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1. Intorno alla figura di Annibale della Genga Sermattei, papa Leone XII, si è soffermata la ricerca storica sul papato da più prospet-tive. Vi è stata la ricerca coltivata, segnatamente nel corso del XIX secolo, in ambienti tipicamente confessionali e con spiccati intenti apologetici1. Così come, per converso, il pontificato leonino, per certe sue caratteristiche che vedremo, ha sollecitato anche il filone storiografico ottocentesco di stampo anticlericale2. Meno risalenti nel tempo, non vanno dimenticati alcuni scavi importanti di storia marchigiana3. Ma soprattutto, sono da segnalare, fra gli studi più maturi dal punto di vista storico-critico, quelli che hanno cercato di collocare il papato di Leone XII nel quadro più complessivo della storia della Chiesa coeva4.
1 Cf. G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, Venezia 1846. Accenti di forte riabilitazione ha, molto meno risalente nel tempo, A. FrAnzen-r. BäuMer, Storia dei papi, 1978, trad. it., Queriniana, Brescia 1987, pp. 290-291.
2 Cf. e. ABout, Storia arcana del pontificato di Leone XII, Milano 1861; L.c. FArini, Lo stato romano dall’anno 1815 al 1850, Firenze 1853.
3 A partire da A. PAGnAni (Storia della Genga e vita di Leone XII, Istituto internazionale di studi piceni, Sassoferrato 1960), si vedano quindi: G. crineLLA (a cura), Il pontifi-cato di Leone XII Annibale della Genga, Atti del Convegno (Genga, 24 marzo 1990), Quattro venti, Urbino 1992; G.M. cLAudi - L. cAtri, Dizionario storico biografico dei marchigiani, il lavoro editoriale, Ancona 1992 (voce Della Genga); t. MArozzi, Leone XII (Annibale Sermattei Della Genga), in F. MAriAno, S. PAPetti (a cura), I papi marchigiani. Classi dirigenti, committenza artistica, mecenatismo urbano da Giovanni XVIII a Pio IX, Fondazione Cassa di Risparmio di Fano, il lavoro editoriale, Ancona 2000, pp. 299-304 e L. MArrA, I sommi pontefici nati nelle Marche e il loro tempo, PiQuadro-Aras Edizioni, Cagli-Fano 2011, pp. 284-322.
4 Fra questi ultimi vanno segnalati almeno i classici quadri generali, come quelli tracciati da J. LeFLon, Storia della Chiesa, XX/2, Restaurazione e crisi liberale (1815-1846), trad. it., SAIE, Torino 1984, pp. 671-740. Ma vi sono poi gli studi sulla storia del
Vi sarà occasione di richiamarne alcuni in seguito. In ogni caso, tra essi va annoverata, considerando gli ultimi contributi apparsi in ordine di tempo e seppur nella sua valenza di sintesi, la voce redatta da Giuseppe Monsagrati per la Enciclopedia dei papi (Treccani)5. Proprio seguendo i dati e le indicazioni emergenti da tale voce, vale la pena ripercorrere sommariamente alcuni tratti biografici del perso-naggio, soffermandosi altresì ad evidenziare certe problematiche storiografiche anche in rapporto a quanto emerge da altri studi recenti.
Un primo aspetto emergente è quello relativo alla formazione e carriera ecclesiastica del Nostro. Nato il 22 agosto 1760 a Monticelli di Genga, nel distretto e diocesi di Fabriano, come sesto di dieci figli dal conte Ilario e dalla contessa Maria Luigia Periberti (dunque da famiglia di antica nobiltà feudale iscritta al patriziato di Spoleto), Anni-bale della Genga Sermattei segue la carriera tipica di una certa nobiltà ecclesiastica, carriera per altro non nuova nella tradizione familiare (da parte sia paterna sia materna)6. Le tappe sono note: l’educazione prima nel Collegio Campana di Osimo e poi nel Collegio Piceno di Roma (che accoglieva gli studenti ecclesiastici marchigiani); il conse-guimento del suddiaconato e quindi del diaconato fra il 1782 e il 1783;
l’ordinazione sacerdotale nel giugno 1783; il successivo ingresso nella pontificia Accademia dei nobili ecclesiastici (riorganizzata da Pio VI per formare i prelati destinati alla carriera curiale); l’accesso in Curia attraverso l’ottenimento di un canonicato nella basilica di San Pietro;
la nomina a prelato domestico e la consacrazione arcivescovile nel
5 Mi riferisco a G. MonSAGrAti, voce Leone XII, in Enciclopedia dei papi, Istituto della enciclopedia italiana, Roma 2000, pp. 529-538.
