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Capitolo I: Gli studi sull’emigrazione politica durante il Risorgimento

1.8 Esilio e Risorgimento: le nuove ricerche

A breve distanza l’uno dall’altro, due libri sono venuti a rivisitare il tema degli esuli e della loro rilevanza nel dare corpo e spessore alla nazione italiana. Il primo è Risorgimento in Exile di Maurizio Isabella pubblicato nel 2009 e il secondo è quello di Agostino Bistarelli, Gli esuli del Risorgimento del 2011127. Entrambi i

volumi hanno avuto un notevole successo, sviluppando delle interessanti discussioni delle quali ci occuperemo in seguito.

Bisogna domandarsi, innanzitutto, la ragione della ripresa dello studio e della ricerca sul tema dell’esilio; una delle motivazioni, secondo Bistarelli, è quella di «un intreccio di rimandi che la storia degli esuli palesa sia nel tempo che nei luoghi e che può essere considerato come lo stimolo che ha fatto riemergere l’attenzione

127 Maurizio Isabella, Risorgimento in exile, Italian émigrés and the liberal international in the post-

Napoleonic era, Oxford, University press, 2009; trad. it.: Risorgimento in esilio. L’internazionale liberale e l’età delle rivoluzioni, Bari, Laterza, 2011; A. Bistarelli, Gli esuli del Risorgimento,

all’esilio, lente di indagine delle crisi che attraversa la dimensione globale della società contemporanea»128. Inoltre, la nuova impostazione storiografica di Banti

aveva rinnovato l’approccio nei confronti del Risorgimento, senza dedicare però molto spazio al fenomeno dell’emigrazione politica, la quale invece era stata, secondo alcuni, uno dei fattori determinanti del ‘canone risorgimentale' e andava anch’essa studiata nei suoi aspetti più sentimentali.

Con questi due lavori, inoltre, si iniziò a sottolineare la dimensione internazionale del Risorgimento che era tornata recentemente ad attirare l’attenzione degli studiosi e a produrre nuovi risultati di ricerca. L’interesse per il contesto transnazionale del movimento risorgimentale, che emerge da queste ricerche, ha coinciso con un rinnovamento storiografico che, sostiene Isabella, ha stimolato dibattiti e ricerche prevalentemente, ma non esclusivamente, in ambito angloamericano, ed ha sottolineato la natura globale e la dimensione transnazionale dei processi storici129.

La storia globale, infatti, si occupa oggi di studiare convergenze e divergenze esistenti tra movimenti, correnti di pensiero e fatti, nella convinzione che le ideologie e le grandi trasformazioni economiche e politiche della modernità fossero collegate tra loro, e che si fossero sviluppate come fenomeni globali. In questa prospettiva, l’integrazione dei processi economici, sociali, politici ed intellettuali non veniva considerata semplicemente come fenomeno contemporaneo, bensì storicizzata ed anticipata nel tempo almeno al XVIII secolo. Una conseguenza metodologica di questo approccio fu lo scardinamento delle tradizionali relazioni tra centro e periferia che hanno dominato la storiografia italiana. In questa prospettiva vennero rivalutate quelle che tradizionalmente erano considerate esperienze marginali, in quanto mostravano la diffusione e le varie articolazioni locali di movimenti sociali e di correnti ideologiche di portata internazionale e interconnesse tra loro. Ne risultava una valutazione diversa dell’età delle rivoluzioni, ed una sensibilità nuova nei confronti della circolazione internazionale delle idee nello stesso periodo. Questa prospettiva ridimensionò la centralità

128 Agostino Bistarelli, La sfida dell’esilio: osservazioni e risposte, «Società e storia», n. 141, 2013,

pp. 555-558, in part. p. 555.

129Exiles from European revolutions. Refugees in Mid-Victorian England, a cura di S. Freitag, New

York-Oxford, Berghahn books, 2003; C.A. Bayly et al., AHR Conversation: On Transnational

History, in «The American Historical Review» 111(2006), pp. 1440-1464; Transnational Lives. Biographies of Global Modernity, 1770-present, a cura di Desley Deacon, Penny Russel, Angela

Woollacott, Palgrave Macmillan, London, 2010; Special issue: The Italian Risorgimento:

assoluta della Rivoluzione francese, e con essa l’idea che ogni altro fenomeno rivoluzionario fosse derivativo e quasi subalterno, a favore di un’interpretazione policentrica dei movimenti rivoluzionari che ne sottolineava la simultaneità. Attraverso un’analisi dell’emigrazione politica ci si poteva quindi soffermare sulla dimensione relazionale del Risorgimento con gli altri movimenti politici contemporanei, sull’intreccio tra patriottismo italiano e patriottismi europei ed extraeuropei, e sul contributo italiano a correnti ideologiche transnazionali nel più vasto contesto della circolazione delle idee.

