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ESTETICHE A CONFRONTO DAL POSTMODERNISMO AL NEOMODERNISMO: VARIAZIONI NARRATIVE

Come si è cercato di delineare brevemente nell’introduzione, la narrativa spagnola contemporanea sul maquis si propone di riscattare, in un’ottica memorialistica e dal punto di vista della posmemoria, un insieme di fatti storici passati sotto silenzio negli ultimi decenni.

In quanto discorso sociale, questa letteratura cerca un’approssimazione al passato recente spagnolo della Guerra Civile e della dittatura: anche a livello teorico, dunque, il trattamento del passato si configura, nelle opere degli autori facenti parte del corpus della ricerca, come una delle tematiche di analisi principali, attorno alla quale vengono organizzati e vertono i romanzi.

Questo cambio di sensibilità nei confronti del trattamento della materia storica affonda le proprie radici, tra le altre cose, nel dibattito teorico circa l’appartenenza o meno di queste opere all’episteme postmoderna, a quella dominante culturale che, secondo Remo Ceserani, si inaugura negli anni Cinquanta del Novecento, momento in cui, a suo avviso, si può rintracciare “uno dei discrimini forti, delle frontiere temporali oltre le quali nulla è stato più simile del tutto a come era prima”1.

Sempre secondo Ceserani, un importante fenomeno che si riscontra nei modelli culturali ascrivibili al postmodernismo riguarda proprio l’interpretazione del passato, e la discussione sull’epistemologia della Storia, che noi conosciamo in quanto prodotto culturale e testuale. Ciononostante, e poiché anche uno dei più importanti teorici del postmoderno, Fredric Jameson, afferma nel 2007 che “questo cosiddetto stile “postmoderno” divenne in breve sorpassato”2

, è a mio avviso necessario, prima di approfondire a livello di analisi testuale i romanzi sul maquis presentati nell’introduzione, provare a fissare alcune coordinate teoriche che, senza la pretesa di esaurire l’argomento o di esprimere un giudizio definitivo su di esso, possano aiutare ad inquadrare l’estetica a cui le opere scelte fanno riferimento.

Per questo motivo ritengo imprescindibile, prima di affrontare lo studio di alcune delle tematiche precipue della narrativa sul maquis, partire dalla presentazione e dallo

1

Remo Ceserani, Raccontare il postmoderno, Torino, Bollati Boringhieri, 1997, p. 15.

2

Fredric Jameson, “Prefazione all’edizione italiana” in Id., Postmodernismo ovvero la logica culturale

del tardo capitalismo, trad. it. Massimiliano Manganelli, Roma, Fazi Editore, 2007, pp. VII-IX [VII].

Bisogna in ogni caso segnalare che Jameson, pur essendo forse il principale teorico del postmodernismo, fu sempre scettico nei confronti di questa sensibilità culturale, scetticismo dovuto, in parte, all’impostazione marxista dei suoi studi (Cfr Ivi, p. IX).

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studio dell’episteme e dell’estetica postmoderne, per arrivare a tracciare un primo e per forza di cose incompleto resoconto di quel nuovo paradigma che negli ultimi anni ha fatto la sua comparsa sulla scena del dibattito critico internazionale e che viene denominato, da pensatori come ad esempio Gonzalo Navajas o Romano Luperini, “neomodernismo” o “tardomodernismo”.

Poiché qualsiasi compendio di natura teorica sulla sensibilità letteraria postmoderna che possa essere avanzato in questa sede rischierebbe di risultare incompleto e superficiale, mi limiterò a presentare e discutere tanto il paradigma estetico del postmodernismo quanto quello, ancora in via di definizione, del neomodernismo, mantenendo come argomento centrale di analisi il rapporto che si instaura tra i due. Mi soffermerò quindi, in seguito ad alcune necessarie premesse, sulle caratteristiche rintracciabili nei romanzi oggetto di studio che permangono inalterate o viceversa cambiano al mutare della dominante culturale, incentrando la mia proposta teorica su quegli argomenti di importanza capitale nel lavoro di analisi testuale, ovvero, principalmente, il trattamento e la ricostruzione del passato storico recente spagnolo e la ricreazione narrativa di quel mondo empirico portata a termine dagli autori segnalati.

Nel tentativo di fornire una coerenza strutturale al lavoro che mi propongo di svolgere, affronterò in questo capitolo, quasi esclusivamente, le questioni legate al dibattito critico letterario, riservandomi di compiere nei capitoli successivi l’indagine in un’ottica più marcatamente interdisciplinare, per consentire un approccio all’analisi dei testi che tenga conto del campo di studi scelto senza però isolarlo dalla propria koinè culturale. Allo stesso modo, le questioni teoriche più specifiche riguardanti i diversi momenti dell’analisi testuale verranno trattate e presentate nelle parti introduttive dei capitoli stessi.

