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L’energia e l’ambiente

CAPITOLO I – L’ENERGIA

2.2 L’energia e l’ambiente

Nel XXI secolo la questione energetica è di importanza cruciale per l’ambiente, poiché come si è potuto analizzare i consumi energetici sono destinati a crescere di oltre il 65% e la maggior parte dell’energia prodotta e consumata continua ad esser ricavata da fonti fossili, con un conseguente forte impatto climatico. L’eccesso dei consumi arreca alle diverse aree e paesi del mondo un danno non indifferente in termini di aumento della temperatura superficiale del pianeta, assai più avvertita nei paesi poveri tropicali, con effetti di progressivo inaridimento e desertificazione dei suoli. Questi sono solo alcuni degli squilibri riconducibili alla questione energetica e causa delle crescenti tensioni che travagliano il pianeta dall’inizio del nuovo secolo, che solitamente si traducono in conflitti armati, per il controllo delle risorse. La manomissione sistematica dell’ambiente, che si continua a praticare usando spregiudicatamente la leva dell’energia, minaccia di incidere sul futuro dell’ambiente e delle generazioni future. Alla luce di ciò è bene analizzare la relazione tra l’ambiente e l’energia.

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I diretti responsabili del global warning sono i gas serra naturali25 e i gas derivati dall’azione umana, quali i clorofluorocarburi (CFC), il cui uso ha portato negli ultimi due secolo ad una concentrazione di 380 ppm26, un valore mai registrato nella storia. Gli ultimi dati del Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC27) registrano un incremento del 10% della concentrazione di anidride carbonica o biossido di carbonio. E’ intuibile che l’unione tra combustibili fossili e la deforestazione abbia squilibrato il naturale effetto serra, e se ciò persiste si potrebbe verificare un innalzamento preoccupante della temperature pari a 6,4°C. Tale fenomeno causerebbe il surriscaldamento degli oceani, lo scioglimento dei ghiacciai, l’aumento di intensità e di violenza delle manifestazioni climatiche (uragani, tifoni ecc..), e il un progressivo inaridimento delle zone coltivabili.

FIGURA 13 - QUOTE DI EMISSIONI DAL 1970-2010

Fonte : Key World Energy Statistics 2012 – IEA

Dal grafico è evidente come attualmente siano i paesi OECD ha detenere la quota maggiore di emissioni, ma si stima che nel futuro saranno le economie emergenti, nello specifico Cina e India, ad assumere tale ruolo. Sorge la necessità quindi di un accordo

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Gas serra naturali : vapore acqueo, biossido di carbonio o anidride carbonica, ossido di diazoto, metano e ozono.

26 ppm : parti per un milione. Unità di misura utilizzata per calcolare la quantità di concentrazione di emissioni

27 IPCC acronimo di “Intergovernmental Panel on Climate Change” è il foro scientifico fondato nel 1988 dalle Nazioni Unite, l’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) e il Programma della Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), con il fine di studiare il riscaldamento globale.

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globale tra tutte le nazioni e una divisione delle responsabilità, per far sì che avvenga un miglioramento climatico. La crescita futura della domanda di energia primaria rappresenta in tale contesto un punto fondamentale, e tale è la ragione che a spinta negli ultimi anni ad implementare una strategia globale, volta al miglioramento climatico ed all’efficienza energetica.

Il punto di partenza per un’efficiente strategia a livello globale è promuovere il concetto base che per far fronte ai cambiamenti climatici bisogna conciliare lo sviluppo umano e il rispetto per l’ambiente. Nella seconda metà del ‘900 iniziano a delinearsi i primi dibattiti sul problema, dando vita al World Climate Program (WCP)28, il cui compito è quello di facilitare la cooperazione a livello mondiale nella creazioni di reti di stazioni per la realizzazione di osservazioni meteorologiche, contribuendo in tal modo alla sicurezza del pianeta. Solo nel 1972 a Stoccolma si tiene però la prima conferenza mondiale sull’ambiente, a cui presenziarono 113 Paesi che iniziarono ad interrogarsi sull’azione dell’uomo a danno dell’ambiente e sulla necessità di preservare le fonti fossili. Dopo nemmeno un ventennio, durante la Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo (WCED) del 1987, venne introdotto il concetto di sviluppo sostenibile, per merito del rapporto “Our common future29”, redatto dalla presidente Brundtland, che definì lo sviluppo sostenibile “uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”. Il primo vero passo verso questo sviluppo sostenibile avvenne a Rio di Janiero nel 1992, durante la Conferenza sull’Ambiente e sullo Sviluppo delle Nazioni Unite30 (conosciuta come il primo Earth Summit), nella quale si discusse sulla necessità di promuovere le energia rinnovabili come sostituto ai combustibili fossili, diretti responsabili dei cambiamenti climatici.

