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di Enrico Castelnuovo

MARTIN WARNKE, Artisti di corte. Preistoria dell'artista moderno, Istitu-to dell'Enciclopedia Italiana, Roma 1991, ed. orig. 1985, trad. dal tede-sco di Renato Pedio, pp. 425, s.i.p. "Artisti repubblicani, per molto tempo le arti prostituite hanno segui-to il dispotismo chiamandosi arti li-bere benché su tutti i loro prodotti fosse impresso il sigillo della schiavi-tù. In regime repubblicano esse ri-conquisteranno la propria libertà ed espieranno la loro precedente bassez-za. Prima corrompevano l'opinione pubblica; oggi le sono di aiuto nella sua guarigione spirituale e morale; tutta la loro forza, più di quanto esse abbiano mai concesso al dispotismo, apparterrà da oggi alla libertà". Que-sta dichiarazione radicale pronuncia-ta nell'infuocato 1793 liquidava en-faticamente cinque secoli di rapporti complessi tormentati e contradditto-ri tra artisti e corti. Un libro impor-tante di Martin Warnke ripercorre ora la vicenda nei suoi vari aspetti.

Pubblicato a Colonia nel 1985 e apparso in Italia sul finire dell'anno scorso non mi sembra che se ne sia qui molto discusso. Eppure il suo au-tore, cui tra l'altro si deve un notevo-le libro sulla sociologia dell'architet-tura medievale attraverso le fonti,

Bau und Uberbau, Frankfurt 1979 che uscirà da Einaudi, è oggi una le figure di punta tra gli storici del-l'arte.

Contro lo stereotipo ottocentesco, frutto di una sorta di proiezione re-trospettiva della borghesia trionfan-te, che vorrebbe scorgere la nascita dell'artista moderno nella sua libera-zione dai legami troppo vincolanti e soffocanti della committenza corte-se, nella nascita di un libero mercato e nel sorgere di forme di autocoscien-za della professione nel seno delle li-bertà cittadine, il libro proclama fin dal titolo una tesi del tutto diversa: che l'apprezzamento dell'artista, la sua maggiore libertà, il culto dell'o-pera d'arte, si siano sviluppati al-l'ombra delle corti in cui gli artisti trovarono cariche e dignità, una ga-ranzia relativa (ma continuata) di si-curezza economica, un'alta conside-razione della loro opera e del loro ruolo, un mezzo per sottrarsi ai tanti oneri dei regolamenti cittadini, per affrancarsi dalle pastoie corporative, una possibilità di essere nobilitati e di liberarsi dall'annosa maledizione della manualità.

I rapporti tra l'arte e le corti sono stati da molti anni oggetto di esposi-zioni o di studi che hanno di volta in volta illustrato le forme della produ-zione artistica e della committenza ma che se hanno esaminato gli aspet-ti saspet-tilisaspet-tici delle opere prodotte in questi ambiti, i loro significati icono-logici e le tipologie delle commissio-ni, si sono tenute per lo più all'inter-no di un quadro esclusivamente arti-stico e poco hanno illuminato i rap-porti tra gli artisti e particolari strutture sociali, poco hanno chiarito i modi e le forme dell'inserimento degli artisti nelle corti, i ruoli che vi svolsero, le posizioni che vi occupa-rono.

Nel suo approccio Warnke si sfor-za invece di non rimanere soltanto su un terreno storico-artistico e di apri-re il proprio discorso a investigazioni di tipo sociologico pur evitando con cura i rischi e gli schematismi di una storia sociale dell'arte basata su dia-lettiche semplificatrici bipolari (del genere arte e società, committente e artista). Prende così in considerazio-ne molti fattori e variabili considerazio-nello stu-dio di quelle istituzioni mediatrici "che instaurano bisogni o interessi della società nei riguardi dell'arte", le corti, appunto, entro le quali

per-sonaggi dai ruoli differenti e talora contraddittori interagiscono, si op-pongono e si influenzano reciproca-mente e dove prendono forma atte-se, norme, strategie di comporta-mento e nuove teorie sull'arte. I dif-ferenti aspetti del rapporto tra corti ed artisti tra Tre e Settecento, dalla Francia all'Italia, dalla Germania al-l'Austria, alla Boemia, dall'Inghilter-ra ai Paesi Bassi, alla Spagna (si va dalla Parigi dei primi Valois alla Di-gione dei duchi di Borgogna, alla

Mi-lano viscontea e sforzesca, a Ferrara, Urbino, Mantova, all'Innsbruck di Massimiliano, alla Madrid di Filippo IV, alla Versailles di Luigi XIV) sono esaminati partitamente con gran quantità di esempi e ricchezza di do-cumentazione attinta ai campi più di-versi: documenti, testimonianze, opere teoriche e via dicendo.