6 Rimando in generale a A. Menniti iPPoLito, Il governo dei papi nell’età moderna.
Carriere, gerarchie, organizzazione curiale, Viella, Roma 2007 e P. MAGnAreLLi, Alla ricerca di un modello patriziale. Considerazioni generali, casi specifici e straordinari, in La nobiltà della Marca nei secoli XVI-XVIII, Atti del XXXII Convegno di Studi Maceratesi (Tolentino, 5 novembre 1996), Centro studi storici maceratesi, Macerata 1998, pp. 17-68 ; per il caso più specifico del Nostro, cf. P. MAGnAreLLi, Alla ricerca di un modello nobiliare, alle origini di un modello papale, in I papi marchigiani, cit., pp. 14-20 e MArozzi, Leone XII, cit., p. 300.
febbraio 1794 da parte di Pio VI; nel medesimo anno, l’ingresso in diplomazia con la nomina a nunzio a Colonia, nella Germania renana7.
2. Tale nomina segna per il marchigiano l’inizio dell’attività diplo-matica, attività che rappresenta forse uno dei punti più significativi del suo impegno prima dell’elevazione al pontificato e uno degli aspetti meglio messi in luce dalla storiografia. Quest’ultima in effetti, a proposito dell’impegno diplomatico del della Genga, ha puntato su alcuni elementi principali: il non facile rapporto con l’episcopato tedesco molto geloso delle proprie prerogative rispetto a Roma; la difficoltà di salvaguardare l’autonomia del papato, mantenendo un difficile equilibrio fra Austria e Francia. Si trattava di compiti di fronte ai quali - è stato osservato - il Nostro, vissuto prevalentemente nell’ambiente tranquillo della curia romana, non si dimostra forse del tutto all’altezza, tanto da decidere di rinunciare alla Nunziatura alla fine del 1801, nonostante le insistenze di Pio VII (diventato intanto papa nel marzo 1800)8.
Dopo un’altra breve missione poco felice in Baviera nel 1806 (per trattare la stipula di un concordato fra Santa Sede e cattolici tedeschi), durante il periodo dell’occupazione napoleonica di Roma si tiene in disparte nel suo ritiro di Monticelli. Dopo la caduta di Napoleone, torna sulla scena diplomatica come nunzio in Francia. E in questo ruolo dimostra quel profilo che gli studiosi hanno considerato uno dei suoi tratti più evidenti: cioè l’inclinazione verso tesi ultramontane e conservatrici, in contrasto con la linea più riformistica e politica-mente avveduta e realistica del segretario di Stato, cardinale Ercole
Consalvi. Ne darebbero dimostrazione le posizioni che assume quale nunzio straordinario nella Francia di Luigi XVIII appena uscita dalla bufera napoleonica: la richiesta di improbabili restituzioni territoriali allo Stato pontificio (Avignone e altri territori), nonché il ritorno a molte delle posizioni precedenti il concordato del 1801 in materia di rapporti Chiesa-Stato con l’abolizione del Concordato medesimo, la soppressione del Codice Civile e del divorzio, il tentativo di ripri-stinare per la Chiesa cattolica quel medesimo ruolo che essa aveva avuto nella Francia prerivoluzionaria di antico regime9. Ma in questo frangente (attorno al maggio 1814) a prevalere è, da parte di Roma, una linea ispirata a maggior realismo politico e ben interpretata dal segretario di Stato cardinal Consalvi10.
La sconfitta delle proprie posizioni porta il della Genga ancora una volta ad una sorta di ritiro volontario dalla scena nella solitudine della sua Monticelli, non senza lamentare anche problemi di salute, reali o immaginari che fossero11. Ha ben riassunto Monsagrati: “Avrebbe voluto imprimere alla Chiesa una linea aliena da ogni compromesso con i processi di secolarizzazione in atto: dovette rassegnarsi, invece, a veder sorgere sullo Stato pontificio un’epoca nel corso della quale gli aspetti burocratico-amministrativi di stampo riformistico sareb-bero stati decisamente privilegiati rispetto allo sperato e per lui fondamentale ritorno ad una religiosità pervasiva e ad un disegno di riaffermazione (o riconquista) del primato del potere religioso su
9 Cf. A. roVeri, M. FAticA, F. cAntù (a cura), La missione Consalvi e il Congresso di Vienna, I, Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, Roma 1970, p. 27.
