• Non ci sono risultati.

L'estetica bizantina e islamica 1 L'estetica e la bellezza nelle due culture

Nel documento L'ARTE DEL MOSAICO TRA ROMA E L'ORIENTE (pagine 70-83)

Un punto di partenza per comprendere sia l'estetica bizantina che quella islamica può essere Plotino, in questo senso il filosofo creò un programma preciso per l'arte: gli oggetti dovrebbero essere rappresentati senza imperfezioni, perfettamente illuminati, nello stesso piano prospettico e chiari in tutti i loro dettagli, senza le deformità causate dalle ombre e dalla prospettiva. Queste regole sono state applicate nell'arte cristiana delle origini e si sono mantenute in seguito nell'estetica medievale occidentale ed orientale, poiché sappiamo che l'arte islamica deve molto all'arte bizantina per questa ragione riflette ancora alcune di queste regole. Nella cultura aniconica islamica, in un primo momento, la pittura si è ispirata a Plotino e riguardava elementi concreti, ma poi le forme naturali sono state sostituite da forme geometriche o stilizzate, trascendendo i fenomeni materiali per realizzare una contemplazione più interiore che può raggiungere una comunione con la divinità stessa454.

Gran parte dell'estetica bizantina si fonda sull'eredità ellenistico-romana di cui Costantinopoli si fece custode per tutta la durata della civiltà bizantina, ciò è testimoniato dalle reminiscenze classiche presenti nella sua arte e dalla salvaguardia dei testi antichi. La filosofia estetica bizantina ha le sue basi nel pensiero stoico, gnostico e neoplatonico, tenendo ovviamente al centro i principi del cristianesimo455. La filosofia di Plotino ebbe una grande influenza su quella cristiana, il quale affermò che il fine dell'uomo è il cammino verso la conoscenza dell'Uno, il principio creatore, fino all'immedesimazione con esso in una sorta di deificazione. Princìpi in cui i cristiani, con la loro dottrina, potevano facilmente identificarsi456.

I primi pensatori cristiani sintetizzarono la filosofia antica con i saperi biblici, avendo come fine ultimo la gnosi, il sapere; seguendo la filosofia classica per cui non esista nulla di inconoscibile. Come scrisse Clemente d'Alessandria (ca 150-215 d.C.), uno dei Padri della Chiesa, la conoscenza cristiana è basata sulla fede e ha come obiettivo ultimo la salvezza, che può avvenire attraverso la conoscenza del principio creatore, cioè Dio, la gnosi suprema; la sapienza sarebbe dunque una forma di elevazione spirituale dell'uomo, unico essere in grado di raggiungere la salvezza in quanto dotato di un anima, che gli permette di pensare e di conoscere il mondo che lo circonda attraverso il ragionamento457. La differenza con il pensiero classico sta però nell'inconoscibilità di Dio, già Clemente lo affermava e nei secoli questo atteggiamento si andò sedimentando, delineando l'idea di un principio divino inconoscibile, a cui la mente umana non può accedere razionalmente; questo però non deve scoraggiare il fedele dal cercare di avvicinarsi il più possibile al sapere pur nell'impossibilità di descrivere il divino458. Pseudo-Dionigi l'Aeropagita (V o VI secolo) affermò chiaramente l'insufficienza del pensiero logico quando si tratta di comprendere ciò che è trascendente, delineando un netto confine tra due livelli di esistenza: quello terreno e quello celeste. Quest'ultimo era il mondo perfetto, il mondo delle idee dove ogni oggetto terrestre trovava il suo prototipo ideale, per comprendere quest'ultimo si deve rinunciare al sapere, liberando la mente da

454 W. Tatarkiewicz, Historia de la estética I. La estética antigua., Madrid 1987, p. 200; H. Belting, 2010 , p. 39 455

V.V. Byckov, L'Estetica Bizantina, traduzione di F. S. Perillo, Lecce 1983, pp. 12, 14-16

456

Ibidem, p. 30

457

V. Lazarev, Storia della pittura bizantina, traduzione di G. Fossati, Torino 2014 (prima edizione 1948-49, prima edizione in italiano 1967), p.22; V.V. Byckov, 1983, pp. 23-25

