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L’esempio dell’umiltà di Cristo

Capitolo 3 Paola Antonia Negri

6. Le quattro virtù principali; la povertà, l’umiltà,

6.2. L’umiltà

6.2.1. L’esempio dell’umiltà di Cristo

Per tutto il cammino e l’esercizio di questa virtù il fedele non è da solo, anzi, è condotto per mano dall’esempio di Cristo.

Si legge infatti nel Tesoro:

Gesù Cristo accolse in sé in modo perfetto la virtù dell’umiltà, la esercitò in vita e in morte, perché si fece vero uomo e nacque in una stalla, non avendo trovato posto nell’albergo (Gv 1; Lc 2).

Ha sofferto persecuzioni fin da bambino, è sfuggito alle mani di Erode. Ha obbedito a Maria Vergine e al falegname Giuseppe, poveri e scarsamente stimati (Mt 2; Lc 2; Gv 4).

Ha sopportato fame, sete, pellegrinaggi, fatiche, insidie, calunnie, infamia, villanie, percosse e tormenti da uomini cattivi, da lui amati e beneficati, dai quali era chiamato mangione e beone, amico dei pubblicani e peccatori. Hanno cercato di farlo precipitare e di lapidarlo (Mt 2; Gv 7 ; 8 e 10).106

L’umiltà quindi ha attraversato tutta la vita di Gesù e si è sviluppata con il procedere del suo cammino e della sua crescita. Ci furono, però, momenti in cui Cristo sperimentò in maniera particolare la virtù dell’umiltà e con la sua stessa vita ne è testimone luminoso.

Tali momenti furono:

• umiliazioni nella Passione

• umiliazioni nella morte

• umiliazioni dopo la morte.

Umiliazioni nella Passione

Padre Pagani affronta qui la tematica centrale, il cuore della sua spiritualità: la vicinanza a Cristo crocifisso e la contemplazione di tale mistero. Il fedele che accosta il testo viene coinvolto con forza nelle atrocità della Passione e, per affetto derivante, partecipa alla vicenda.

Con le parole e le azioni, fu scacciato, biasimato e infine tradito. Fu preso, legato, accusato falsamente, percosso e coperto di sputi, tormentato in vari modi, vestito per scherno, or di color bianco come pazzo, or di rosso e beffeggiato come re, con la canna in mano e la corona di spine sul capo, per suo maggior scherno e martirio (Mt 26 e 27, Lc 22 e 23). Dopo essere stato atrocemente flagellato e lacerato in ogni parte del corpo, fu condannato come un malfattore, spogliato, abbandonato da tutti e condotto alla morte: debole e stanco, carico del supplizio della croce, in compagnia di due ladroni.107

Tali parole non possono non richiamare quanto già scritto in precedenza; l’autore, infatti, nove anni dopo la stesura delle Rime Spirituali, riprende in prosa le tematiche che precedentemente aveva già affrontato in poesia.

Si trovava infatti scritto nelle Rime Spirituali:

Le veste, et sopra una colonna avolto

Il ristrinser fra groppi duri, e strani. Ne v’era ancor legato, che fu involto Fra mille colpi di verghe sanguigne; C’hebbero à punto per tal fin raccolto Con nude braccia, con voglie maligne, Con strepito di denti, e occhi torvi Spolpavan quelle care membra digne […]

Certo un tanto patir mostra celarsi Virtù divina in un corpo si lasso, Che solo non potrebbe conservarsi. Hormai sfatto sarebbe un duro sasso108.

Il Pagani, con parole diverse ma con la stessa intensità emotiva, amplifica, chiarisce e arricchisce di profondità quanto nella produzione in versi aveva già proposto. Egli, grazie alla sua maturazione interiore, intuisce che il mezzo stilistico della prosa agevola la comprensione del lettore e la capacità didascalica del messaggio che si desidera presentare.

L’ardore giovanile lascia il posto alla calma del maestro di vita spirituale, di chi conduce gradualmente il discepolo che gli si accosta alla conoscenza e alla contemplazione di qualcosa di grande. E la composizione in prosa risulta quindi più equilibrata ma non meno incisiva.

