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La dichiarazione dei diritti umani, nel contenuto dei suoi 40 articoli, è certamente il punto d‟arrivo della tradizione del pensiero liberale occidentale, forse la realizzazione più alta del progetto occidentale che dalla Magna Charta in poi ha tentato di costruire una società di uomini liberi e felici.

In questa prospettiva, i Diritti Umani sembrano essere manifestazione di un unica cultura.

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Si potrebbe discutere sul fatto che i principi etici in generale, come i Diritti Umani appunto, trovano la loro più profonda giustificazione nella vera essenza umana.

Un‟altra riserva risiede nello scetticismo del pensiero occidentale, una cultura che ha istituzionalizzato il dubbio come molla di progresso in nome della scienza.

Due sono i filosofi che hanno contribuito non poco alla demolizione delle certezze su cui si è evoluto il pensiero della scienza e del liberalismo classico: Jean-Francois Lyotard e Richard Rorty. Entrambi favorevoli alla difesa e allo sviluppo di una cultura dei Diritti Umani.

Lyotard è il filosofo della post-modernità, di quella visione cioè dell‟epoca contemporanea come fine delle grandi narrazioni, della possibilità di dare un senso complessivo al percorso storico, della frammentazione di tutti i discorsi in aree limitate di senso.

Le sue dimostrazioni partono dall‟individuazione di una caratteristica del linguaggio umano fatto di segni:

«Questi segni arbitrari, la cui combinazione segue a sua volta regole arbitrarie, seppure fissate definitivamente dalla strutture sintattiche, rendono possibile designare come proprio referente qualunque oggetto, reale o non reale, interno o esterno, assegnandogli allo stesso tempo qualche significato. Inoltre, ed è il punto che per noi riveste maggiore interesse, questo atto del significare comporta un destinatario»52.

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La comunicazione umana trova, dunque, nell‟interlocuzione il suo carattere distintivo:

«Io è colui che parla in questo momento: tu è colui al quale la comunicazione in questo momento è destinata. Il tu tace mentre l‟io parla, ma il tu può parlare, ha parlato parlerà»53.

Secondo l‟autore è questa equivalenza tra chi parla e chi ascolta a costituire la base delle relazioni sociali di eguaglianza.

Lyotard individua il principio capace di generare il diritto alla libertà di espressione, proprio nella natura interlocutoria del discorso umano, con la sua intrinseca eguaglianza sul piano dello scambio che essa implica.

Tuttavia egli tende a precisare che tale diritto deve essere debitamente conquistato. «L‟allievo o l‟allieva cui tocca sottostare alla disciplina del silenzio durante la spiegazione del maestro acquista il diritto di parlare quando ha qualcosa di significativo da dire, o meglio da “annunciare”»54.

Ma nella vita sociale concreta è sempre insita la minaccia di esclusione dalla comunità interlocutoria. In un‟accezione positiva, tale minaccia deve intendersi come sanzione avente la finalità di imporre il rispetto dei diritti di interlocuzione dell‟altro.

Rorty, invece, afferma che spesso le violazioni dei diritti umani non sono considerate tali da chi ne è il diretto responsabile, in quanto non percepiscono le loro vittime come esseri umani nel senso proprio della parola, ma piuttosto come

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Ibidem, cit. pag 91.

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V. Bitti, Educare alla complessità. Diritti umani e intercultura, tratto da una pubblicazione sul sito www.cybercultura.it/pubvin /1994 _educare.htm.

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«animali, come bambini o semplicemente come donne e in quanto tali meno che umani»55.

In altri termini è la cultura di questi uomini che ostacola l‟estensione del loro concetto di umanità a chi appare ai loro occhi diverso.

Nel suo saggio La priorità della democrazia rispetto alla filosofia, Rorty afferma che non vi è alcun fondamento se non quello, debole, che Rawls definisce la “sovrapposizione del consenso”, ribadendo che l‟unica cosa che esiste veramente è la cultura diffusa che circola tra i diversi gruppi umani, caratterizzandoli.

«C‟è un desiderio crescente di lasciar cadere la domanda: “qual è la nostra

vera natura?” per sostituirla alla domanda: “Che fare di noi?”. Siamo molto meno propensi dei nostri progenitori a prendere seriamente le “teorie sulla natura umana”, molto meno propensi a fare dell‟ontologia o della storia il principio- guida della nostra vita. Siamo arrivati a capire che l‟unica lezione che ci viene tanto dalla storia quanto dall‟antropologia è la consapevolezza della nostra straordinaria malleabilità. Tendiamo,ormai a vederci come un animale flessibile, proteiforme, capace di darsi la forma che vuole, anziché come un animale razionale, oppure un animale crudele»56.

«L‟obiettivo di questa manipolazione dl sentimento è estendere il referente concreto di espressioni come “la nostra gente” e “le persone come noi”»57.

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R. Rorty, Diritti umani, razionalità e sentimento, in I diritti umani, Oxford Lectures, Garzanti, Milano, 1995.

56

R. Rorty, Scritti filosofici. Vol. 1 [1991], Laterza, Bari, 1994, cit. pag 132.

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La speranza riposta nella forza della ragione, nell‟indagine filosofica è soltanto un‟illusione; «la speranza di un progresso nella cultura dei diritti umani risiede soltanto nelle storie capaci di comunicare sentimenti, nell‟amicizia, nei matrimoni misti e nel modo in cui educhiamo le nuove generazioni, ovvero nel continuo progresso dell‟educazione sentimentale»58.

Il filosofo sostiene che la sua non è una concezione da considerarsi meta- etica, ma piuttosto pragmatica.

«Oggigiorno dire che noi siamo animali intelligenti non ha più alcuna

risonanza filosofica, e neppure una connotazione pessimistica; significa soltanto fare un affermazione che ha valore politico e di speranza: ovvero dire che se saremo capaci di lavorare insieme potremo fare di noi tutto ciò che saremo abbastanza intelligenti e coraggiosi da immaginare. Sicché la domanda di Kant “Che cos‟è l‟uomo?” si fa da parte e viene sostituita dalla domanda “Che tipo di mondo vogliamo costruire per i figli dei nostri nipoti ?”»59.