458

ogni condizionamento terreno per potersi dare all'esperienza mistica459. Ciò è possibile attraverso i Sacramenti (battesimo, eucarestia e cresima) ed attraverso la liturgia, intesa anche come piacere estetico ed emozionale (Filone di Alessandria)460 e piena di messaggi simbolici a partire dal luogo di culto, cui struttura e apparato decorativo richiamavano allusivamente al mondo ultraterreno461. Le immagini ed i simboli giocano un ruolo essenziale per il raggiungimento della Verità perché strumento di conoscenza fondamentale e mezzo indispensabile affinché l'Uomo possa intraprendere il cammino spirituale462; anch'esse sono un'esperienza visiva, estetica, e fanno parte del cammino che porta alla comunione con Dio in quanto sua manifestazione fisica nel mondo sensibile463. Rifacendosi alle idee di Plotino, per i Bizantini le immagini non andavano semplicemente "viste" ma andavano "lette", implicando una predisposizione interiore dell'anima che permettessse all'osservatore di andare al di là del valore formale dell'immagine e della sua eventuale somiglianza con la divinità464. La mimesis non è da intendersi in maniera superficiale, esse imitano l'idea- prototipo dell'oggetto rappresentato e quindi la sua essenza, tanto più l'immagine riesce ad avvinicarsi all'idea tanto più l'immagine è apprezzata perché permette di avvicinarsi a Dio465. Gli eruditi islamici avevano un'atteggiamento simile rispetto alla questione della mimesis ma adottarono soluzioni più radicali. Alhazen (matematico, astronomo e fisico che visse tra il X e l'XI secolo, periodo in cui si diffusero ampiamente le decorazioni geometriche) discute le immagini nel suo Kitāb al-Manāẓir ("Libro sulla teoria della visione"), un trattato sull'ottica: le immagini non si formano nell'occhio ma nell'immaginazione e appartengono ai sensi interiori, quindi ciò che noi vediamo sono immagini mentali. Ecco perché la riproduzione delle immagini del mondo sensibile sarebbe la produzione di "idoli" e sarebbe ingannevole, lo stesso affermò Platone ma le soluzioni adottate per alleviare questo problema sono diverse: per Platone un esempio di arte "giusta" è quella egizia, che riproduce l'idea di un oggetto o di un essere umano senza mimesis esattamente come fanno i bizantini, mentre i musulmani tendono maggiormente all'astrazione466.

L'arte sacra cristiana, in tutte le sue forme, inizia a delinearsi a partire dal VI secolo, non a caso è in questo periodo che venne eretta l'impressionante fabbrica di Santa Sofia; la quale, come altri luoghi di culto, concentra il programma iconografico sulla comunicazione del dogma cristologico secondo vari livelli di lettura467. Il livello più basico è in forma didattica ed accessibile a qualunque fedele, il secondo livello è di tipo simbolico e presuppone una conoscenza del linguaggio allegorico dei testi sacri. Il simbolo permette di effettuare un'associazione mentale tra l'immagine e l'idea quando non è possibile rappresentarla in maniera più concreta. Tale linguaggio simbolico si basa sulle pitture criptiche delle catacombe paleocristiane, che si avvalevano anche della tradizione letteraria classica468. Il simbolo è fondamentale per accedere alla Verità assoluta, in quanto il suo essere misterioso e allegorico lo rende adatto a spiegare ciò che non può essere spiegato né a parole né attraverso l'arte figurativa469. Un terzo livello attribuiva invece un'energia miracolosa e divina alle