L’estetica postmoderna

La dominante culturale del postmodernismo – che Ceserani fissa a partire dagli anni Cinquanta, ma su cui gli studiosi non hanno trovato tuttora un accordo – ha occupato, come questione centrale, il dibattito critico internazionale degli ultimi decenni. Il filosofo Jean-François Lyotard, nel 1979, dà una prima e generica definizione del significato dell’aggettivo “postmoderno”, che a suo avviso denota “lo

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stato della cultura dopo le trasformazioni subite dalle regole dei giochi della scienza, della letteratura e delle arti a partire dalla fine del XIX secolo”3

.

L’evidente cambio di statuto dell’episteme, su cui mi soffermerò brevemente nel capitolo successivo per quanto riguarda le ripercussioni che questo ha sulla storiografia, ha come primo ed indubbio risultato il riconoscimento del fatto che “nella società e nella cultura contemporanee, società postindustriale, cultura postmoderna, […] la grande narrazione ha perso di credibilità”4

. Lyotard, dunque, fa coincidere il mutamento di sensibilità che avviene all’incirca nella seconda parte del XX secolo anche con i processi economici e di produzione industriale, allo stesso modo di un altro dei grandi studiosi del postmodernismo, Fredric Jameson, il quale segnala che la postmodernità viene a coincidere, storicamente, con la terza fase del capitalismo: la globalizzazione.

Anche Remo Ceserani si trova concorde nel riconoscimento del fatto che i modi di produzione industriale che si sviluppano nella seconda metà del Novecento hanno importanti ripercussioni in diversi ambiti della nostra società, tra i quali il sistema della comunicazione culturale, trovandosi perciò d’accordo con il filosofo Gianni Vattimo, per cui “la «mediatizzazione» della nostra esistenza ci mett[e] di fronte a (possibilità di) trasformazioni molto radicali nel modo di vivere la soggettività, e a eventi che rappresentano vere e proprie svolte nel «senso dell’essere»”5. Seguendo la tesi precedentemente esposta, quindi, e poiché i modi di produzione globalizzati hanno ripercussioni anche sull’industria culturale e comunicativa, Vattimo aggiunge che il termine postmoderno ha un suo senso peculiare proprio in quanto la società in cui viviamo è una società anzitutto globalizzata nelle forme della comunicazione e influenzata dall’opinione espressa dai mass media, il cui esito, secondo Maurizio Ferraris – pur fortemente in disaccordo, per quanto riguarda le posizioni più recenti, con Vattimo –, “è stato il populismo mediatico, un sistema nel quale (purché se ne abbia il potere) si può pretendere di far credere qualsiasi cosa”6. L’indebolimento della

soggettività esperito nel postmoderno e la reclamata validità di ogni punto di vista espresso sul mondo porta, come vedremo, ad un indebolimento tanto della percezione quanto della rappresentazione della realtà empirica, e sottrae un principio di autorità alle proposte interpretative che possono essere avanzate in diverse sedi, siano esse culturali o politiche.

3

Jean-François Lyotard (1979), La condizione postmoderna, trad. it. Carlo Formenti, Milano, Feltrinelli, 2007, p. 5.

4

Ivi, p. 69.

5

Gianni Vattimo (1989), La società trasparente, Milano, Garzanti, 2007, p. 3.

6

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A livello letterario, uno dei primi riscontri della mediatizzazione culturale è, a mio avviso, quello che Ceserani etichetta come “un piacere quasi erotico di immergersi nelle forme e negli stili, di mescolare nei testi letterari, nelle costruzioni architettoniche, nei pezzi musicali e filmici generi e modi, di incorporare il Kitsch, le immagini e le movenze della cultura popolare”7

, e, di fatto, la maggior parte dei critici del postmodernismo sono concordi nel riconoscimento della centralità della fluidità tra i generi letterari, della commistione tra cultura di élite e di massa, insomma, della dissolvenza sempre più accentuata del confine tra le due culture precedentemente menzionate.

