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A seguire, saranno esplorate due principali estensioni del modello gaussiano stazionario, spesso utilizzate nella modellizzazione dei fenomeni reali: la non stazionarietà (paragrafo 1.7.1) e la trasformazione della variabile risposta (paragrafo 1.7.2).

L'ipotesi di stazionarietà risulta in molti casi essere inverosimile, soprat- tutto per quanto riguarda l'assunzione sulla media del processo. Ad esempio, nell'applicazione oggetto dell'ultimo capitolo, si considera una media non co- stante e si analizzano i residui (intesi come la dierenza tra le osservazioni e la media stimata), in quanto non sarebbe corretto ipotizzare che la tendenza della concentrazione di clorolla non varia nello spazio. I risultati ottenuti utilizzando un modello che dipende solo dalle coordinate spaziali non risulta- no tuttavia soddisfacenti e potrebbero essere migliorati includendo nella spe- cicazione della tendenza degli eetti esterni, ossia delle variabili esplicative che dipendono dalle coordinate.

La non stazionarietà riguarda anche la struttura di dipendenza spaziale del second'ordine. In questo caso, possono essere considerati dei modelli ani- sotropici, in cui la correlazione dipende da una o più direzioni e non solo dal vettore di separazione tra i punti. Tuttavia, se da un lato è relativamente semplice esplorare eventuali comportamenti anisotropici, la computazione di tali modelli è tutt'altro che banale e, ad oggi, non sono stati implementati in alcun pacchetto computazionale geostatistico. Ciononostante, lo studio e l'implementazione di metodi anisotropici è sicuramente di notevole impor- tanza e di interesse per eventuali studi futuri, sia in generale che dal punto di vista dell'analisi dell'upwelling.

Nel paragrafo 1.7.2 si presenteranno alcune frequenti trasformazioni della variabile risposta, dovute a considerazioni empiriche, alla semplice convenzio- ne o ancora a considerazioni di carattere probabilistico sulla struttura della variabile risposta. Si descriverà il particolare caso della trasformazione loga- ritmica, utilizzata per rendere possibile una leggibile visualizzazione dei dati relativi alla clorolla.

1.7.1 Rilassamento dell'ipotesi di stazionarietà

Il caso più comune di non stazionarietà è quello in cui la media µ(x) del segnale S(x) non è costante. Si parla di drift se µ(x) è una funzione delle coordinate spaziali. La media è allora stimata tramite dei metodi di regres- sione, in cui le coordinate sono le variabili esplicative. Solitamente, non sono

considerati polinomi con grado superiore al secondo, in quanto comportamen- ti complessi sono più comunemente spiegati dalla struttura di covarianza del processo. Dal punto di vista del variogramma, la presenza di un drift lineare si traduce in un andamento parabolico nell'origine dello stesso. In generale, quando µ(x) varia in funzione di una o più covariate spaziali d1(x), . . . , dr(x),

si ha µ(x) = α + r X i=1 βidi(x), (1.26)

in cui βi, i = 1, . . . , r sono i coecienti della regressione. Una volta stimata

la media, si considera quindi S(x) − µ(x) ai ni dell'analisi geostatistica. Un processo S(x) tale che S(x) − µ(x) è (debolmente) stazionario, si dice stazionario per covarianza (Diggle e Riberio, 2007).

Un'altra forma di non stazionarietà riguarda la struttura di dipendenza del second'ordine. Un modo per rilassare l'ipotesi di indipendenza per tra- slazione della funzione covarianza del segnale è quello di considerare processi anisotropici, ovvero tali per cui quest'ultima dipenda non solo dalla distanza tra due punti ma anche dal loro orientamento reciproco. In altre parole, la direzione tra due punti è rilevante e il variogramma teorico del processo varia con essa. Nella pratica, per vericare la presenza di eetti direzionali, occorre osservare i variogrammi del processo in più direzioni regolari, per individuare eventuali dierenze e anomalie. Le forme più comuni di anisotropia sono la geometrica e la zonale, che costituisce un caso degenere della prima. Per una caratterizzazione generale dell'anisotropia e dei suoi parametri si può vede- re, ad esempio, Allard, Senoussi e Porcu (2015). L'anisotropia geometrica si verica quando la sella è raggiunta in corrispondenza di range dierenti a seconda della direzione. Il modello può essere convertito in stazionario tramite una roto-traslazione delle coordinate. In due dimensioni, preso un punto (x1, x2) ∈ R2, si ha (x01, x02) = (x1, x2) cos(ΨA) − sin(ΨA) sin(ΨA) cos(ΨA) ! 1 0 0 ΨR ! . (1.27)

