Requisiti dell’end effector

Alcuni requisiti aggiuntivi sono la leggerezza di questo assieme, ancora una volta, e la capacità di muoversi efficacemente, cioè senza collisioni tra le varie parti nonostante la compattezza di questa porzione. Un altro aspetto è relativo alle dimensioni: si è detto che il polso sarà piuttosto denso, infatti le sue dimensioni devono essere contenute in quanto esso è pensato esclusivamente per l’orientazione del payload, mentre il movimento vero e proprio è figlio della cinematica relativa al braccio; è inutile quindi avere grandi link e giunti, mentre è proprio dannosa la presenza di masse elevate che creano flessioni ulteriori.

Una particolarità importante va aggiunta alla presentazione descritta, perché rappresenta il presupposto principale di questo end effector. Dovendo scegliere la tipologia di link da usare nel polso per collegare tra loro i tre attuatori, si sono cercate di ottenere le massime prestazioni in termini di variabile di giunto, cioè del valore dell’angolo che le coppie rotoidali riescono a fornire, e si voleva scongiurare, nel contempo, la presenza di configurazioni singolari. È semplice capire che avere ampi angoli di manovra avvicina la simulazione alla caso concreto, ma risulta piuttosto complicato nella sua realizzazione: per il passaggio di corrente e segnale potrebbero essere necessario l’utilizzo di contatti striscianti, che spesso sono forniti di spazzole che si consumano dopo una certa vita e quindi vanno sostituite periodicamente; ciò sarebbe doveroso in quanto la presenza dei cavi elettrici in prossimità di un corpo rotante è problematica perché quest’ultimo tende a trascinare tutti i cablaggi con sé, tirandoli e torcendoli.

31

Riguardo le configurazioni singolari, invece, queste sono dannose per i giunti: non si ottiene alcun movimento nonostante i motori siano accesi e funzionanti. In particolare, per qualsiasi velocità di rotazione che i giunti riusciranno a fornire non si avrà alcuna risposta; inoltre, in prossimità di tali posizioni si avranno movimenti molto lenti a fronte di sforzi intensi da parte degli attuatori. Una configurazione tipica è quando un giunto ha il link precedente e successivo perfettamente giacenti sulla stessa retta.

2.5.3. La teoria delle configurazioni singolari

Aprendo una breve, quanto necessaria, parentesi matematica per addentrarsi in questo argomento, si può partire da un’equazione tipica della robotica e relativa ai giunti:

𝑣 = 𝐽 ∙ 𝑞̇

Questa lega la velocità espressa nello spazio cartesiano a quella dello spazio dei

giunti, che è semplicemente la derivata prima delle variabili di giunto, ossia rappresenta

le velocità di rotazione degli attuatori (nel caso delle coppie rotoidali, come nel braccio in esame).

Tale legame è ottenuto tramite una matrice di Jacobi 𝐽, detta comunemente

Jacobiano. I suoi elementi sono semplicemente le derivate prime parziali delle variabili

dei giunti 𝑞:

𝐽 = 𝐽(𝑞)

Banalmente, per conoscere il vettore 𝑞̇ basterebbe girare l’espressione [2.c] ottenendo la [2.d]:

𝑞̇ = 𝐽−1∙ 𝑣

Il problema non è così semplice e non termina assolutamente qui, in quanto la matrice jacobiana deve essere invertibile per poter passare dalla [2.c] alla [2.d]. Nel caso in cui questa non lo sia, si ottengono proprio i casi relativi alle singolarità imponendo il determinante nullo:

det 𝐽 = 0

[2.c]

32

Tale tecnica viene usata per cercare se e quando avvengono queste configurazioni particolari e capire quali sono i punti deboli della catena cinematica in esame. Ciò è sfruttato in modo tale da progettare il meccanismo al meglio, evitando completamente la presenza delle singolarità o, nel malaugurato caso in cui ci si trovi comunque impossibilitati a cambiare la tipologia del robot, cercando di comandare il movimento affinché non si incorra nelle condizioni appena descritte; è bene tenere presente che è dannoso per i motori anche solo l’avvicinarsi a tali singolarità, in quando sottostarebbero a sforzi molto intensi.

2.5.4. Il design del polso sferico

Conseguentemente, l’end effector di questo braccio è stato strutturato in modo da evitare la presenza di singolarità, come si poteva facilmente dedurre da quanto espresso finora. L’unico problema sarà il fatto che i motori hanno dei cablaggi elettrici e quindi non potranno avere rotazioni con angoli infiniti; questo risulta una preoccupazione di poco conto in quanto si limiteranno tali movimenti a livello di controllo, essendo ben consci di questo limite fisico.

Per ottenere queste caratteristiche è stata sfruttata uno studio di D. L. Pieper, presentata nella sua Tesi di Dottorato di Ricerca [10] del 1968, presso la Stanford University. In questo scritto viene proposto un metodo, chiamato 321 kinematic

structure, in cui è stato dimostrato come la cinematica inversa di un manipolatore a 6

gradi di libertà può essere risolta in forma chiusa se all’interno del robot ci sono 3 giunti consecutivi, formati da coppie rotoidali, i cui assi sono o intersecanti in un unico punto oppure paralleli tra loro.

Nel caso in esame, i primi 3 gradi di libertà sono relativi al braccio robotico, che serve a posizione il polso nello spazio, mentre i secondi 3 sono destinati all’orientazione dell’end effector stesso, che darà l’assetto del payload; riuscire a porre questi ultimi nelle condizioni tali da soddisfare quanto presentato da Pieper rappresenterebbe un’ottima soluzione.

E infatti questa è la strada percorsa: sono stati progettati due link di forma curvilinea tali da consentire di posizionare i tre giunti dell’end effector con gli assi di rotazione intersecanti in un unico punto dello spazio, non appartente fisicamente al robot; per ogni movimento effettuato ed in ogni istante di tempo, si avranno diversi punti di intersezione tra gli assi del polso sferico, che saranno all’interno del volume in cui opera il robot.

33

Siccome questa porzione di braccio è sicuramente valida per quanto visto finora, si manterrà fedelmente la geometria studiata e l’unica scelta che si andrà ad operare riguardo al polso sarà quella relativa al dimensionamento dei giunti, ossia ai motori e ai riduttori che servono a muovere questi link e ad orientare il payload, secondo ciò che sarà calcolato dagli algoritmi.

Figura 9: rendering del primo progetto dell'end effector, in cui si nota che gli assi di rotazione dei tre giunti (rappresentati dal solo motore elettrico) sono intersecanti in un unico punto dello spazio.

Immagine selezionata dalla Tesi [1].

Figura 10: altri rendering di progetto per l'end effector, in due diverse posizioni. In particolare si è studiato il design del giunto.

34

Alcune condizioni aggiuntive per riuscire a mantenere questa situazione favorevole sono relative alle dimensioni dei blocchi costituiti da motore e riduttore, che dovranno essere sicuramente ridotte, oltre al solito fatto che è meglio avere una struttura che sia la più leggera possibile.

Documenti correlati