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Carl, Eugenio e Giulio espositori presso la Società Veneta Promotrice di Belle Art

I mosaici della volta dell’Apocalisse della Basilica di S Marco

2.5. Carl, Eugenio e Giulio espositori presso la Società Veneta Promotrice di Belle Art

Alle difficoltà del sistema dell’arte veneziana in genere nella prima metà del secolo, di cui si è parlato nel precedente capitolo, bisogna aggiungere ora alcune riflessioni sulla già nominata crisi della committenza verso la metà dell’Ottocento.

I segnali a Venezia furono forti e inequivocabili fin dall’inizio dell’Ottocento, a cominciare dal celebre consiglio di Cicognara ad un giovane Hayez di lasciare la città per Milano in cerca di maggior fortuna, dal momento che:

“Ora in Venezia non troverete facilmente commissioni di quadri, ma bensì dipinti di decorazione che vi faranno guadagnare molti denari, ma con ciò non diventerete quell’artista che io ho predetto, né raggiungerete quel grado nell’arte a cui potete aspirare”198.

Concetto sostenuto anche da un anonimo articolista nel “Giornale di Belle Arti e Tecnologia” del 1833 dove si legge: “Non di rado, onorati e accarezzati artisti, piantano altrove stabilmente i loro focolari né più fan ritorno alla modesta sede delle patrie lagune”199.

La caduta della Serenissima aveva causato un tracollo finanziario notevole, la nobiltà e l’alta borghesia erano in crisi e il mercato

198 Brano citato in FERNANDO MAZZOCCA, L’ideale classico. Arte in Italia tra Neoclassicismo e Romanticismo, Neri Pozza, Vicenza, 2002, p. 402.

199 Accademia di Venezia, in “Giornale di Belle Arti e Tecnologia”, I, Venezia, 1833, p.

205. La citazione è tratta da F. BERNABEI, C.MARIN, Critica d’arte nelle Riviste lombardo-

91 alternativo, quello dei nuovi ceti abbienti, faticava a decollare.

Pochi committenti dunque con una conseguente stasi del mercato dell’arte a cui le Accademie non sapevano porre rimedio, se non tramite sporadiche azioni di sponsorizzazione private o attraverso le esposizioni annuali.

Lo stesso Cicognara fu il principale tramite tra uno dei più importanti committenti veneziani di quegli anni, il barone Giacomo Treves e gli artisti: è tramite il presidente dell’Accademia che questi acquisì per il proprio palazzo sul Canal Grande le statue canoviane di Ettore e di Aiace e i dipinti l’Ettore rimprovera Paride per la sua mollezza di Hayez e il Socrate

scopre Alcibiade nel gineceo di Ludovico Lipparini200.

Ma a parte questo raro esempio di acquirente privato particolarmente abbiente201, il mercato langue da cui l’appello di Pietro Selvatico rivolto a

coloro che hanno a cuore lo sviluppo dell’arte veneziana di attivarsi per emulare quelli che in altre città avevano costituito le Società Promotrici con lo scopo di ridare vita al mercato dell’arte:

“Vuol Venezia, o meglio vogliono i molti doviziosi che colà dimorano (giacché ove si tratti d’arti, il discorso bisogna dirigerlo a quelli che hanno il denaro da pagarle bene), avere ricca e fiorente l’esposizione? Il segreto è facile: alloghino molte opere ai loro artisti e la vedranno pari e forse superiore a quelle d’altre città. Ma finché di questi benemeriti doviziosi a Venezia se ne contano soltanto tre o quattro: finché gli altri s’ostinano a non ordinar nulla, è da

200 Sull’argomento si veda: GIUSEPPE PAVANELLO, Venezia: dall’età neoclassica allla storia del vero, in La pittura nel Veneto.L’Ottocento, a cura di G. Pavanello, N. Stringa, tomo1, Electa, Milano, 2003, p. 26; MARTINA MASSARO, Giacomo Treves de Bonfili, profilo di un

collezzionista, in Ateneo veneto, Rivista di scienze, Lettere e Arti, anno CCI, terza serie, 13/II, 2014.

201 Il barone Treves de Bonfili nel 1845 commissionerà a Carl Blaas l’opera Rebecca al pozzo che è ancora conservata a Palazzo Treves a Venezia.

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scommettersi uno contro cinquanta che invece di aumentarsi, l’esposizione si impoverirà sempre di più. Che sarebbe mai a tanti opulenti, che hanno patria a la gentile città, spendere un centinaio di Luigi all’anno per fare acquisto d’un qualche quadretto di uno fra que’ molti buoni artisti di colà? E anche senza questo, che ci vorrebbe a Venezia per formare una società, non dirò così in grande come la francese degli Amici delle arti, ma almeno non dissimile da quella dei filotecnici di Trieste, ovvero dell’altra istituita quest’anno in Piemonte sotto gli auspizii di quello splendido proteggitore delle arti che è il re Carlo Alberto?”202.

Durante il terzo decennio dell’Ottocento, erano nate molte associazioni in Francia (Avignone e Lione), in Austria e Germania (Amburgo, Colonia, Dresda, Gratz, Monaco) e in Inghilterra con lo scopo di organizzare mostre e l’acquisto, grazie al patrimonio costituito dalle quote sociali, di opere d’arte da sorteggiare tra i soci203.