Umiliazioni nella morte

L’umiliazione di Cristo raggiunge il massimo livello nell’impietoso atteggiamento dei suoi carnefici al momento della sua morte. Il Crocifisso ha qui la carica massima della bellezza del messaggio che il Pagani desidera veicolare: la conformazione a Gesù in croce non si realizza e non si esaurisce nel dolore della morte ma si esprime nell’atto supremo di amore per l’umanità che è la croce stessa. È questo il punto di arrivo della contemplazione del mistero: l’immersione nel totale amore di Cristo che si dona per l’uomo, che ama l’uomo, lo valorizza e lo innalza anche attraverso le umiliazioni che la vita offre. Ed è tale amore, dal quale padre Pagani si sentiva investito, che egli voleva annunciare perché il fedele stesso potesse accorgersi di desiderare la vicinanza del Signore proprio grazie all’aver sperimentato quanto Egli sia amabile.

Si legge nel Tesoro:

Carico d’estremo dolore, mentre pregava, piangeva e moriva, era beffato e disprezzato, come uno che aveva salvato altri e non poteva salvare se stesso (Lc 23). C’era chi gli offriva aceto e fiele, chi vino amarissimo, quando, afflitto da gran sete, Egli domandava per grazia un po’ d’acqua da bere. C’era chi, dinanzi ai suoi occhi, divideva e si prendeva le sue vesti. Perfino uno dei ladroni lo bestemmiava e scherniva. Alla fine, in mezzo a tante angustie e tormenti, terminò la sua vita, morendo trafitto da duri chiodi, e anche dopo la morte fu ferito al cuore (Mt 27; Gv 19).109

109 A. Pagani, Il tesoro dell’umana salvezza e perfezione, F. Longo, D. Anolfi (a cura di), Padova 2015, p. 133.

Da queste parole emerge veramente un Gesù uomo, sofferente, spaventato e afflitto da quanto è chiamato ad affrontare; la sofferenza e il dolore causati dalla morte imminente non risparmiano la sua persona e il lettore che incontra tale testo viene, ancora una volta, confermato nel non scoraggiarsi davanti alle dure prove della vita e a non evitare di praticare l’umiltà proprio perché Cristo stesso non aggirò ma affrontò la difficoltà che gli era stata assegnata.

Umiliazioni dopo la morte

Non bastò la morte a porre fine all’umiliazione del Signore, i suoi uccisori, infatti, non ebbero pietà nemmeno del suo corpo esanime dal momento che non era stato predisposto alcun luogo per la sepoltura. Per di più, tra i comportamenti che venivano messi in atto c’era anche quello di non volerlo nemmeno più nominare per tentare di eliminarne la memoria.

Poi, deposto nudo dalla croce sulla nuda terra, non aveva nemmeno un proprio sepolcro, dove essere sepolto; ma una persona per pietà, lo pose nella sua tomba. C’era chi lo chiamava seduttore, chi negava quanto poteva la sua resurrezione, chi infine perseguitava chi osava nominarlo, perché voleva spegnere e annullare il suo nome, la sua fama e ogni sua memoria in terra (Mt 27 e 28; At 4 e 5).

In vita e in morte Gesù si trovò sempre in un continuo disprezzo, vergogna e umiliazione.110

Gesù quindi, con la sua vita, diventa per il fedele un esempio di pratica delle virtù cristiane e il modello a cui tendere per amore e per desiderio di conformazione. La sua profonda umiliazione è monito per l’uomo perché non cada nella tentazione di ricercare la gloria e la lode del prossimo.

Si legge infatti nel Tesoro:

Gesù divenne esempio e forma della vita cristiana povera, umile e faticosa. Praticò perfettamente tali virtù, come nostro Maestro, perché noi fossimo ferventi nel fare lo stesso, per suo amore e dovere. Perché non solo non desiderassimo, né cercassimo la gloria umana, ma la rifiutassimo e disprezzassimo, se offerta da altri, né mai ci gloriassimo, né ci sollevassimo vanamente sopra noi stessi.111

È solamente quando l’uomo decide di scoprire in se stesso il modo per vivere con consapevolezza la vera umiltà che si rende conto che essa è la breccia, l’apertura attraverso la quale egli lascia spazio all’azione di Dio che arriva ad operare, in lui e con lui, la comunione che dona senso alla vita umana.

Inoltre, per il fedele che vive l’umiltà, essa diventa la gioia che lo abita quando egli sente di averla donata al suo prossimo; questo vivere per amore dell’altro contribuisce a costruire la comunione tra gli uomini che a loro volta, come affermato in precedenza, sono alimentati dalla comunione con il Signore che offre loro la possibilità di analizzare la vita non più secondo la logica umana ma nell’ottica di Dio, sul modello dello stile di vita di Cristo.