459 V. Lazarev, 2014, p. 21; V.V. Byckov, 1983, pp. 47-48 460 V. Lazarev, 2014, p. 21; V.V. Byckov, 1983, pp. 57-63, 112 461 V. Lazarev, 2014, p. 25 462 V.V. Byckov, 1983, pp. 152-153 463 Ibidem, pp. 54-55 464 Ibidem, p. 100 465 V. Lazarev, 2014, p. 27 466 H. Belting, 2010 , pp. 42-43, 101, 103 467 V.V. Byckov, 1983; pp. 65-66, 70 468 Ibidem, pp. 71-72, 76-77 469 Ibidem, p. 145

immagini, assottigliando il confine tra la rappresentazione e l'oggetto stesso della rappresentazione, si diffusero ad esempio icone sacre "non create da mano umana" (acheiropoietos). Cristo, la Vergine o un santo erano realmente presenti nell'immagine e per questo aveva diversi effetti taumaturgici: toccare le icone poteva avere effetti curativi, ed inoltre rivestivano spesso il ruolo di palladi delle città di età ellenisitico-romana, proteggendone le mura dagli invasori.

Importante era il concetto di isomorfia, ovvero la raffigurazione della divinità doveva corrispondere a dei canoni precisi per essere considerata un'icona sacra. Tale canone prevedeva che l'immagine si ponesse a metà tra i due piani dell'esistenza, non era simile al mondo terreno ma nemmeno a quello spirituale; essendo riflesso sensibile del secondo le immagini avevano una composizione fissa e immutabile come lo è l'essenza dell'idea, il mondo metafisico, reso attraverso una similitudine deformata con il mondo terreno priva di connotazioni realistiche e avulsa dalle leggi fisiche, in cui spazio e tempo non esistono; per questo nell'arte bizantina non abbiamo proporzione nei corpi, profondità e concretezza nelle figure470. Nel pensiero di Gregorio di Nissa (335-394) si può trovare la base del pensiero estetico bizantino per quanto concerne l'arte figurativa, il quale a sua volta si fondava su idee filosofiche classiche tra cui quelle di Platone, Aristotele e Plotino. Per il filosofo l'immagine conteneva al suo interno l'idea (eidos) infusa nell'opera dall'artista, ma il rapporto di mimesis tra oggetto rappresentato e idea originaria non avrebbe nessuna connotazione negativa (a differenza di quanto affermava Platone) in quanto tutte contenti "l'immagine intellettiva" e manifestazione sensibile della divinità, il che permette di accedere alla conoscenza e ponendo l'arte (scultorea, pittorica o musiva) allo stesso livello della filosofia471.

Il mistico Ibn 'Arabi (1165-1240) espresse bene la differenza tra l'arte islamica e quella cristiana orientale nelle sue Rivelazioni meccane (al-Futūḥāt al-Makkiyya):

"I Bizantini hanno sviluppato l'arte della pittura alla perfezione perché, per essi, la natura singolare di nostro Signore Gesù, quale è espressa nella sua immagine, è il supporto per eccellenza della concentrazione sull'Unità divina."472

Rifacendosi anch'essi all'Uno plotiniano, e in generale dalle stesse basi grecoromane, i filsofi islamici arrivarono a conclusioni artistiche totalmente differenti: nel breve passaggio è esplicitata la differente concezione islamica dell'impossibilità di rappresentare l'unità, che viene scomposta in diversi frammenti ripetuti infitamente attraverso un utilizzo estensivo dell'ornamento. Il gusto che la civiltà islamica ha per la decorazione è qualcosa di profondamente spirituale e inseparabile dalla religione, come scrive Joaquin Lomba Fuentes:

"el Islam tiene en su misma médula una profunda y clara vocación por la belleza, con lo cual, el arte no es un añadido externo al contenido religioso ni una forma de dar culto y honrar a Dios sino una manera de vivir en profundidad la religión misma"473

Il concetto di bellezza è notorio che sia preminente nella filosofia estetica bizantina, ma è fondamentale anche i quella islamica. Essa è associata al concetto di "bene" o "buono"

470 V. Lazarev, 2014, pp. 27-28; V.V. Byckov, 1983; pp. 73-74; 169-170 471 V.V. Byckov, 1983, pp. 142-143, 154-155 472 T. Burckhardt, 2002, p. 50

473 J. Lomba Fuentes, El papel de la belleza en la tradición islámica en Anales de seminario de filosofia vol. 17, Madrid

(kalokagathia καλοκαγαθία), idea nata in epoca classica secondo cui alla perfezione esteriore è associata quella morale, la bellezza dell'anima riflette la bellezza corporea. Il termine greco è costituita dalle parole "bello" (kalos καλὸς) e "buono" (kagathos κἀγαθός), per i Greci la bellezza è collegata con le buone azioni, con la virtù, per tanto esiste una complementarità tra "bello" e "buono": la bellezza non può che essere buona e ciò che è buono è necessariamente bello474.