Il trattato internazionale di maggior rilievo in materia ambientale si ottenne col protocollo di Kyoto, sottoscritto nel 1997 da oltre 167 paesi, in occasione della Conferenza COP 331 della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Entrato in vigore nel tardo 16 febbraio 2005, il protocollo prevedeva di ridurre del 5,2% le emissioni da parte dei paesi industrializzati, rispetto a quelle registrate nel 1990. Il

28 https://www.wmo.int/pages/index_en.html

29 http://conspect.nl/pdf/Our_Common_Future-Brundtland_Report_1987.pdf 30 http://www.un.org/geninfo/bp/enviro.html

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protocollo mette a disposizione dei paesi che lo ratificano, attualmente 174, diversi sistemi o meccanismi per ridurre le emissioni. Lo strumento maggiormente utilizzato è quello del Clean Development Mechanism (CDM), che consente di creare progetti volti alle limitazioni di emissioni nei paesi in via di sviluppo, che vengono premiati con dei crediti di emissioni CER, qualificabili come dei crediti incentivanti che possono esser venduti sul mercato o accumulati32.

Tra le tappe internazionali bisogna ricordare il Summit Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile, tenutosi nel 2002 a Johannesburg. Qui si sono dovuti constatare l’abbandono dal protocollo di Kyoto degli Stati Uniti e le reticenze della Russia (superate nell’ottobre del 2004), sebbene un anno prima, il terzo rapporto dell’IPCC avesse documentato un accentuazione del riscaldamento terrestre. Il citato Summit di Johannesburg si concluse con un accordo generale, che di fatto non costituiva altro che una semplice dichiarazione di intenti, senza obiettivi vincolanti in termini di tempo e di quantità e con l’indicazione abbastanza netta a prediligere accordi bilaterali e preferenziali, in luogo dei grandi impegni multilaterali tentati in passato. In buona sostanza il terzo vertice mostra l’indecisione della comunità internazionale sulle misure da adottare per fronteggiare l’emergenza ambientale. Tale mancanza viene colmata dalla Coalizione sulle Energie Rinnovabili (JREC), tenutasi sempre a Johannesburg, grazie alla quale venne formulato un Piano di Implementazione 33

(JPOI) da parte di alcuni Paesi, soprattutto dell’Europa, che vedevano la necessità di aumentare la percentuale delle rinnovabili nella produzione di energia primaria.

In tali politiche volte allo sviluppo sostenibile e alla riduzione delle emission, l’Unione Europea si è distinta da subito come una delle forze trainanti. Nel 2000 l’EU-15 approva il primo Programma Europeo sul Cambiamento del Clima (ECCP), con l’obiettivo di implementare i meccanismi del protocollo di Kyoto. In pochi anni l’Europa dibatte lungamente sul tema dell’energia e in occasione del secondo ECCP, tenutosi a Londra nel 2005, inizia a discutere concretamente su un piano d’azione congiunto e di politiche energetiche, che possano esser condivisi ed implementati negli stati membri. I vari principi base vennero riuniti nel Libro Verde nel 2006, nel quale venne indicata la strategia europea per un’energia sostenibile, competitiva e sicura. Il principio base del Libro era