10 Sull’opposizione della Genga-Consalvi insistono KeLLy, Vite dei papi, cit., p. 509 e e.
duFFy, La grande storia dei papi, 1997, trad. it. Mondadori 2000, p. 327. Cf. anche B. PLonGeron, Da Napoleone a Metternich: una modernità in stato di blocco, in B.
PLonGeron (a cura) Storia del cristianesimo, X, Le sfide della modernità (1750-1840), 1997, trad. it., Borla-Città Nuova, Roma 2004, pp. 547 ss. e ancora MonSAGrAti, Leone XII, cit., p. 531.
11 Valga ancora il rimando a A. oModeo, Studi sull’età della Restaurazione, Einaudi, Torino 1970, pp. 396-399.
tutti gli altri poteri”12.
È questo il contesto in cui, quasi a mo’ di compensazione, gli giunge da Pio VII la nomina a cardinale e l’assegnazione alla diocesi di Senigallia (marzo 1816). Come vescovo eletto non prende però mai possesso della diocesi, tanto che di lì a poco gli viene designato un successore ed egli assume altri incarichi curiali: prefetto della Sacra congregazione dell’Immunità ecclesiastica e cardinale vicario (maggio 1820). Si tratta di cariche niente affatto secondarie, al punto da far considerare che forse “lungi dall’essere sconfitto, l’intransigentismo zelante avesse ancora molto da dire nella vita della Chiesa”13. Ed in effetti, soprattutto nella qualità di cardinale vicario addetto alla giuri-sdizione criminale su Roma, il Nostro ha modo di manifestare ancora quella concezione rigoristica a cui si è già accennato. Nella disciplina dei costumi e nella punizione con il carcere per i delitti contro la morale (vagabondaggio, concubinato, violazione degli obblighi relativi a precetti e feste) dimostra una inflessibilità che ebbe a meritargli gli strali ironici del Belli (esemplari i sonetti nn. 152 sui provvedimenti di limitazione nell’accesso alle osterie o 482 in morte del papa Leone XII) e che ha fatto parlare gli storici di “utopia punitiva” o di progetto di “risacralizzazione della città”14.
3. Il confine tra ultramontanismo conservatore e «programma di risveglio e austera ripresa della spiritualità» (per usare l’espressione sempre di Monsagrati) è un confine molto labile. Così come un certo dualismo e una certa ambivalenza si evidenziano come note ricorrenti nella figura del papa Leone XII e nelle linee del suo pontificato, al punto che diventa forse sbagliato farne un monolite uniforme, ma
Il della Genga era uscito dal conclave, nel settembre 1823, come possibile soluzione ponte e transitoria, stanti i veti incrociati di Austria e Francia. L’Austria era interessata ad avere un papa di sicura affi-dabilità e allineamento sui principi della Santa Alleanza e disposto a limitare con ciò anche le aspettative di autonomia e indipendenza della Chiesa, ma gradiva poco il campione degli zelanti conservatori, il cardinal A.G. Severoli, per il suo passato acceso antigiuseppinismo.
La Francia spingeva per un papa fedele al riformismo consalviano, da molti identificato nel cardinal F.S. Castiglioni, certamente però del tutto sgradito all’Austria. Dallo stallo che ne risultava, la solu-zione della Genga emerge potendosi appunto connotare, nonostante il neoeletto papa fosse identificabile con il filone degli “zelanti”, come soluzione transitoria, viste la sua età e le sue condizioni di salute15.