L'idea si associa alla pankalia, nata dagli stoici e che ha avuto una continuità nella teologia cristiana e islamica. Posidonio ha scritto:

"Il mondo è bello, e ciò risulta evidente per la sua forma, il suo colore e la varietà degli astri nel mondo, il mondo è sferico e questa è la migliore di tutte le forme ... e il suo colore è bello ... ed è bellissimo per la sua grandezza. In realtà, è bello tutto ciò che contiene tutte le cose della natura, come un animale e un albero. Anche questi fenomeni completano la bellezza del mondo"475

Il mondo che Dio ha creato con la sua bontà è in sostanza bello, perfetto e ordinato; pertanto, se il mondo è la creazione di Dio e Dio ama la bellezza, nulla al mondo può essere brutto. Ciò significa che Dio stesso è a sua volta sia bello che buono, le radici di questo parallelismo sono profonde e si trovano nella Grecia antica, la cui filosofia era molto ben conosciuto dagli studiosi arabi.

Nella cultura bizantina il bello è una forma di conoscenza in quanto attrae l'uomo verso il divino, il quale testimonia la sua esistenza attraverso la bellezza e l'armonia della natura476. Qui si apre un conflitto specialmente per quanto riguarda la sfera artistica, secondo una corrente di pensiero la bellezza fisica del corpo riflette quella interiore per tanto anche la rappresentazione artistica dev'essere gradevole allo sguardo; un'altra corrente invece ritiene la bellezza esteriore ingannevole e fonte di pensieri anche peccaminosi, che distraggono da quella che è la perfezione interiore e non dando un vero nutrimento all'anima477.

Secondo Pseudo-Dionigi la bellezza divina assoluta è anche forza creatrice, è origine di tutto ma anche fine ultimo dell'esistenza, in contrapposizione al "brutto" che è sinonimo del "male"478. Per i primi pensatori cristiani, come Clemente d'Alessandria, la bellezza del corpo non doveva essere offuscata dal lusso e dall'opulenza, considerati un inganno; pensiero coerente con il cristianesimo delle origini, che aveva presa soprattutto all'interno dei ceti meno abbienti479.

L'arte e la bellezza hanno un importante significato religioso anche nell'islam in quanto lo stesso profeta Maometto disse: "Dio è bello e ama la bellezza", ed è per questo che l'uomo deve cercare l'abbellimento di se stesso e delle opere che egli crea480.Diversi sufi hanno trattato il concetto di bellezza, ibn Abi Haŷala di Tlemcen (mistico letterario, giurista e algerino vissuto nel XIV secolo)481 affermò che la bellezza è la prima felicità dell'uomo, e anche un mezzo importante per raggiungere Dio stesso. Ma questo godimento della bellezza non è qualcosa di superficiale, dobbiamo fare lo sforzo di guardare alla bellezza formale (bellezza manifesta: zāhir) cercando la

474 V.V. Byckov, 1983, p. 90 475 W. Tatarkiewicz, 1987, p. 203 476 V.V. Byckov, 1983 pp.79, 84 477 Ibidem, pp. 92-93, 97 478 Ibidem, pp. 95, 103 479 Ibidem, pp. 90-91 480 J. Lomba Fuentes, 2000, p. 42

481 J. M. Puerta Vilchez, El amor supremo de Ibn al-Jatib en Actas del Ier Coloquio Internacional sobre Ibn al-Jatib:

bellezza intrinseca (bellezza nascosta: bāṭin) con tutti gli strumenti che l'uomo possiede. Similmente Ibn Hazm di Cordova (filosofo e teologo del secolo X-XI) scrisse che la bellezza interiore deve manifestarsi esternamente, deve essere percepita nell'anima non solo attraverso un'impressione sensoriale482.