Questi volumi, quindi, ‘rimescolano le carte’ e ci ricordano, nota Francesca Sofia, come l’esilio fosse davvero un’istituzione italiana130.

Maurizio Isabella specifica fin dalle prime pagine come il suo obiettivo non fosse un’indagine sull’esilio risorgimentale nella dimensione di storia sociale dell’emigrazione, ma dell’esilio come esperienza intellettuale, riguardante i fuggitivi della prima generazione di patrioti che si allontanarono dalla penisola nel periodo compreso fra la caduta del regime napoleonico e la fine degli anni trenta. La narrazione di Isabella si concentra sulle biografie di trentacinque patrioti italiani, tra i quali Ugo Foscolo e Giuseppe Pecchio, rappresentanti per antonomasia della cultura alta dell’esilio, e altri invece meno noti non solo al pubblico anglosassone a cui il volume era inizialmente rivolto. Siamo dunque agli albori del Risorgimento italiano, prima che il duopolio moderati-democratici egemonizzi la scena politica italiana. Trentacinque persone negli epistolari delle quali egli cerca la risposta alle domande concernenti le loro iniziative politiche e il significato dell’esperienza dell’esilio nella loro elaborazione concettuale del progetto di unificazione politica della penisola131.

La vicenda di questi protagonisti dell’esilio permette a Isabella di indicare la dimensione internazionale del Risorgimento che, come egli illustra fin dall’introduzione, mostra quanto «l’esperienza dell’emigrazione fu cruciale per determinare il modo in cui la comunità nazionale italiana venne immaginata»132.

130 Francesca Sofia, Esilio e Risorgimento, «Contemporanea», a. XIV, n. 3, 2011, pp. 557-564, in

part. p. 557

131 Maurizio Isabella, Risorgimento in esilio, cit., p. 13 132 Ivi, p. 14

Gli esuli di cui parla Bistarelli, invece, erano stati quasi tutti protagonisti della rivoluzione piemontese del 1821 e si erano arruolati volontari per andare a combattere accanto alla Spagna durante il triennio liberale. Sono loro a rappresentare il filo rosso di questo libro, a cui altre esperienze di esilio si accostano e si sovrappongono come trame secondarie133. Di qui l’interesse di questa ricerca,

notato da Francesca Sofia, che invece di concentrarsi sugli esuli ‘eccellenti’, narra una vicenda corale decisamente meno conosciuta che porta a declinare l’esilio secondo parametri meno elitari134. Bistarelli nei confronti del suo campione di esuli

adotta un approccio prosopografico; esso viene indicato come lo strumento più efficace per fornire la risposta al problema posto dall’esperienza degli esiliati come comunità, una comunità creata dalla condizione di allontanamento, sebbene vissuto con differenti modalità da individui di diversa provenienza geografica e sociale. Grazie a tale scelta metodologica, la composizione degli esuli è ricostruita nei suoi aspetti quantitativi, che forniscono un gruppo di circa 850 individui, il cui dato biografico più comune è quello di essere nati dopo la Rivoluzione francese. Nonostante il forte divario quantitativo, si tratta comunque in ambedue le ricerche di un campione relativamente omogeneo, accomunato dall’elemento generazionale e in larga parte da quello sociale. Gli esuli studiati sono inoltre caratterizzati da una completa identità di genere essendo, infatti, tutti maschi tra i venti e i trent’anni135.

Tra i luoghi tratteggiati da entrambi gli autori ricopre un posto fondamentale la Spagna del Triennio liberal, che fra il 1820 e il 1823 costituì l’approdo per gli italiani coinvolti nella rivoluzione napoletana e nelle insurrezioni in Piemonte e a Milano. Come nota Bistarelli vi è un nesso tra la difesa della libertà in Spagna e quella del resto d’Europa. Grazie al loro impegno militare «gli esuli potevano essere considerati come una forza armata al servizio della rivoluzione europea»136. Anche

la Grecia ricorre nelle pagine di questi volumi: essa fu infatti altrettanto cruciale quanto la Spagna costituzionale per gli esuli italiani, poiché in questo paese mediterraneo essi vedevano rispecchiata la loro stessa esperienza. Non solo il