La prima impressione che il nuovo papa solleva è piuttosto mode-rata: la decisione di sostituire nell’incarico di segretario di Stato il cardinal Consalvi con l’ottantaquattrenne cardinale Giulio Maria Della Somaglia viene però bilanciata con l’attribuzione a Consalvi della prefettura di Propaganda Fide, lasciando dunque intendere la volontà di tenere presenti le ragioni di una certa politica riformista e conciliarle con lo “zelantismo” conservatore. Addirittura è stato scritto che “tutto il pontificato di L. sarebbe stato una lunga, faticosa e poco felice ricerca dell’asse di equilibrio tra due tendenze non facili da conciliare”; e a queste due tendenze potrebbero farsi corrispondere due parti del pontificato leonino: “privilegiando [Leone XII] nella prima gli aspetti dottrinali e costringendosi nella seconda ad una
15 Cf. LeFLon, Storia della Chiesa, XX/2, Restaurazione e crisi liberale (1815-1846), cit., pp. 671-682; G. zizoLA, Il Conclave, Newton Compton, Roma 1993, pp. 147-149; B. PLonGeron, Prefazione a Storia del cristianesimo, X, Le sfide della modernità (1750-1840), cit., p. 8; A. M. PiAzzoni, Storia delle elezioni pontificie, Piemme, Casale Monferrato 2003, pp. 232 ss. Rimane sempre utile la pubblicazione del diario del prete romano e testimone diretto del conclave Giovanni Brunelli, ad opera di R.
coLAPietrA, Il diario Brunelli del conclave 1823, “Archivio storico italiano”, 120, 1962, pp. 76 ss.
dimensione decisamente più burocratica”16.
In effetti, gran parte delle prime nomine sembrano ispirate a questo principio di equilibrio: la Dataria e il Buon Governo risultano attri-buiti a cardinali “zelanti” (Severoli e Galeffi), mentre la Vicaria di Roma va a un consalviano (Zurla) e i Brevi a un moderato (Albani)17. Tuttavia in realtà, è difficile non concordare con gli storici i quali hanno sostenuto come in entrambe le fasi suddette del pontificato, a partire dalla sua prima enciclica (Ubi primum, maggio 1824), papa Leone interpreti un programma restauratore di sostanziale rifondazione religiosa della società sulle basi dei principi dell’ “Ancien Régime”, programma tipico dell’intransigentismo cattolico poi ribadito l’anno dopo con l’enciclica successiva Quo graviora: le censure contro galli-canesimo, giuseppinismo, indifferentismo e liberalismo, la conferma delle condanne delle società segrete già espresse dai papi precedenti a partire da Clemente XII sino a Pio VII, l’appello ai sovrani a ricorrere al papa e alla gerarchia anche sulle materie temporali e tradurre in norme coercitive le condanne papali. Non per nulla sappiamo della familiarità del della Genga con le opere di scrittori della Restaura-zione (de Bonald, de Maistre e soprattutto Lamennais), così come sappiamo dell’impulso che egli dà al “Giornale Ecclesiastico” (testata romana di orientamento integralista, diretta dal teatino Gioacchino Ventura)18. E l’impegno che il nuovo papa profonde nella ricostruzione della basilica di San Paolo (dopo l’incendio del luglio 1823) si presta ad essere letto come metafora di una volontà di restaurazione della societas christiana attaccata dalle minacce del tempo19.
Una simile impostazione è stata riscontrata anche in altri due
provvedimenti del 1824: le due costituzioni Quod divina sapientia (sulla riforma degli studi) e Super universam (per la revisione della organizzazione delle parrocchie romane). Anche la riforma dell’orga-nizzazione della rete parrocchiale romana è stata interpretata come mirante a esaltare la preminenza della sede pontificia. Ma soprattutto la Quod divina sapientia riforma il sistema di istruzione superiore in un senso che la storiografia ha considerato ispirato a volontà di vigi-lanza centralista e ad una “ratio studiorum” piuttosto rigida e chiusa (sotto la sorveglianza della neo costituita Congregazione degli studi).
Ma, per converso ed a rimarcare quel dualismo del pontificato leonino cui si è accennato, vi si può vedere in positivo l’avvio di un medesimo processo di pianificazione e razionalizzazione (vengono, ad esempio, ridotti il numero e i privilegi particolaristici delle università minori) che va nel senso delle innovazioni tipiche degli Stati moderni20.
In ogni caso, l’altro grande carattere del progetto dello zelantismo a cui si accennato, vale a dire il recupero di una pervasiva spiritualità, sembra essere l’aspetto perseguito con l’indizione del giubileo del 1825:
occasione per fare di Roma un grande spazio sacro e penitenziale, rigidamente regolato con celebrazioni e divieti, oltre che con una serie di interventi architettonico-urbanistici21. Trattasi di un obiettivo che il papa intende raggiungere superando anche le varie perplessità che gli venivano dalla stessa Curia (timorosa, dopo i moti del 1820-21, che
20 Cf. Leoni, La politica di restaurazione di Leone XII, cit., pp. 24-28 e M.I. Venzo, La congregazione degli Studi e l’istruzione pubblica, in A.L. BoneLLA, A. PoMPe, M.i.