L’ibridizzazione di forme e generi dà vita ad opere difficilmente classificabili e fa sì che il postmodernismo sia più volte percepito, come afferma ad esempio la studiosa Linda Hutcheon, come un’etichetta estremamente provocatoria, fatto dovuto, per l’appunto, alla confusione e all’indeterminatezza che vengono attribuite al termine stesso. Per questo motivo, molti critici ed autori tendono a sottolineare che è necessario intendere il postmodernismo non tanto come uno stile o una corrente artistica più o meno facilmente delineabile e identificabile, quanto come una dominante culturale che può racchiudere al proprio interno opere dalle caratteristiche a volte estremamente difformi ma riconducibili, in ogni caso, ad una sensibilità comune: Umberto Eco ad esempio, nella “Postilla” al romanzo Il nome della rosa, afferma di credere che “il post- moderno non sia una tendenza circoscrivibile cronologicamente, ma una categoria spirituale, o meglio un Kunstwollen, un modo di operare”8.

I critici letterari coincidono nell’affermare che il postmodernismo sia, nelle parole di Linda Hutcheon, “a disparate, contradictory, multivalent, current cultural phenomenon”9

: la sua natura dinamica, contraddittoria e fluida porta, tra le altre cose, al riconoscimento del fatto che l’epoca della postmodernità non sia caratterizzabile come un’epoca con una sua propria entità ontologica fissa, ma sia piuttosto una proposta di periodizzazione guidata dal dominio della fluidità, dell’incertezza e di una mutabilità cangiante che si riflette in differenti ambiti della nostra realtà empirica.

La qualità sostanziale del postmodernismo, tanto a livello letterario quanto a livello delle altre manifestazioni artistiche, sembra essere quindi l’inafferrabilità, l’impossibilità di fissarne con certezza determinate caratteristiche che siano

7

Remo Ceserani, Raccontare il postmoderno, cit., p. 31.

8

Umberto Eco (1983), “Postilla” in Id. (1980), Il nome della rosa, Milano, Edizione Euroclub Italia, 1988, pp. 507-534 [529].

9

Linda Hutcheon, A Poetics of Postmodernism. History, Theory, Fiction, Londra-New York, Routledge, 1988, p. 13.

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imprescindibili ed immutabili; e giacché “no es simplemente una tendencia, sino toda una visión del mundo – una episteme que lucha contra los sistemas racionalistas y las ideas heredadas e impuestas”10

, appare indiscutibile la valenza anche utilitaristica, nell’ambito della critica letteraria, del concetto del postmoderno, poiché questo, come già ricordava Jameson, ha reso possibile presentare, benché in modo impreciso e parziale, un gruppo di fenomeni tra loro sconnessi che però possono così venire indagati in maniera se non organica per lo meno sufficientemente coerente.

Questo tratto peculiare dell’arte e dell’impostazione critica postmoderne, se da una parte consente di tenere insieme prodotti artistici tra i più disparati – poiché, se “no todo el arte actual puede ser descrito como posmodernista, […] todo al final remite al posmodernismo, por semejanza o por oposición”11

– allo stesso tempo presta il fianco alle critiche dei numerosi detrattori del postmodernismo, per i quali il fatto che questa etichetta possa estendersi a comprendere fenomeni tanto distanti tra loro da apparire quasi in contraddizione si rivela uno dei maggiori punti deboli del tentativo di portare a termine una teorizzazione coerente di questa dominante culturale.

Il riconoscimento della contraddittorietà intrinseca ai fenomeni ascrivibili al postmodernismo è forse, ciononostante, l’unica possibile soluzione per cercare di definire, studiare e comprendere in maniera feconda i riflessi artistici dell’epoca contemporanea, ed uno dei più esaustivi tentativi di descrizione rimane, a mio avviso, quello offerto da Linda Hutcheon nell’opera A Poetics of Postmodernism, nella cui prefazione si afferma che “posmodern is […] a problematizing force in our culture today: it raises questions about (or renders problematic) the common-sensical and the “natural”. But it never offers answers that are anything but provisional and contextually determined (and limited)”12

.

La sfida che l’opera d’arte postmoderna pone si concretizza in prima istanza nel fatto che, come segnala ancora la Hutcheon, sono le istituzioni – le università, le accademie, i musei, i luoghi deputati alla canonizzazione della cultura “alta” – ad essere messe sotto accusa o, meglio, a perdere di credibilità in quanto investite da un’erosione della propria precedente autorità.

La messa in questione delle grandi narrazioni che Lyotard individua come pietre angolari della cultura occidentale di stampo positivista fino al XX secolo, e delle istituzioni preposte a propagandarle e preservarle, ha come risultato primario, come

10

María del Pilar Lozano Mijares, La novela española posmoderna, Madrid, ArcoLibros, 2007, p. 9.

11

Ivi, p. 96.