Il detto principio di kalokagathia, bellezza e bontà, è traslato dai Greci (dai pitagorici) all'ordine del cosmos, che è ordinato nei suoi armoniosi movimenti astronomici in modo completamente perfetto e funziona perfettamente. La bellezza è armonia di tutte le cose insieme, è symmetria: con i pitagorici nasce il parallelo tra bellezza e simmetria, questo significa la relazione armonica tra le parti attraverso la proporzione, la matematica, la regolarità e un'adeguata distribuzione degli elementi. La bellezza è una questione di numeri e misura 483.

Gli Stoici affermarono che non c'è solo bellezza nella totalità di quella esistente, ma anche in quella particolare, perché il mondo è fatto senza difetti. Insieme alla simmetria, che è la bellezza assoluta, gli Stoici ci parlano del decorum, la bellezza relativa e particolare: tutte queste parti della bellezza individuale devono aver un posto nella totalità, nella simmetria, cercando un accordo tra gli elementi. Inoltre, la bellezza (generale o particolare) non ha alcuna correlazione con la sua utilità ed esiste per sé stessa484. I musulmani mettono in pratica questo problema, che si esprime nella decorazione o negli elementi architettonici che non sono necessariamente "utili", fanno parte dell'opera generale ed esistono con un ruolo più simbolico che pratico; ciò che è considerato un semplice ornamento in senso occidentale, nel mondo arabo è un'opera d'arte in sé, è un simbolo e una rappresentazione del mondo. La differenza tra arte ed arte applicata non è contemplata nel mondo arabo, come scrive Belting: "ogni utensile è di per sé nobilitato dalla decorazione geometrica, che rappresenta un'estetica artistica universalmente valida, e non è sminuito dalla sua funzione d'uso"485.

La filosofia araba è profondamente legata agli insegnamenti degli antichi, la sua nascita è dovuta alla continuità culturale tardoantica che si presentò sottoforma anche di continuità amministrativa durante il dominio omayyade, lasciando intatte i sistemi educativi romani precedenti permettendo così il passaggio degli insegnamenti alla cultura islamica emergente e che venne mantenuta anche dalla dinastia Abbaside486. La civiltà islamica fu sempre molto attenta alla conoscenza e alla ricerca nei campi della scienza, specialmente nella fisica, nell'astronomia e nella matetmatica; molte sono le opere giunte in Europa a partire dalla Bagdad del IX secolo, dove ebbe luogo un vero e proprio Rinascimento culturale. Il califfo al-Manṣūr fondò nella capitale abbaside una "Casa della Saggezza" nell'830, un luogo dedicato alla ricerca e alla traduzione dei classici greci che poi giunsero in Occidente487, tra cui le ricerche sui princìpi di Euclide che portarono alla creazione di teoremi non euclidei che giunsero a Roma sul dinire sel XVI secolo488.

Il legame con la matematica avvicina le tesi islamiche ai pitagorici, secondo i quali tutto è spiegabile attraverso la matemica, cui uso (specialmente attraverso la musica e la poesia) è un modo per purificare l'anima e avvicinarsi al divino, alla verità e al principio creativo unico. La matematica aristotelica è fondamentale nell'estetica e nell'arte islamica, è l'unico modo permesso al fedele di

482 J. Lomba Fuentes, 2000, pp. 38-40 483 W. Tatarkiewicz, 1987, pp. 87, 88 484 W. Tatarkiewicz, 1987, 197-199 485 H. Belting, 2010, p. 48 486 A. Uscatescu, 2017, p. 416 487 M. Keene, S. Kaoukji, 2010, pp. 199, 200 488 G. Curatola, G.Scarcia, 2001, p. 39