Venzo (a cura), Roma fra la Restaurazione e l’elezione di Pio IX. Amministrazione, economia, società e cultura, Herder, Roma 1997, pp. 179-190; vi accenna anche KeLLy, Vite dei papi, cit., p. 509. Sulla riforma degli studi torna, per gli Atti del presente convegno, M. Venzo con una specifica relazione: Leone XII e la riforma degli studi. Mentre per la riforma della struttura parrocchiale romana, cf. D. roccioLo, La riforma delle parrocchie tra Pio VII e Leone XII, in BoneLLA, PoMPe, M.i. Venzo (a cura), Roma fra la Restaurazione e l’elezione di Pio IX, cit., pp. 349-372.
21 Cf. F. MAriAno, La città e l’architettura dei papi. Da Roma alle Marche, in MAriAno, PAPetti (a cura), I papi marchigiani, cit., pp. 142-153. Ma vedasi, per il presente volume di Atti, il contributo di i. FiuMi SerMAttei, Alcuni aspetti della committenza artistica a Roma e nelle provincie.
un grande afflusso di gente a Roma potesse facilmente nascondere anche la presenza di cospiratori e rivoluzionari, oltre che preoccupata per le difficoltà finanziarie e organizzative)22.
L’insieme del governo pontificio leonino alimenta però insoddisfa-zioni da più parti. A livello popolare, i sonetti del Belli hanno facile gioco nello stigmatizzare, interpretandoli come segni di pregiudizio nei confronti di ogni novità, i provvedimenti polizieschi presi, anche in coincidenza con il giubileo del 1825, contro le feste popolari o le limitazioni poste sugli spettacoli e le attività teatrali, ma anche sulla produzione e circolazione libraria, oppure contro la vaccinazione antivaiolosa. Vanno anche ricordate le modifiche introdotte nel campo dell’organizzazione giudiziaria (con motu proprio del 5 ottobre 1824 e del 21 dicembre 1827): fra cui la soppressione dei tribunali civili collegiali sostituiti con preture monocratiche (ove il compito di emet-tere sentenze era rimesso ad un giudice solo), oppure la nomina di un Legato straordinario con giurisdizione su tutte le legazioni romagnole nella persona del cardinal Agostino Rivarola dotato di ampi poteri (con possibilità di carcerazioni senza processo)23. Eppure, si farebbe torto alla realtà se non si dicesse che - a significare ancora le ambivalenze del momento e del pontificato - quei provvedimenti, contenevano anche misure di riordino dello Stato e della sua amministrazione in un senso di razionalizzazione non priva di elementi riformatori innovativi, fra i quali la riduzione del numero delle delegazioni24.
22 Si veda G. cASSiAni, L’Anno Santo del 1825: il Giubileo della Restaurazione, in G.
c (a cura), I Giubilei del XIXI e XX secolo, Rubettino, Soveria Monnelli 2003,
Restavano, comunque, tutte le difficoltà sul piano economico-finanziario in cui versava l’amministrazione pontificia. E tali difficoltà non erano certo ostacolate da provvedimenti quali gli sgravi fiscali sulla tassa fondiaria (i cui diminuiti introiti andavano a gravare sulle scarne casse pontificie), il ripristino degli istituti del maggiorascato e del fedecommesso o l’ampliamento del ghetto (con l’obbligo di limitare esclusivamente al suo interno tutte le attività commerciali degli ebrei romani)25. Quanto alla politica antiebraica, proprio considerando le difficoltà economiche che produceva non sorprendono gli interventi di diversi vescovi, i quali ricorrono presso il Sant’Uffizio o presso la Segreteria di Stato per manifestare la loro difficoltà e contrarietà ad applicare le rigide norme segregazionistiche: non solo per ragioni di solidarietà e pietà, ma anche per i precisi interessi economici delle popolazioni cristiane delle rispettive diocesi26. Pur tuttavia, a rimarcare ancora i contrasti interni e l’ambivalenza del pontificato leonino, vi è da aggiungere che Leone XII è anche il papa che nel 1825 formula un progetto abbastanza innovativo per la creazione di una sorta di istituto bancario pubblico27.