32 Un credito CER = una tonnellata di CO2

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l’acquisizione da parte di tutti i paesi membri di un mix energetico che consentisse un bilancio energetico sostenibile ed efficiente. Le indicazioni fin qui promosse erano però troppo teoriche per portare l’ormai EU-25 ad intraprendere una politica energetica condivisa. Alla luce di tale problematica alcuni punti concreti vennero elaborati dalla Commissione Europea nel 2007, la quale propose un piano d’azione concreto volto a far diventare l’Europa un’economia ad alta efficienza energetica e a basse emissioni. Un anno dopo venne approvata la direttiva del Parlamento e del Consiglio Europeo 2009/28/CE34, che porto in scena il pacchetto clima-energia, nel linguaggio comune il pacchetto 20/20/20. Il piano rappresenta l’evoluzione degli accordi formati con il trattato di Kyoto dagli Stati europei, e rappresenta un punto di riferimento per la normativa ambientale, che potrebbe far diventare l’Unione Europea la leadership mondiale nelle green tecnologies. Il fine ultimo dell’Unione Europea sarebbe quello di creare un mercato per l’energia elettrica comune, per estingue ad esempio quella volatilità a cui sono esposti i prezzi dei combustibili fossili, a causa delle tensioni politiche locali presenti nei paesi esportatori del Medio Oriente. Tale proposito resta per ora un’utopia a causa della solita reticenza politica degli Stati membri nel sacrificare la loro sovranità e privilegi nazionali.

L’obiettivo base da cui parte il piano è quello di mantenere la temperatura terrestre al di sotto dei 2° entro il 2050, poiché la riduzione di emissioni di C02 viene vista come lo strumento trainante per contrastare il riscaldamento globale.

Nello specifico il suddetto pacchetto clima-energia prevede di raggiungere entro il 2020 i seguenti tre target:

• riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra del 20% di tutte le fonti energetiche rispetto ai livelli del 1990, in linea con gli obiettivi di Kyoto;

• riduzione dei consumi energetici complessivi per una quota pari al 20% attraverso l’efficienza energetica;

• utilizzo delle fonti rinnovabili pari ad una quota del 20%, premendo sull’utilizzo di biocarburanti o fonti alternative nel settore dei trasporti per una quota pari al 10%.

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Si nota come l'uso delle fonti di energia rinnovabili sia visto come un elemento chiave nella politica energetica europea per ridurre la dipendenza dai combustibili importati e le emissioni di CO2.

In base alle analisi storiche ad ogni Stato membro sono state attribuite differenti responsabilità e differenti target da raggiungere entro il 2020. Tale aspetto esprime il carattere vincolante della Direttiva, che nei precedenti trattati internazionali era mancato. Ogni Paese poi è chiamato a redigere un Piano d’azione per il raggiungimento degli obiettivi affidategli, viene dunque lasciata libertà nella scelta delle strategia da implementare. L’Italia ad esempio si è dedicata maggiormente al miglioramento dell’efficienza energetica,ma nel terzo capitolo avremo modo di affrontare nel dettaglio le politiche adottate a livello nazionale dall’Italia.

L’efficienza energetica è tra i tre target quello che incide maggiormente sugli scenari energetici futuri, poiché viene visto come lo strumento più efficace per contrastare i cambiamenti climatici e le emissioni di CO2. Essa comporta meno dipendenza da importazioni di fonti fossili, maggiore sicurezza economica e minori consumi.

In campo energetico l’efficienza viene definita come il rapporto tra la quantità di energia consumata e l’energia impiegata nel sistema, ossia la capacità di utilizzare l’energia nei migliore dei modi. Con questa espressione s’intende dunque un insieme di tecniche, politiche e procedimenti, diretti a utilizzare con il massimo di efficienza le fonti di energia disponibili.

Detiene dunque un ruolo fondamentale nella politica comunitaria e a tal proposito l’8 marzo del 2011 è stato emanata la strategia ”Eu Energy Efficiency Strategy”, con la quale si richiede ai singoli Paesi una maggiore attenzione all’efficienza nel settore pubblico, di fornire alle PMI maggiori informazioni, di elaborare incentivi adeguati e di obbligare le grandi società ad audit energetici. Tale obiettivo si può raggiungere sia applicando strategie a valle sia a monte del mercato energetico. A monte per quanto riguarda l’efficienza delle fonti energetiche e a valle per quanto concerne i consumi finali. In entrambi gli aspetti è possibile intervenire in

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