• L'opera si divide in tre parti: una prima prende in esame la situazione al suo punto di partenza studiando la condizione dell'artista tra Tre e Quattrocento, le tappe dell'inter-scambio tra città e corti, nonché le forme e gli agenti (governi cittadini, mercanti, umanisti, artisti) delle me-diazioni tra queste due realtà; una se-conda analizza la posizione, i ruoli e

le mansioni, i compiti richiesti (dall'essere a disposizione del signore ad accompagnarlo nei suoi viaggi, a farsi egli stesso ambasciatore, fino a quello importante e sommamente ri-cercato, di eseguire ritratti, dagli in-carichi di direttore artistico a quelli che riguardano l'edilizia pubblica e i monumenti commemorativi), e le ca-riche ricoperte dagli artisti entro le corti, il loro inserimento nella "fami-glia" del signore e la gerarchia di questa, le promozioni, le forme della

retribuzione e dei compensi, il confe-rimento di titoli nobiliari e le conse-guenze che ne derivano sullo stato sociale del beneficiario, l'emancipa-zione dell'opera e la nascita del con-cetto dell'opera d'arte senza prezzo, concetto che avrà un'importanza molto grande nel fare degli artisti dei personaggi non misurabili con i metri ordinari. L'aria della corte rende li-beri, virtù che un tempo si attribuiva all'aria della città ("Stadtluft macht frei")? Non del tutto; una terza bre-vissima parte, traccia infatti "im Zorn", con rabbia, un bilancio retro-spettivo in cui il rovesciamento delle posizioni abituali non prende certo toni trionfalistici. Per secoli, nelle corti come nelle città il destino

del-l'artista non fu né libero né felice co-me ricorda l'amara conclusione: "Che le arti trovassero attraverso le corti una vocazione più alta, costitui-sce un capitolo più che della storia della loro gloria, di quella della loro sofferenza".

Come già in altri suoi libri e come aveva fatto Martin Wackernagel nel-la sua opera sul mondo degli artisti fiorentini nel Rinascimento (Der

Le-bensraum des Kùnstlers in der florenti-nischen Renaissance, Leipzig 1938,

un testo esemplare per la storia socia-le dell'arte che, da tempo in bozze, non ha purtroppo ancora visto la luce in italiano), Warnke fa seguire ogni punto, ogni argomento, ogni sogget-to abbordati nel tessogget-to, da una copio-sa documentazione in corpo minore che rinvia in modo ragionato alle fonti e ne riporta vari passi. Se ciò non facilita sempre la lettura la rende piena di spunti, di suggestioni e per-mette di presentare con chiarezza le fonti e la ricca strumentazione del-l'autore.

Qualche appunto sulla veste italia-na del libro. E un peccato che vi manchino l'indice dei nomi degli ar-tisti e quello dei termini che, data la ricchezza dei materiali, offrono

nel-l'originale strumenti indispensabili di consultazione. Peccato anche che siano stati omessi i titoli correnti del-le pagine che nell'edizione tedesca sono punti di riferimento utilissimi e costituiscono una sorta di indice de-gli argomenti. In questo modo la con-sultazione del volume italiano è me-no agevole di quella dell'originale. La scrittura di Warnke sempre atten-ta ad eviatten-tare semplificazioni e sche-maticità restituendo la complessità e la problematicità delle situazioni non è certo delle più facili. La traduzione riesce nel complesso a renderla. Una maggiore attenzione ai nomi propri e a certi termini avrebbe però giovato; per fare qualche esempio, a p. 18 quello di Edoardo il Confessore a Westminster non è un reliquiario ma una tomba monumentale, a p. 42 non si legga "aMahren nel 1381" ma "In Moravia nel 1381", a p. 88 non "chiostro milanese" ma "convento milanese", a p. 189 il "margravio di Monserrato" altri non è che il mar-chese di Monferrato, a p. 226 non si tratta di un "pittore Runklstain" ma delle pitture del castello di Runkel-stein presso Bolzano. Anche qualche sfallo di stampa meriterebbe un'erra-ta corrige: a p. 220 si legga "secondo la formulazione di Filarete" e non "secondo la formazione di Filarete", peggio a p. 339 in cui si dovrà leggere "fidanzamento" e non "finanzia-mento" di una principessa.

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