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4. Le fondazioni di diritto privato e l’istituto islamico del waqf

4.1. L’istituto della fondazione

4.1.5. Estinzione e trasformazione

Nonostante il legislatore tenda ad evitare l’intromissione nella gestione delle fondazioni, l’art. 26 cod. civ. stabilisce che «l’autorità governativa può disporre il coordinamento dell’attività di più fondazioni ovvero l’unificazione della loro amministrazione, rispettando, per quanto è possibile, la volontà del fondatore».

18 Come sancito dagli artt. 5 e 6 del d.P.R. n. 361/2000, tali accertamenti sono effettuati dalla Prefettura, dalla

Regione o dalla Provincia autonoma.

19 Cod. civ., art. 25. 20

S. De Götzen, op. cit., pp. 98-99.

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L’estinzione dell’istituto sopraggiunge - oltre che per le eventuali cause riportate nell’atto costitutivo ovvero nello statuto - nel momento in cui lo scopo è stato raggiunto o è divenuto impossibile22. La Prefettura, la Regione o la Provincia autonoma competente accertano, su istanza di qualunque interessato o anche d’ufficio, l’esistenza di una delle sopracitate cause e comunicano l’eventuale estinzione della persona giuridica agli amministratori23, ai quali, da quel momento, viene fatto divieto di intraprendere nuove operazioni24.

I beni residui della fondazione estinta vengono devoluti secondo le eventuali indicazioni riportate nello statuto e nell’atto costitutivo; in mancanza di tali riferimenti facoltativi, l’autorità governativa provvede ad attribuire i beni residui esclusivamente a enti aventi finalità analoghe a quelli della fondazione venuta meno25.

Tuttavia, se sia sopravenuta la scarsa utilità dello scopo ovvero l’insufficienza del patrimonio l’autorità competente, anziché dichiarare l’estinzione della fondazione, può stabilirne la trasformazione, sempre allontanandosi il meno possibile dalla volontà del fondatore26.

Come sottolinea De Götzen, nonostante l’oggetto della modificazione sia di norma lo scopo della fondazione, la giurisprudenza ha previsto che la modificazione stessa possa coincidere altresì con il mutamento della sede o la fusione con altra fondazione analoga27. Tali modifiche non sono però consentite nel caso in cui «i fatti che vi darebbero luogo sono considerati nell’atto di fondazione come causa di estinzione della persona giuridica e di devoluzione

22

Cod. civ., art. 27, co. 1.

23 D.P.R. n. 361/2000, art. 6, co. 1. 24

Cod. civ., art. 29.

25 Ibidem, art. 31. 26 Ibidem, art. 28 co. 1.

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dei beni a terze persone»28 ovvero qualora la fondazione in questione sia destinata a vantaggio di una o più famiglie29.

4.1.6. Il riconoscimento della personalità giuridica

Anche le fondazioni, come le associazioni, acquistano la personalità giuridica all’atto del riconoscimento. La procedura per ottenerlo è la stessa prevista per le associazioni; come abbiamo già avuto modo di accennare nel paragrafo 2.2. del precedente capitolo, si concretizza attraverso l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche istituito presso le Prefetture30 (se le fondazioni o associazioni in questione operano a livello nazionale) o nei registri tenuti dalle Regioni (se gli enti sono attivi solo in ambito locale). Ai fini del riconoscimento, l’art. 1, terzo comma, stabilisce che «è necessario che siano state soddisfatte le condizioni previste da norme di legge o di regolamento per la costituzione dell’ente, che lo scopo sia possibile e lecito e che il patrimonio risulti adeguato alla realizzazione dello scopo».

E’ l’acquisto della personalità giuridica che rende l’ente indipendente dai suoi amministratori e fondatori e conferisce allo stesso piena autonomia patrimoniale31; ne deriva anche, come avviene per le associazioni, la limitazione della responsabilità in capo agli amministratori nonché la rimozione del divieto di acquistare beni immobili a titolo oneroso.