poter rappresentare Dio e la sua creazione che sono legate al concetto di infinito. Il concetto di infinito, di eternità, è riflesso nella produzione artistica aniconica, specialmente geometrica, in cui il modulo si ripete virtualmente senza fine ma è tagliato volontariamente da una cornice che suggerisce un insieme più ampio; il motivo resta dunque, in qualche modo, incompiuto perché ciò che l'uomo può rappresentare è solo una parte di questo infinito in quanto essere limitato, che non può rappresentare né comprendere l'eternità nella sua completezza489. Come affermò Grabar, tale forma di rappresentazione astratta non è solo una simbolica rappresentazione semplificata della realtà, è bensì una realtà essa stessa, resa attraverso forme astratte e geometriche senza corrispondenza naturale, senza mimesi. Una forma di spiegazione del reale come qualunque formula matematica però resa concreta attraverso l'arte, la composizione è regolata da princìpi matematici esattamente come lo è l'universo490. Belting spiega la differenza tra la concezione geometrica islamica ed europea: "nella cultura araba possiamo pertanto parlare di una geoemetria rappresentata, in quanto cioè rappresentazione di leggi cosmiche e non soltanto ornamento o tecnica, a differenza della geometria che rappresenta propria dell'arte occidentale, la quale era un modo per rappresentare immagini"491.

Sempre Grabar afferma che l'estetica astratta dell'Islam può essere intesa attraverso due princìpi: uno è riassunto nella frase li-’llah al-baqı("Ciò che rimane è Dio" o "per Dio"), sta a significare che solo Dio può rendere qualcosa di permanente e nessuna creazione umana può riflettere la realtà, la permanenza divina è provata dall'irrealtà del visibile. La seconda è l'atomismo, un esempio di simbolismo che fa parte della teologia ash'arita e concepisce il mondo come un insieme di atomi, dette tracce di Dio, che producono cambiamenti nel mondo la cui causa risale alla volontà del Creatore. L'assunto è derivato dalla filosofia greca e afferma che ciascuna cosa è formata da una combinazione di distinte unità che mutano sempre e non restano ferme, l'unica cosa immobile e immutabile può essere solo Dio492. Tale principio si riflette sia nell'uso della scomposizione geometrica che nell'uso delle muqarnas: si tratta di una sorta di piccole celle o nicchie che si riproducono come un alveare nei pennacchi delle cupole, esse hanno un carattere sia statico che mobile, pur essendo un elemento immobile sembrano cambiare forma con la luce del sole e, come nel motivo geometrico, riflettono il movimento delle sfere celesti493.

Alla base c'è sempre l'idea di symmetria greca: la vera bellezza nell'unità perché il mondo è l'unità, l'ordine e l'armonia di elementi diversi. L'arte deve rendere visibile l'unità attraverso forme fisiche in modo che si possa intendere l'eternità e l'infinito, ordine e armonia sono quindi sono concetti fondamentali dell'arte bizantina e islamica per comunicare questo messaggio di unità del mondo494. Esiste un principio sufi che ci parla di questo, in base al quale l'Unità di Dio si riflette nel mondo attraverso l'armonia, ed ogni forma della composizione concorre a creare una unità compostiva armonica vale a dire "unità nella molteplicità" (alwalda fil-kalra)e la "molteplicità nell'unità" (al- kalra filwahda). Anche i filosofi bizantini si sono espressi al riguardo: secondo Basilio il Grande (330-379 d.C.) la bellezza aveva a che fare con la proporzione delle parti, l'esecuzione equilibrata di un'opera condizionerebbe lo spettatore che allo stesso modo riuscirebbe a trovare un equilibrio

489

M. Keene, S. Kaoukji, 2010, p. 199; L. Mecarelli Stufera, 2008, pp. 54-55

490

T. Burckhardt, 2002, pp. 81-82; O. Grabar, 1973, p. 202; J. Lomba Fuentes, 2000, pp. 43-46

491 H. Belting, 2010, p. 121 492

O. Grabar, 1973, p. 203; M. Abdul Hye, Ph.D, Ash'arism in Philosophia Islamica,

www.muslimphilosophy.com/hmp/14.htm 493 T. Burckhardt, 2002, pp. 82-83

494

interiore dell'anima495, in questo l'immagine sarebbe più efficace della parola perché riesce a

Nel documento L'ARTE DEL MOSAICO TRA ROMA E L'ORIENTE (pagine 70-83)