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Un’eco ovidiana e tre nomi di cani in Pinocchio

1. Questa incursione, forse incauta, in territori che riconosco non miei, più che un atto di hybris vorrebbe essere un atto di pietas, un omaggio affet-

tuoso all’autore del libro che sessant’anni fa rappresentò per me il primissimo incontro con la lettura e che ancor oggi, rinverdito dalle riletture prima per i figli e poi per il nipote, conserva intatti ai miei occhi tutto il suo fascino e la sua freschezza.

Sono consapevole dei rischi cui vado incontro non conoscendo la ricchis- sima bibliografia su Pinocchio: è possibile, per non dire assai probabile, che le coincidenze su cui vorrei soffermarmi siano state già da tempo notate, e che io finisca per far la parte di chi sfonda una porta aperta; me ne scuso fin d’ora, ma spero di poter contare sull’indulgenza tra ironica e divertita che gli specialisti vorranno riservare a uno studioso di storia antica tentato per un momento di abbandonare la strada maestra.

Vorrei partire dal capitolo XXII, in cui “Pinocchio scopre i ladri e, in ri- compensa di essere stato fedele, vien posto in libertà”. In questo episodio il burattino, nel tentativo di rubare due grappoli d’uva, resta preso in una ta- gliuola e, sorpreso dal contadino infuriato, viene da costui costretto a prende- re il posto del suo “cane di guardia” appena morto. Nella notte, poi, dalla viva voce delle faine venute a rubare le galline del contadino, Pinocchio scoprirà che il suo defunto predecessore era stato un cane infedele, complice delle fai- ne, con cui spartiva abitualmente il bottino. Da parte sua Pinocchio fingerà di stare al gioco e permetterà al contadino di catturare le “quattro ladroncelle”, rinunciando poi a “raccontare i patti vergognosi che passavano tra il cane e le faine”, perché, “ricordandosi che il cane era morto, pensò subito dentro di sé: - A che serve accusare i morti?... I morti son morti, e la miglior cosa che si possa fare è quella di lasciarli in pace!...”.

Per questo cane defunto, che compare solo nel ricordo e nelle parole del contadino e delle faine, Collodi scelse il nome di Melampo. Difficilmente può essere casuale il fatto che questo fosse il nome di un cane già in Ovidio. Nel terzo libro delle Metamorfosi, narrando l’episodio di Atteone, trasformato in cervo da Diana e sbranato dai suoi cani, il poeta fornisce un nutrito catalogo di questi animali, che si apre proprio col nome di Melampo (Ov., Met., III,

206-208):

Dum dubitat, videre canes: primusque Melampus Ichnobatesque sagax latrati signa dedere,

Gnosius Ichnobates, Spartana gente Melampus.

Si tratta di cani da caccia, ed è quindi significativo che Melampo sia detto di origine spartana, quasi a sottolineare le sue qualità di guerriero, cui allude anche l’immagine bellica signa dedere1.

Appare dunque ancora più stridente il contrasto antifrastico tra un nome così evocativo, dato a un “cane di guardia” che avrebbe dovuto combattere come un guerriero, e la realtà truffaldina del suo comportamento. Penso che di questo Collodi fosse consapevole e che appunto tale consapevolezza abbia determinato la sua scelta.

D’altra parte, non può sorprendere che nel bagaglio culturale di Collodi ci fosse un classico come le Metamorfosi di Ovidio, logica premessa alle Meta- morfosi di Apuleio, la cui funzione di modello per la trasformazione di Pinoc-

chio in asino è di per sé evidente ed è stata da tempo riconosciuta.

Si potrebbe inoltre pensare che nel nome del cane collodiano possa essere confluito anche il ricordo dell’omonimo personaggio umano, il mitico veg- gente greco figlio di Amitaone ed Eidomene che ebbe il dono di compren- dere il linguaggio degli animali2. Questo potrebbe spiegare il fatto che sia il defunto cane Melampo, sia il nuovo Melampo che lo sostituisce (Pinocchio) capiscano senza difficoltà i discorsi delle faine, siano in grado di rispondere loro facendosi a loro volta capire, e riescano a prevedere esattamente quello che accadrà nella notte: l’inganno e il furto ai danni del contadino nel caso del cane infedele, la punizione delle faine nel caso di Pinocchio.

Anche questo secondo Melampo è ricordato nelle Metamorfosi di Ovidio3, dove però non si fa cenno di queste sue straordinarie capacità; non escludo, 1 Cfr. F. Bömer, P. Ovidius Naso. Metamorphosen. Kommentar, I, Buch I-III, Heidelberg 1969, pp. 503-504.