133 Francesca Sofia, Esuli e culture politiche: in margine agli esuli del Risorgimento di Agostino

Bistarelli, «Società e storia», n. 141, 2013, pp. 537-544, in part. p. 538

134 Ibidem

135 Secondo Bistarelli la presenza delle donne dell’esilio del 1821 è stata «silenziosa e limitata al

ruolo di moglie». Ma vi sono figure che escono dagli schemi tradizionali e che, modificando la famiglia tradizionale, propongono direttamente un loro protagonismo nell’esilio e nei rapporti con la politica. Vedi infra cap. III. Cfr. Agostino Bistarelli, Gli esuli del risorgimento, cit., pp. 301-02

movimento indipendentista greco si era formato quasi del tutto all’estero, ma, come quello italiano, vedeva nell’indipendenza politica la premessa imprescindibile per il progresso sociale e per il recupero delle glorie del passato137.

L’America meridionale infine, come mostra Isabella, offrì ai patrioti italiani l’insegnamento e l’esempio dell’importanza dell’azione militare e della figura dell’eroe combattente, incarnata in quegli anni da Giuseppe Garibaldi138.

In Europa il luogo dove più a lungo, il più vasto numero di esuli trovò rifugio fu, a giudizio unanime, la Gran Bretagna. Questo paese finì per rappresentare agli occhi di alcuni degli italiani che per più tempo vi soggiornarono e che finirono per prendere la nazionalità inglese, «il simbolo stesso della civiltà e del progresso»139.

Non casualmente Isabella dedica l’intera seconda parte del suo libro all’apporto dell’esempio britannico all’elaborazione concettuale degli ideali di libertà e alla progettazione dello stato condotta dai rifugiati italiani.

Paul Ginsborg, nel suo saggio L’altro e l’altrove: esilio politico,

romanticismo e risorgimento140 descrive le differenze tra le due città europee che

furono le principali mete degli esuli italiani: Londra, come abbiamo visto, e Parigi che nei due volumi precedenti è meno presente. Entrambe queste città erano grandissime per gli standard del XIX secolo, ma molto diverse tra loro: Londra era molto più popolosa ed era una città industriale a differenza di Parigi, città di artigiani. Anche le atmosfere politiche erano diverse, sia prima, ma soprattutto dopo il 1848: Londra era apprezzata specialmente per l’aria di libertà che vi si respirava, per il naturale senso dei diritti individuali; nel 1849, e ancora di più dopo il colpo di stato di Bonaparte del 1851, la fisionomia politica di Parigi era invece cambiata radicalmente, l’opinione pubblica della capitale era diventata anti-mazziniana, fermamente cattolica e i rifugiati della Repubblica Romana non trovarono una buona accoglienza, a differenza di Londra che rimase profondamente anticattolica, approvando la lotta antipapista dei democratici italiani.

137 I patrioti italiani elaborarono nei confronti della Grecia un modello di fratellanza, che vedeva

accumunate le sorti dei due paesi. Tale parentela trovò la sua incarnazione in Ugo Foscolo «che apparteneva a un tempo alla diaspora greca e a quella italiana», e sarebbe stata sugellata dal sangue del sacrificio di Santorre di Santarosa. Vedi infra cap. II.

138 Maurizio Isabella, Il Risorgimento in esilio, cit., p. 82 139 Ivi, p. 84

140 Paul Ginsborg, L’altro e l’altrove: esilio politico, romanticismo e risorgimento in Fuori d’Italia:

Londra dei cospiratori. L’esilio londinese dei padri del Risorgimento di

Enrico Verdecchia, pubblicato nel 2010, è un libro ad alta divulgazione incentrato sulla città di Londra come porto sicuro dell’esilio ottocentesco e culla delle principali teorie politiche elaborate durante il secolo141. La ricostruzione di

Verdecchia, che ha lo scopo di fornire una colorita e accattivante guida attraverso i luoghi dell’esilio, dà sfondo all’esistenza londinese di tanti esuli, non solo italiani, e offre molte utili informazioni sull’esperienza esistenziale dell’esilio. Nella sua ricostruzione della Londra ‘dei cospiratori’ non si trovano solo gli esuli italiani, ma anche quelli che provenivano dal resto d’Europa e anche dalla lontana Russia, dopo aver peregrinato per vari paesi e spesso dopo essere stati espulsi dalle altre capitali europee dell’esilio dove avevano cercato e trovato un primo rifugio.

La principale acquisizione viene soprattutto dalla possibilità, offerta al lettore, di valutare gli effetti della compresenza nella capitale britannica di tanti fuggitivi, provenienti da luoghi diversi e per differenti ragioni, che insieme all’ospitalità trovarono modo di parlare, scrivere e pubblicare, partecipare ad associazioni, promuovendo società, collette e periodici. L’approccio utilizzato da Verdecchia, di raccontare l’esilio dalla prospettiva londinese, gli ha permesso di ripercorrere la complessa stratificazione di nuovi arrivi che si accumulò nel corso del secolo.