12

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abbiamo accennato, la crescente commistione tra generi letterari accettati in quanto parte della cultura di élite, accademica, e quelli appartenenti alla cultura popolare, poiché è appunto riconosciuto come tratto tipicamente postmoderno la trasgressione dei limiti precedentemente accettati e fissati, e delle frontiere culturali e sociali del passato. Di fatto, in questo contesto è lo statuto dell’opera d’arte che cambia e “diventa costitutivamente ambiguo: l’opera non mira ad una riuscita che le dia il diritto di collocarsi entro un determinato ambito di valori; […] la sua riuscita consiste anzi, fondamentalmente, nel rendere problematico questo ambito, oltrepassandone […] i confini”13

. Ciò che risulta da questa prospettiva, da questo mutamento culturale, ciò che insomma nella postmodernità dona il senso e il valore ad un prodotto artistico è proprio la messa in discussione dello statuto dell’opera: a questo proposito, Vattimo parla di un’esplosione dell’elemento estetico che, attraverso la commistione dei generi letterari, dell’uso dell’ironia e dello sfruttamento quasi ossessivo della pratica della citazione ha come risultato una frammentazione artistica che permette l’abbattimento dei confini imposti dalle consuetudini.

La commistione tra i generi e l’infrazione delle barriere tra la cultura di élite e quella di massa è, peraltro, uno dei tratti dell’estetica postmodernista che a mio avviso maggiormente si può riscontrare in alcune delle opere oggetto di questa ricerca: la costruzione che risente di quella tipica del romanzo giallo del testo Donde nadie te encuentre di Alicia Giménez Bartlett14, ad esempio, o il cosiddetto immaginario “rosa” individuato da María del Pilar Lozano Mijares nel romanzo spagnolo postmoderno che pervade molte delle pagine di Inés y la alegría di Almudena Grandes15, o ancora la natura ibrida delle medesime e di altre opere, che sono allo stesso tempo oggetti di studio accademico ma anche, e soprattutto, grandi successi di pubblico che sfruttano le

13

Gianni Vattimo (1985), La fine della modernità, Milano, Garzanti, 1999, pp. 61-62.

14

Non bisogna dimenticare che Alicia Giménez Bartlett deve la propria fama tra il grande pubblico alla serie di romanzi gialli aventi come protagonista la detective Petra Delicado, e che il genere poliziesco ha assunto, nella letteratura spagnola della seconda metà del Novecento, una sua peculiare centralità, come testimoniano anche, tra le altre, le opere della serie di Pepe Carvalho di Manuel Vázquez Montalbán. A titolo di esempio, cfr. il capitolo “Spagna in nero” (pp. 266-268) in Gabriele Morelli e Danilo Manera,

Letteratura spagnola del Novecento. Dal modernismo al postmoderno, Milano, Bruno Mondadori, 2007,

e il capitolo “Intriga y denuncia: los géneros negros” (pp. 693-697) in Jordi Gracia e Domingo Ródenas,

Historia de la literatura española: Derrota y restitución de la modernidad, 1939-2010, Barcelona,

Crítica, 2011.

15

Come affermano Gabriele Morelli e Danilo Manera, “Almudena Grandes […] si vede catapultata alla notorietà da un romanzo che crea scandalo, Le età di Lulù (1989), storia di formazione dalle tinte morbosamente erotiche” (Gabriele Morelli e Danilo Manera, Letteratura spagnola del Novecento. Dal

modernismo al postmoderno, cit., p. 262): le tematiche e le forme espresse in questo esordio, pur

perdendo centralità nell’opera dell’autrice, rimangono in essa, nonostante ormai si possa dire che esse restino relegate a posizioni di secondo piano.

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convenzioni di entrambi gli ambiti, stanno a certificare l’appartenenza di questi prodotti letterari, per lo meno ancora in parte, alla sensibilità artistica postmoderna, nella quale secondo la Hutcheon si può rintracciare un tentativo di sfida all’industria culturale che parte dal suo stesso cuore.

Prima di tracciare a grandi linee una panoramica delle principali occorrenze estetiche del postmoderno, però, è necessario sottolineare che la questione della datazione dell’episteme e delle manifestazioni artistiche legate alla postmodernità accennata in precedenza si complica ulteriormente nel caso della letteratura spagnola poiché, come segnala Lozano Mijares, in Spagna si sviluppa una società postmoderna a partire dal periodo della Transición – e quindi dalla seconda metà degli anni Settanta – mentre, per quanto riguarda la letteratura, è il romanzo di Eduardo Mendoza La verdad sobre el caso Savolta, del 1975, a inaugurare questa sensibilità.