2 J. Pley, in RE, XV, 1 (1931), cc. 392-399, s.v. Melampus, nr. 1.

3 Ov., Met., XV, 325 ss. Secondo il mito, Melampo avrebbe guarito le figlie di Preto, re di Tirinto, dalla follia con cui erano state punite da Dioniso o da Hera. Ovidio allude a lui, senza nominarlo espres-

tuttavia, che attraverso un’edizione commentata del testo ovidiano Collodi avesse avuto notizia di quanto in proposito riferisce Apollodoro4.

2. Un altro nome di cane figura nei capitoli XXVII-XXIX. Alidoro è il ma- stino che, dopo l’arresto e la fuga di Pinocchio, lo insegue sulla riva del mare, viene poi salvato dallo stesso Pinocchio quando sta rischiando di affogare, e infine lo salva dalle grinfie del pescatore verde. Questa volta sembrerebbe trattarsi di un nome parlante, che nell’evocare un paio d’ali, cui per giunta attribuisce la perfezione dell’oro, vuole esprimere l’incredibile velocità di quel “grosso cane mastino, che aveva guadagnato il primo premio in tutte le corse dei cani”.

Sospetto che Collodi abbia rifunzionalizzato in questo senso un nome sug- geritogli dal titolo di un’opera buffa di Leonardo Leo, rappresentata per la prima volta a Napoli nel 1740 e riproposta, dopo una lunga eclissi, nel 2008 a Reggio Emilia e Napoli.

Si potrebbe anche supporre che Collodi, in alternativa o forse in conco- mitanza con l’etimologia italiana appena ricordata, pensasse a un’etimologia greca (aJlivdwroı, “dono del mare”), che pure potrebbe adattarsi bene all’am- bientazione marina dell’episodio e si inserirebbe perfettamente nella logica antifrastica che ho creduto di riconoscere in questi riecheggiamenti di nomi classici, dal momento che in realtà Alidoro, lungi dall’essere un dono del mare, è una preda sottratta al mare che sta per inghiottirlo.

3. Al mondo del melodramma settecentesco, piuttosto che direttamente all’Orlando Furioso, potrebbe essere attinto anche il nome di un terzo cane

collodiano, Medoro, il Can-barbone che compare come cocchiere della Bam- bina dai capelli turchini nel capitolo XVI, con la sua livrea di gala, completa di “una specie di fodera da ombrelli, tutta di raso turchino, per mettervi den- tro la coda, quando il tempo cominciava a piovere”.

Angelica e Medoro è infatti il titolo di tutta una serie di composizioni sette-

centesche ispirate al celeberrimo episodio del poema ariostesco: una serenata in due atti di Nicola Porpora, su libretto del Metastasio, rappresentata a Na- poli il 28 agosto 1720; una serenata di Giacomo Francesco Milano, pure su samente, quando tra le possibili spiegazioni del fatto che chi si abbevera alla fonte di Clitore, in Arcadia, diventa astemio, ne adduce una legata a questa vicenda: sive, quod indigenae memorant, Amythaone natus, / Proetidas attonitas postquam per carmen et herbas / eripuit furiis, purgamina mentis in illas / misit aquas odiumque meri permansit in undis. Nel suo commento alle Avventure di Pinocchio la Marcheschi

si limita a un breve riferimento al nome del cane di Atteone e al Melampo indovino: v. C. Collodi,

Opere, a cura di D. Marcheschi, Milano 1995, p. 988, nota 119.

libretto del Metastasio; un dramma per musica in tre atti di Carl Heinrich Graun, rappresentato a Berlino il 27 marzo 1749; una cantata drammatica di Domenico Cimarosa, rappresentata a Vienna nel 1783.

Anche in questo caso, il contrasto tra il grottesco Can-barbone descritto da Collodi e l’affascinante giovane che conquista l’amore della bellissima An- gelica nell’Orlando Furioso non potrebbe essere più stridente. Possiamo ag-

giungere che, invece, la Fatina dai capelli turchini, con la sua grazia, risulta perfettamente omologa all’Angelica della coppia ariostesca, col risultato di sottolineare ulteriormente il rovesciamento attuato per Medoro. Credo però che la scelta di Collodi non sia legata solo a un gioco antifrastico rispetto al modello: sospetto che Medoro sia il risultato pressoché obbligato di una sorta di corto circuito tra i nomi degli altri due cani esaminati in precedenza; Medoro sembra infatti la fusione tra la parte iniziale del nome di Melampo e quella finale del nome di Alidoro5.

Qui mi fermo, consapevole di aver osato troppo; ma non dispero che que- sti miei rapidissimi spunti possano essere ripresi e ampliati con maggiore so- lidità da altri più capaci.

5 Come mi segnala l’amico Alberto Borghini, che ringrazio di cuore, l’idea che il Medoro collodiano sia il risultato della fusione di due nomi era stata già cursoriamente prospettata da E. Caffarelli – R. Randaccio, Collodi onomasta e i nomi toscani delle ‘Avventure di Pinocchio’, in «Il nome nel testo. Riv.

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