Il Codice civile, mentre detta norme per le associazioni non riconosciute, non contempla fondazioni non riconosciute: da ciò, molti autori32 hanno dedotto che il riconoscimento è sempre essenziale e che non possa esistere fondazione senza riconoscimento. Secondo altri33, invece, tale fattispecie sussisterebbe «ogniqualvolta non si ha costituzione di persona giuridica, ma si destina un

28 Cod. civ., art. 28 co. 2. 29 Ibidem, co. 3.

30 D.P.R. n. 361/2000, art. 1 co. 1. 31

G. Iorio, op. cit., p. 26.

32

Cfr. S. De Götzen, op. cit., p. 96.

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patrimonio a servire al funzionamento di un’opera, patrimonio però che rimane nella proprietà del destinante, il quale può farne cessare quando vuole la destinazione, e che rimane esposto alla garanzia dei creditori del destinante stesso»34.

4.2. L’istituto del waqf

Il waqf o hubus è un istituto del diritto islamico che ha una duplice veste: da una parte esso è finalizzato all’amministrazione delle proprietà e delle risorse necessarie alla gestione e all’attività di un edificio di culto, dall’altra si configura come uno strumento attraverso il quale si provvede ad attività caritatevoli, sociali o di pubblica utilità35. Si tratta dunque di un’istituzione che unisce alla dimensione religiosa e spirituale quell’aspetto di “economia sociale” che concorre alla realizzazione del cosiddetto welfare state.

Per comprendere appieno la natura di tale istituto dobbiamo accennare ai due principi cardine che caratterizzano il sistema economico islamico: il riconoscimento della signoria divina sul creato e sulle ricchezze e la responsabilità dell’uomo di fronte a Dio e alla comunità. Allah è il vero “proprietario” di ogni cosa e l’individuo ha il dovere religioso di amministrare ciò che il Creatore gli ha concesso e di concorrere allo sviluppo economico e sociale dell’intera comunità. «Lo spreco delle risorse, il loro accaparramento, la loro distruzione costituiscono una violazione del dovere di rispetto e di tutela di ciò che appartiene solo a Dio, oltre che un’alterazione del principio di giustizia sociale e di solidarietà»36.

Il waqf assume, in questo senso, un ruolo centrale nella comunità islamica, in quanto si occupa di distribuire la ricchezza e le risorse concesse da Dio ai fedeli

34

A. Propersi, G. Rossi, op. cit., p. 117.

35

G. Cimbalo, Il ritorno del waqf, in Rivista telematica “Stato, chiese e pluralismo religioso”(www.statoechiese.it) n. 14/2016, p. 9.

36

M. D’Arienzo, I fondamenti religiosi della finanza islamica, in Rivista telematica “Stato, chiese e pluralismo

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in modo equo e bilanciato, premurandosi di dare sostegno ai bisognosi, assistenza ai poveri e protezione ai credenti.

Nell’amministrazione di un waqf, il fedele dovrà dunque ispirarsi ai valori dell’onestà e della giustizia e, al contempo, astenersi da comportamenti economici pregiudizievoli nei confronti degli altri che, secondo i precetti economici islamici, sono da ritenersi eticamente illeciti e giuridicamente proibiti37.

Alcuni autori, tra cui il Cimbalo, rilevano una forte corrispondenza tra l’istituto islamico del waqf e quello di diritto romano delle causae piae38, con il quale i musulmani vennero a contatto contestualmente alla conquista dell’impero bizantino; invece, gli studiosi islamici sostengono fermamente l’origine genuinamente musulmana dell’istituto in parola, indicandola in un

hadith risalente ai primi secoli dell’Islam. La possibile discendenza dalle causae piae potrebbe peraltro spiegare le affinità tra il waqf e la fondazione di diritto

privato, quest’ultima sicuramente riveniente dalle fondazioni di matrice bizantina39.