Comunque sia, è anche da tali difficoltà economiche che trae alimento il fenomeno del brigantaggio, represso dal cardinal Antonio Pallotta con estrema durezza (attraverso esecuzioni sommarie). Ed ancora, una certa insoddisfazione sembra circolasse nella stessa Curia a causa di una politica di nomine che, per quanto perseguita con il lodevole intento di ringiovanire l’apparato curiale, risultava però troppo favorevole per il clero umbro e marchigiano e assai meno per quello romano e laziale. In questi tarli che corrodevano i progetti di papa
25 Cf. MArozzi, Leone XII, cit., p. 303.
26 Cf. MArrA, I sommi pontefici, cit., pp. 312-316. Del tema si occupa, per gli Atti del presente convegno, L. Andreoni, Gli ebrei tra monopoli e concorrenza. Politica economica, corporazioni e conflitti nello Stato pontificio al tempo di Leone XII.
27 Rimando a Leoni, La politica di restaurazione di Leone XII, cit., pp. 21-23 e al saggio di E. GrAziAni, Primi tentativi di riforma del sistema bancario nello Stato pontificio (offerto nel corso del convegno per il presente volume di Atti).
Leone XII - conclude Monsagrati - “stavano le ragioni di quello che sarà il fallimento del progetto teocratico e antimoderno di L., qui e nella diffidenza degli Stati stranieri, per i quali l’ultramontanismo di fondo della concezione del pontefice non costituiva certo una garanzia per un esercizio libero della sovranità, quali che fossero le ragioni di politica interna che potevano consigliare ai regnanti l’accordo con il potere religioso”28.
Ed è a questo punto che, forse nella consapevolezza di tali difficoltà, può collocarsi quella che sempre Monsagrati chiama una seconda parte del pontificato leonino, parte nella quale, anche per impulso del nuovo Segretario di Stato, il cardinale fermano Tommaso Bernetti, prevarrebbe “una dimensione decisamente più burocratica” e “rientrati tutti i propositi di fare del papato il centro di gravità spirituale del mondo … ci si orientava … verso un più modesto tentativo di rimet-tere ordine nelle strutture temporali dello Stato”29. E a tali obiettivi di risanamento burocratico-amministrativo si possono far corrispondere alcuni atti specifici di questo periodo assunti dal papa con la forma del motu proprio: nel febbraio 1826 istituisce la Congregazione della vigilanza, con lo scopo di vigilare sugli abusi dell’amministrazione pontificia (nel dicembre 1828 dalla Congregazione della vigilanza si sarebbe sviluppata la Congregazione di revisione dei conti, incaricata di controllare i bilanci della Camera apostolica e di tutta l’amministra-zione pontificia); nel dicembre 1826 crea una speciale commissione incaricata per la beneficenza e l’assistenza economica agli indigenti e adotta provvedimenti di blocco degli sfratti e dei prezzi di affitto,
Ed è a questo punto che, forse nella consapevolezza di tali difficoltà, può collocarsi quella che sempre Monsagrati chiama una seconda parte del pontificato leonino, parte nella quale, anche per impulso del nuovo Segretario di Stato, il cardinale fermano Tommaso Bernetti, prevarrebbe “una dimensione decisamente più burocratica” e “rientrati tutti i propositi di fare del papato il centro di gravità spirituale del mondo … ci si orientava … verso un più modesto tentativo di rimet-tere ordine nelle strutture temporali dello Stato”29. E a tali obiettivi di risanamento burocratico-amministrativo si possono far corrispondere alcuni atti specifici di questo periodo assunti dal papa con la forma del motu proprio: nel febbraio 1826 istituisce la Congregazione della vigilanza, con lo scopo di vigilare sugli abusi dell’amministrazione pontificia (nel dicembre 1828 dalla Congregazione della vigilanza si sarebbe sviluppata la Congregazione di revisione dei conti, incaricata di controllare i bilanci della Camera apostolica e di tutta l’amministra-zione pontificia); nel dicembre 1826 crea una speciale commissione incaricata per la beneficenza e l’assistenza economica agli indigenti e adotta provvedimenti di blocco degli sfratti e dei prezzi di affitto,