La postmodernità (la cui definizione viene inserita per la prima volta nel dizionario della Real Academia Española solo nel 200116), secondo la studiosa, sorge tardivamente nella cultura e nella società spagnole, quasi trent’anni dopo l’origine che vi attribuisce Ceserani, quasi venti rispetto alla datazione suggerita da Jameson17, e solo un decennio prima del momento in cui, sempre secondo Ceserani, si assiste all’ultima fase del postmodernismo, che prende le sue mosse negli anni Ottanta e nella quale il medesimo comincia ad esaurire la propria spinta innovativa e antitradizionalista per iniziare a diventare di maniera.

Per questo motivo, bisognerà ricordare che l’impulso propulsore del postmodernismo, all’interno della letteratura spagnola, si concretizza in un momento successivo rispetto al resto del mondo occidentale, ma anche questa periodizzazione differente da quella già estremamente complessa e dibattuta che concerne il postmodernismo europeo e americano si complica ulteriormente, in ambito peninsulare, con l’apparizione sulla scena letteraria nazionale della cosiddetta “Generación Nocilla”, che deve il suo nome al romanzo di Agustín Fernández Mallo, Nocilla Dream, del 2006. Nel momento della pubblicazione, l’opera (primo libro di una trilogia) è salutata da diversi critici come “la primera plasmación integral e inequívocamente postmoderna de

16

Cfr. María del Pilar Lozano Mijares, La novela española posmoderna, cit., p. 8.

17

“In ambito culturale, […] la precondizione va cercata […] nelle gigantesche trasformazioni sociali e psicologiche degli anni Sessanta, che, a livello di mentalités, spazzarono via buona parte della tradizione” (Fredric Jameson, Postmodernismo ovvero la logica culturale del tardo capitalismo, cit., p. 16).

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la literatura española”18, adducendo a motivo di questa periodizzazione il fatto che “la

posmodernidad […] no ha tenido una gran acogida en nuestro país. Ahora, cuando en otras latitudes se considera superada, aquí se manifiesta literariamente, y el público le ofrece una buena acogida”19

. Inoltre, i tratti che vengono attribuiti da Pulido Tirado alla Generación Nocilla20 appaiono come una mera riproposizione, con un ritardo di alcuni decenni rispetto al resto delle letterature occidentali e alla stessa critica in ambito spagnolo sul fenomeno, dell’episteme e dell’estetica postmoderne. Per questo motivo, pur ritenendo necessario rendere brevemente conto della presenza di queste posizioni critiche – le quali esprimono con convinzione non solo la pervivenza, nella letteratura spagnola, di un postmodernismo originario, bensì la sua insorgenza in quest’ultimo decennio –, coincido con María Luisa Lázaro nel ritenere queste opinioni un evidente anacronismo poiché, come segnala Lázaro,

si la “novela” es postmoderna, y ésa parece haber sido la etiqueta bajo la cual el autor, o los críticos, ha querido situarla, pertenece obviamente al pasado de la literatura. […] Por supuesto que es lícito instalarse en la postmodernidad ejerciendo el derecho inalienable a la libertad creativa, pero pretender que en el año 2006 al hacerlo se está dando un salto en el vacío es pretender que ignoremos una parte importante de la literatura que se ha estado escribiendo durante medio siglo y eso no me parece serio21.

Per quanto riguarda invece il cambio di sensibilità estetica denominato neomodernismo, ci troviamo di fatto in una situazione di quasi totale sincronia tra la cultura e la letteratura spagnole e quelle europee e americane, nonostante, ancora una volta, ci si trovi a fare i conti con proposte di periodizzazione che variano a seconda dello studioso che le avanza. In ogni caso, come vedremo nel paragrafo successivo, vorrei prendere come termine di riferimento, tanto per quanto riguarda l’ambito della critica italiana che quello della critica spagnola, la data simbolo dell’11 settembre, come segnalano Romano Luperini nel testo La fine del postmoderno e Wu Ming in New Italian Epic e anche, tra gli altri, Juan Carlos Cruz Suárez, che lega il cambio in atto nella narrativa attuale alle questioni inerenti alla rielaborazione della memoria storica nel romanzo, affermando che “a lo largo de lo diez últimos años ha ido emergiendo una

18

Genara Pulido Tirado, “Narrativa española última: contra la memoria histórica y por un mundo global” in Hans Lauge Hansen, Juan Carlos Cruz Suárez (a cura di), La memoria novelada, cit., pp. 215-231 [222].

19

Ivi, pp. 215-216.

20

“Cosmopolitismo, declive del nacionalismo literario, visión fragmentaria de la realidad, fuerte ruptura

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