DATI A CONFRONTO – QUESTIONI APERTE
1. ETIMOLOGIE A CONFRONTO
Le varietà di Italo-Romanzo presentano marcatori di negazione che traggono origine da
minimizers, quantificatori negativi, marcatori di negazione pro-frase, dall’univerbazione di
“non” e “uno”, in alcune varietà dal verbo “mancare” e in altre, sebbene non sia il marcatore di negazione standard, dalla grammaticalizzazione della frase scissa negativa “non è che”.
Ora, tralasciando i processi di grammaticalizzazione che portano questi termini a diventare marcatori di negazione, possiamo, semplicemente confrontando i dati tra i capitoli secondo e terzo, osservare che anche altre lingue del mondo utilizzano questi stessi elementi lessicali come fonti per i marcatori di negazione. Questo tipo di confronto è in un certo senso auto-evidente e consiste nel semplice riepilogo dei dati visti nel precedente capitolo.
- Minimizers: le lingue che maggiormente presentano marcatori di negazione derivanti da elementi nominali che indicano piccole quantità sono le lingue Romanze. Oltre ai descritti Piemontese e Valdostano che grammaticalizzano la parola “passo”, troviamo il noto e ben documentato Francese, l’Occitano, e il Francese Canadese. Tra le lingue che grammaticalizzano “briciola”, “boccone” e gli altri descritti nel capitolo secondo non troviamo corrispondenze con lingue al di fuori dell’Italo-Romanzo. L’unico altro caso di minimizer nel senso di elemento nominale come lo intendiamo per le lingue Romanze è quello di una lingua Western Daly parlata in Australia, che ha grammaticalizzato la parola “testa”. A questo marcatore di negazione l’etichetta di minimizer viene data da Lucas, Willis & Breitbarth (2013).
- N-words: oltre al nen Piemontese e al non ancora marcatore di negazione standard Veneto gnente, troviamo la stessa origine per i marcatori di negazione di molte, se non tutte, le lingue Germaniche, di una lingua Celtica, il Gallese, e in Greco Moderno. Al di fuori dell’Indoeuropeo osserviamo questo pattern in Ungherese e in alcune lingue Afro-Asiatiche, sia Semitiche che Berbere. Lasciando il beneficio del dubbio a questa categorizzazione, forse anche alcune lingue Bantu, una lingua Indo-Ariana (Jerusalem Domari) e una lingua Austronesiana hanno grammaticalizzato lo stesso elemento in marcatore di negazione.
- Marcatori di negazione pro-frase: in Italo-Romanzo è documentata (e storicamente accertata) l’origine del Milanese no come marcatore di negazione che deriva dalla risposta negativa ad una domanda polare. Nell’ambito delle lingue Romanze, oltre alle varietà del Trentino e ad altri dialetti Lombardi, è accertato che questo avviene anche in Portoghese Brasiliano. Al di fuori dell’Indoeuropeo, i marcatori di negazione pro-frase sono riferiti come fonti di nuovi marcatori di negazione in alcune lingue
Bantu, in una lingua Austro-Asiatica (Brao), e due lingue Afro-Asiatiche, entrambe Semitiche (Jibbali, Ḥarsūsi) .
- Manco: a parte il caso del marcatore di negazione standard Basilicatese, lingue che derivano il marcatore di negazione dal verbo “mancare” vengono riportate tra le lingue Niger-Congo (Fulfulde e Chibemba) e una, seppur molto incerta, Sino-Tibetana (Cinese Arcaico).
- Neca: se dovessimo solo ed esclusivamente considerare neca come marcatore di negazione composto da negatore + copula + congiunzione, allora potremmo dire che nel nostro campione sono presenti numerose lingue che o derivano dalla grammaticalizzazione di una copula, o hanno grammaticalizzato (sebbene il dato sia da verificare) una congiunzione subordinante che segue il negatore. Il verbo “essere” è riconosciuto come parte dei morfemi negativi in alcune lingue Dravidiche (Malayāḷam, Kannada), in alcune lingue Austronesiane (Samoano, Moronene, Balinese), in una lingua Aymaran. Le congiunzioni subordinanti del tipo “che” sarebbero invece, nonostante siano dati da verificare, grammaticalizzati e univerbati al marcatore di negazione di un paio di lingue Austronesiane (Drubea, Cémuhî).
Sebbene i dati di origine tipologica non siano ugualmente raffinati e documentati quanto lo sono quelli dell’Italo-Romanzo, ritengo comunque opportuno far notare che se lo stesso elemento lessicale dà origine a dei marcatori di negazione in lingue non geneticamente imparentate e non in contatto, allora già in questo senso pare possibile ipotizzare che questi elementi, che in origine corrispondono non a marche di negazione ma ad elementi lessicali o grammaticali di vario tipo, condividano o arrivino a condividere un valore semantico che li porta ad entrare a far parte del processo di negazione.
Se l’unico elemento in gioco nel tentativo di gettare luce su come avviene il processo negativo fosse l’origine etimologica, allora in questo caso avremmo dei riscontri dalla tipologia. Dal momento però che non è così, è opportuno tentare di osservare i dati anche in altro modo.
Curiosamente, le cinque origini etimologiche sopra-riportate non sono le uniche che sono state trovate nel nostro campione, ma ne costituiscono un sottoinsieme.
Ancora una volta, volendo considerare la sola etimologia dei marcatori di negazione osservati e non la sintassi e l’interazione dei marcatori con gli altri elementi della frase, possiamo osservare che altri elementi vengono riportati come fonti dai tipologi. Come abbiamo elencato nel capitolo precedente, alcune lingue Austronesiane grammaticalizzano degli articoli indefiniti e dei partitivi in marcatori di negazione; alcune lingue delle Americhe invece grammaticalizzano dei marcatori di Tempo-Aspetto-Modo, in particolare dei marcatori di irrealtà; molte lingue Bantu grammaticalizzano locativi e possessivi, mentre altre lingue Niger-Congo, ramo Kru, derivano alcuni ausiliari negativi da verbi dal significato di “lasciare/partire”, “rifiutarsi”. Infine, alcune lingue Austronesiane, altre di Papua Occidentale, altre Afro-Asiatiche sembrano aver adottato uno dei loro marcatori di negazione da lingue ad esse confinanti.
Con solamente le informazioni che un elenco di questo tipo può fornire, l’unica cosa che sarebbe possibile ipotizzare è che la negazione sembra derivare, etimologicamente parlando, da classi di parole molto diverse tra loro. Già nel solo studio dell’Italo-Romanzo poteva risultare evidente, ma con l’aggiunta di queste categorie la varietà etimologica aumenta. Come è possibile che marcatori dalle origini tanto diverse arrivino ad avere lo stesso tipo di funzione? Rispondere a questa domanda non è né possibile con i soli dati qui presenti né pertinente, dal momento che non costituisce lo scopo di questa ricerca. Tuttavia, ragionare sul fatto che alcuni dei marcatori di negazione possano condividere altre proprietà sintattiche o semantiche con quelli analizzati nell’Italo-Romanzo è auspicabile.
Nei paragrafi che seguono cercherò di confrontare dunque le proprietà sintattiche e semantiche dei marcatori di negazione in Italo-Romanzo con, laddove possibile, quelle dei marcatori di negazione delle altre lingue, tenendo in considerazione in modo particolare la teoria della scalarità proposta da Garzonio & Poletto (2008) e la teoria del Big NegP di Poletto (2015).