Sull’esempio di queste associazioni culturali sorgono in Italia verso la metà dell’Ottocento numerose “Società di Belle Arti” tra cui la prima a Trieste nel 1840, Torino nel 42, Milano nel 44, Firenze nel 45.

Il 26 agosto 1845 viene approvato dall’Eccelso governo il primo statuto della Società Veneta di Belle Arti dove all’articolo I, punto 1 viene dichiarato quanto segue:

202 PIETRO SELVATICO, Esposizione di Belle Arti in Venezia nell’agosto del 1842, in “Rivista

Europea”, V, 4, 1842, p. 47.

203 P.G.DRAGONE, Le Promotrici. Un ruolo da riscoprire, in Ottocento. Cronache dell’arte italiana dell’Ottocento, n.16, Milano 1987, p.65. Su questo argomento si veda CARLO

D’ARCO, Delle moderne Società di Belle Arti istituite in Italia, in “Rivista Europea”, V,1847,

p. 447; MARIA MIMITA LAMBERTI, La Società Promotrice di Belle Arti in Torino: fondatori,

soci, espositori dal 1842 al 1852, in «Scuola Normale Superiore. Pisa. Quaderni del seminario di Storia della Critica d'Arte,l, Istituzioni e strutture espositive in Italia. Secolo XIX: Milano, Torino », 1981, pp. 287-408; DONATA LEVI, Tra vocazione educativa e intenti commerciali: le prime esposizioni triestine dell'Ottocento, in “Arte Ricerca”, 28 febbraio 2012.

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“La Società Veneta di Belle Arti ha per iscopo di procacciare lo splendore delle Belle Arti ed il vantaggio degli artisti, sia acquistando per conto proprio, sia cercando la vendita ad altri delle opere esposte nella pubblica mostra annua dell’I. R. Accademia di Belle Arti in Venezia”204.

Queste società, pur con alcune differenze tra loro, avevano in comune l’intento sia di promuovere e diffondere la produzione degli artisti contemporanei, sia l’educazione del pubblico all’arte.

Queste istituzioni private, vedevano riuniti: artisti, amatori, collezionisti, protagonisti di spicco della vita politica ed economica, esponenti d’ogni categoria e classe sociale, rappresentanti di enti locali e istituzioni culturali governative.

Nello stesso ambiente quindi convivevano artisti, tradizionali e innovatori, e cultori dell’arte, contraddistinti da gusti e sensibilità artistiche differenti.

Queste associazioni di natura privata, ma di vasta considerazione pubblica, riconosciute dalle Istituzioni governative, pubblicavano annualmente in occasione delle mostre i cataloghi delle opere esposte.

I cataloghi, pubblicati con i fondi del sodalizio, erano costituiti da pochi fogli contenenti l’elenco degli artisti espositori, delle opere esposte e delle opere vendute, l’elenco dei soci e del consiglio direttivo.

Realizzati in una veste povera e scarsamente illustrata costituiscono una straordinaria testimonianza del fermento artistico che ha caratterizzato la seconda metà dell’Ottocento in cui le committenze assumono nuove fisionomie e diventa impellente da parte degli artisti la necessitò d’auto promuoversi.

Spettava agli artisti dichiarare se l’opera poteva essere venduta alla

204 Archivio storico del Comune di Venezia, Statuto della Società di Belle Arti, Venezia,

94 Società indicando all’atto della presentazione il prezzo di vendita.

Appare evidente l’aspetto commerciale del meccanismo delle promotrici che trova un’aspra critica nelle parole di Pietro Selvatico che nel 1845, dopo aver visitato la prima esposizione della Promotrice fiorentina, a solo tre anni di distanza dall’intervento citato in precedenza, afferma:

“Intorno al vantaggio di queste benedette Società Promotrici non mi sembra vi sia da sperare moltissimo. Molti terranno questa come eresia, dopo che tanto si magnificarono quelle istituzioni[…]Dall’operosa Germania all’ultima punta d’Italia, queste società non valsero a condurre gli artisti su una via migliore: ad altro non giovarono che ad incoraggiare e a moltiplicare l’arte detta di genere, i paesetti, le vedutine, le fiammingate. È naturale, bisogna comprare molti oggetti per far crescere negli azionisti la probabilità del guadagno, ed i molti oggetti non si possono di certo comperare di grande importanza […] Quindi è forza buttarsi ad acquistare i quadretti, le cianciafruscole che s’ottengono a buon mercato. Né è già che le Società Promotrici non fossero per portare vantaggio grandissimo all’arte, ma sarebbe necessario che mutassero scopo, e da semplici lotterie, come or sono quasi per tutto, diventassero mezzi attuosi d’incoraggiamento, aprendo Concorsi largamente compensati, sovvenendo ad artisti ingegnosi […] Ovvero si forgiassero sul sistema delle società prussiane, nelle quali la metà del provento vien consacrato ad alzare monumenti, o ad ornarli con opere grandiose nelle varie città del regno205.

Secondo Selvatico, quindi è impossibile far convivere “mercato” e grande arte, un dissidio intimamente legato all’affermazione di un diverso tipo di acquirente, il piccolo borghese, che in parte sostituisce la storica figura del mecenate.

205 PIETRO SELVATICO, Della Società Promotrice di Belle Arti in Firenze nell’ottobre 1845,

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