Il contatto con la società inglese, notevolmente più evoluta sul piano economico e differenziata su quello sociale, divenne un laboratorio da cui attingere esperienze e riflessioni utili per immaginare l’Italia futura. Anche il confronto con l’indiscutibile superiorità industriale e commerciale dell’Inghilterra contribuì a sprovincializzare il dibattito sul futuro compimento del Risorgimento italiano, offrendo, attraverso i numerosi interventi degli esuli sulle riviste europee, una conoscenza meno ideologica e stereotipata dell’incipiente industrializzazione. Si trattava di indagare come interagirono concretamente gli esuli con gli ambienti che li avevano accolti, per capire se quei luoghi sarebbero potuti diventare spazi di opportunità in cui sviluppare ‘capitale politico’ ma anche ‘capitale economico’142.

Tutto il discorso risorgimentale può essere considerato come un complesso dialogo fra i modelli economici e politici provenienti dai paesi che guidavano il processo di

141 Enrico Verdecchia, Londra dei cospiratori: l’esilio londinese dei padri del Risorgimento, Milano,

Tropea, 2010

civilizzazione europea e il patrimonio culturale dell’Italia, le cui particolarità i patrioti italiani continuarono ad apprezzare ed a difendere.

È proprio la natura del Risorgimento come dialogo con modelli e culture esterne che ci invita ad adottare un concetto di nazione che «non è più nazionale»143, e che

consente di mettere in rilievo i processi di reciproca generazione delle diverse identità nazionali.

Uno degli elementi che traspare dalle ricerche di Isabella e Bistarelli è il carattere europeo, se non proprio plurinazionale, che grazie alla storia degli esuli riacquista la storia del Risorgimento. Quella che viene descritta è l’effettiva partecipazione di questo primo Risorgimento alla cultura europea, offrendoci con ciò l’immagine di «un’identità più aperta, cosmopolita, meno cupa, certo minoritaria ma non eludibile»144. Tramite le azioni, gli scritti, la corrispondenza di questi primi

esponenti della ‘diaspora’ italiana all’estero, Isabella ci offre uno spaccato di quella che lui stesso definisce ‘l’Internazionale liberale’ e che, come è stato notato da Francesca Sofia, sarebbe stato forse più appropriato chiamare ‘Alleanza liberale’ per antifrasi con la Santa Alleanza145.

L’esperienza dell’esilio invita quindi a concentrare l’attenzione sul modo con cui una cultura si sposta, sulle relazioni che si stabilirono fra l’Italia e la comunità della diaspora, e fra questa e la cultura dei paesi che la ospitarono. Isabella sostiene che l’emigrazione politica fece sorgere forme di ‘transnazionalismo intellettuale’, indicando con ciò «i legami e le interazioni molteplici che collegano persone o istituzioni attraverso i confini degli Stati nazionali», e che è in questa luce che dovremmo considerare «l’esperienza dell’esilio e il suo impatto sull’identità italiana»146. Vi sono in particolare due aspetti dell’esperienza transnazionale che

vale la pena di indagare in relazione al fenomeno dell’esilio risorgimentale, e precisamente la tendenza a condizionare le coscienze (con quale paese gli esuli si identificano, e quali affiliazioni sviluppano) ed a dar forma alle modalità della riproduzione culturale (quale è l’impatto degli esuli come mediatori culturali, e fino a che punto essi rifiutano o accettano influenze culturali esterne)147.

143 Ivi, p. 541 144 Ibidem

145 Francesca Sofia, Esilio e Risorgimento, cit., p. 559 146 Maurizio Isabella, Risorgimento in esilio, cit., p. 222 147 Ivi, p. 225

A spiegare l’osmosi esistente tra Risorgimento e cultura europea fu proprio la straordinaria espansione in Europa e nel mondo dell’opinione pubblica, che nel corso della prima metà dell’800 divenne sempre più globalizzata. La crescita della società civile nei paesi dove esisteva la libertà di stampa, come Francia e Inghilterra, fu accompagnata da un inarrestabile e nuovo sviluppo della stampa periodica e dei mezzi di comunicazione di massa. La penisola italiana era stata ai margini di tale fenomeno a causa della censura e dell’esiguità del suo pubblico; ma nonostante, riuscì a crescere in modo esponenziale e le popolazioni degli stati italiani dimostrarono di essere ricettive ai nuovi media. La stampa, quindi, favorì la circolazione dell’informazione politica e delle idee rivoluzionarie non solo dal nord Europa verso la penisola italiana, ma facilitò allo stesso tempo la diffusione di notizie su eventi ed idee italiane nel resto del mondo.