mentre (x0 1, x

0

2)sono le nuove coordinate. La direzione lungo cui il variogram-

ma ha il range superiore rispetto alle altre è detta asse principale. L'aniso- tropia zonale è più dicile da trattare. Si verica quando il variogramma dipende solo da alcune componenti del vettore di separazione u. In que- sto caso, sia il range che la sella variano in funzione della direzione. Non è possibile riportarsi al caso stazionario con una trasformazione delle coordi- nate, si cerca piuttosto di ottenere una combinazione lineare di variogrammi isotropici.

È ora lecito chiedersi se sia più adeguato utilizzare un modello del tipo (1.26) oppure includere gli eetti direzionali all'interno della struttara di covarianza del processo. Non vi è una risposta univoca a tale interrogativo. In termini pratici, si predilige solitamente un modello con media spaziale (1.26) laddove il variogramma presenti delle variazioni di scala comparabile con quella del fenomeno considerato. Qualora vi sia una variabilità di microscala, si ricorre invece all'uso di modelli anisotropici (Diggle e Riberio, 2007).

Per concludere, si ricorda che la stazionarietà intrinseca è una condizio- ne meno restrittiva di quella del second'ordine, come spiegato nel paragrafo (1.2.2). Per questo motivo, viene spesso utilizzata quando l'ipotesi di debo- le stazionarietà non è vericata. In particolare, considerando gli incrementi Du(x) come in (1.3), la varianza σ2u è anche il variogramma di S(x). Le

funzioni intrinseche possono allora essere pensate come processi il cui vario- gramma (ma non necessariamente la funzione di covarianza) dipende solo dalla separazione u tra i punti.

1.7.2 I modelli gaussiani trasformati

Nella Geostatistica, così come nelle altre aree della statistica, sono molte- plici le cause che possono suggerire una trasformazione della risposta Y. In taluni casi, si ricorre ad argomenti qualitativi o alla semplice convenzione. Ad esempio, nell'applicazione considerata nell'ultimo capitolo, si è adottata una trasformazione logaritmica delle realizzazioni di Y , prassi usuale nel- l'analisi della concentrazione di clorolla: senza tale modica, non sarebbe possibile una chiara visualizzazione spaziale dei dati. La stessa trasforma-

zione logaritmica potrebbe rivelarsi utile per convertire eetti moltiplicativi in componenti additive, più facilmente trattabili. La radice quadrata è inve- ce utilizzata per stabilizzare la varianza delle osservazioni, sotto l'ipotesi di campionamento di Poisson. È quindi evidente che vi sono numerose trasfor- mazioni ammissibili, ognuna rispondente alle necessità peculiari di ciascun problema specico. La famiglia di Box-Cox costituisce una generalizzazione empirica del modello gaussiano, in cui la scelta di una particolare trasfor- mazione corrisponde alla stima di un parametro addizionale λ. Siano Y e Y∗ rispettivamente la risposta e la sua trasformazione, secondo il modello di Box-Cox (Box e Cox, 1964). Si ha allora che

Y∗ =    (Yλ− 1)/λ λ 6= 0 log(Y ) λ = 0. (1.28) Il caso più comune è comunque quello logaritmico, λ = 0, utilizzato per l'ana- lisi oggetto di questa tesi. Per concludere questo paragrafo, si forniscono quin- di alcune relazioni esplicite per tale trasformazione. Posto T (x) = exp(S(x)), in cui S(x) è un processo stazionario gaussiano con media µ e varianza σ2,

vale µT = exp(µ + 1/2σ2), σT2 = exp(2µ + σ2)(exp(σ2) − 1), ρT(u) = exp(σ2ρ(u)) − 1 exp(σ2) − 1 , (1.29)

in cui µT, σ2T e ρT(u)sono rispettivamente la media, la varianza (costanti) e

la funzione di correlazione del processo.

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