La memoria dei pensatori legati in vario modo al processo risorgimentale è stata spesso rinchiusa all’interno della questione nazionale italiana, quasi si trattasse di una compagine intellettuale interessata quasi esclusivamente ai temi patriottici e dedita a una riflessione del tutto ‘interna’. In realtà il pensiero risorgimentale italiano, specialmente nei suoi settori più radicali, era comprensibile solo se lo si inseriva nel pieno del dibattito continentali che si stava svolgendo.

Emerge quindi - dalla lettura di entrambi i testi - la dimensione transnazionale del Risorgimento, un tema che negli ultimi anni ha portato molti storici a confrontarsi con questa componente. La rivista «Modern Italy» ha pubblicato, nel 2014, un numero monografico dal titolo The Italian Risorgimento:

transnational perspectives a cui hanno collaborato, tra gli altri, Lucy Riall, Carlotta

Sorba e Marco Meriggi148. Nell’Introduzione a cura della Riall e di Oliver Janz si

rifletteva sul termine ‘storia transnazionale’ che, secondo gli autori, aveva fatto rapidi progressi nel recente dibattito accademico. Considerata come l'ultima manifestazione di un approccio che è stato variamente descritto come storia internazionale - comparata, mondiale o globale - la storia transnazionale cerca di superare una storiografia focalizzata sulla nazione e di spostare l'attenzione sullo stato-nazione studiando le istituzioni non-governative, le associazioni civili, i gruppi informali ed i singoli attori. La sua pretesa primaria di innovazione risiede

nell'enfasi sul movimento, sulla interazione e compenetrazione tra e attraverso diversi gruppi, società e unità politiche: « Thus, the main concern of transnational history is with linkages and networks, perhaps especially in the so-called 'Global South'; with respect to the latter, an implicit aim of the approach is to challenge the 'Eurocentrism' characteristic of historical writing at least since the Enlightenment»149.

Una misura del successo della storia transnazionale è stata l'espansione del suo campo di applicazione fino ad includere una vasta gamma di oggetti vecchi e nuovi di studio. Ma, secondo gli autori, il termine è diventato così popolare che la sua vitalità concettuale potrebbe essere a rischio e, citando le parole di Christopher Bayly pubblicate sull’American Historical Review, l’approccio transnazionale: «is in danger of becoming merely a buzzword among historians, more a label than a practice, more expansive in its meaning than precise in its application, more a fashion of the moment than a durable approach to the study of history»150. Se però

ci confrontiamo con la storia italiana del XIX secolo appare un quadro molto diverso e si può notare come l’approccio transnazionale avesse avuto poca influenza in confronto allo studio del Risorgimento e dell’Italia liberale in una prospettiva più nazionale e probabilmente più ‘parrocchiale’151. Fino ad ora,

comunque, gran parte dell’impulso verso questa visione della storia era venuto da studiosi stranieri o italiani che lavoravano all’estero. Nel numero di «Modern Italy» il Risorgimento veniva studiato sulla base di questi approcci e venivano particolarmente considerate «some of the interactions between, on the one hand, expressions of, and opposition to, Italian national identity and, on the other hand, people, networks, ideas and trends beyond the peninsula»152.

Alla memoria di Bayly, scomparso nel 2015, è dedicato il volume Mediterranean

Diasporas. Politics and ideas in the long 19th Century, curato da Isabella e da

Konstantina Zanou153, che raccoglie una serie di saggi sul tema del formarsi del

pensiero politico nel lungo Ottocento, in situazioni di diaspora attorno al

149 Ivi, p. 1

150 Ibidem. Cfr.: Cristopher Alan Bayly, AHR Conversation: On Transnational History, «American

Historical Review», 111 (5), 2006, pp. 1441-1464.

151 Ivi, p. 2 152 Ibidem

153 Mediterranean Diasporas. Politics and ideas in the long 19th Century, edited by Maurizio

Isabella e Konstantina Zanou, London, Bloomsbury, 2016. Cfr. anche il lavoro di Zanou:

Transnational patriotism in the Mediterranean 1800-1850: stammering the nation, Oxfod,

Mediterraneo. La lezione di Bayly sottende l’orientamento di fondo della ricerca ed è evidente particolarmente negli interventi dei curatori. I soggetti studiati, uomini appartenenti a élites intellettuali o politiche, sono spesso transnazionali,

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